chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

giovedì 9 settembre 2010

PROTESTA, CONTESTAZIONE e ipotesi di FUTURO


Oggi ho scritto la parola “protesta” sulle news di Google e, già nel menu a tendina, mi sono apparse una serie di opzioni interessanti:
protesta Ricercatori
protesta Polizia
protesta Università.
Cliccando protesta si sono aperti link di tutti i generi: protesta dei farmacisti, dei metalmeccanici, dei lavoratori delle cliniche private, dei tifosi contro la tessera, dei pastori sardi e, per tagliar corto, dei precari.
Ovviamente i precari della scuola, che qualcuno valuta a 200.000, oggi sono i più presenti su web, anche per le manifestazioni a Montecitorio, gli scioperi della fame e i sit-in in tutta Italia.
Leggo anche che il ministro Brunetta nega, e dice che i numeri sono fasulli, ma questo è un altro problema.
Sempre sulle news di Google, ho scritto la parola “contestazione” aprendo pagine intere di link su quello che è capitato a Raffaele Bonanni contestato ieri a colpi di fumogeno alla festa nazionale del PD.
Trovo interessante la relazione tra protesta e contestazione, le due parole sembrano quasi sinonimi ma in questa specifica realtà non è proprio così; la protesta è infatti una manifestazione  varia e diversificata, che non appena trova un bersaglio, mobile o non, diventa contestazione alla persona, in questo caso al leader CISL Bonanni ed, è lecito ipotizzarlo, a quello che egli rappresenta.
Nel contempo, altra interessante coincidenza, i precari della scuola si sono decisamente espressi per bocca di Caterina Altamore maestra precaria in sciopero della fame: ''Non vogliamo bandiere sindacali''.


Forse, il puzzle si compone.
Le deduzioni o dubbi possibili riguardo a un futuro (difficile dire quanto prossimo possa essere) sono tanti: ne esprimo solo alcuni, un poco empirici.
1)   Il distacco tra i cittadini che protestano-contestano e le classi politico-sindacali è sanabile?
2)   Il mondo del lavoro è cambiato ed è un dato di fatto oggettivo che per i lavoratori sia cambiato in peggio: per quanto tempo pensa di poter mantenere la sua stabilità chi oggi ancora mantiene posizioni di privilegio o potere?
3)   Le ragioni e cause prime della protesta sono, tutto sommato, comuni a tutte le categorie: l’esclusione-precarietà e il conseguente pesante disagio economico.
4)    Se i cittadini che protestano compissero un passo avanti verso la contestazione e la coesione, anche culturale, della loro protesta e si coagulassero alleandosi che tipo di situazione si potrebbe creare?


PS: scrivendo “contestazione” e cercando tra le immagini accade che le foto largamente più numerose siano quelle delle proteste dei tifosi espresse per i più vari loro motivi: ad personam contro qualche calciatore, contro la campagna acquisti o gli eccessivi guadagni. I casi sono tanti, ma due urgenti sono: 
a) siamo molto lontani dalla nascita di una nuova coscienza politica 
b) siamo esasperati sul piano economico. E la disuguaglianza pesante fa arrabbiare.
(io voto per la b)

domenica 22 agosto 2010

LA SCUOLA A DUE MARCE di Fermina Daza

Ci piace pensare all’utopia della Nuova Atlantide di Francesco Bacone, ci piace pensare ai colti ed onesti abitanti dell’isola di Bensalem, ci piace pensare alla casa di Salomone, ci piace pensare ad una scuola civile ed ospitale, ad una scuola onesta ed umana, ad una scuola in cui il rendimento non è influenzato dal territorio o dalla classe sociale di appartenenza.

E mentre riflettiamo sui “buoni sentimenti” che animano didattica ed organizzazione, ecco che in noi si insinua il fastidioso tarlo del dubbio… E a poco a poco iniziamo a sentire la presenza, tra leggi e decreti, tra circolari e regolamenti, del fantasma di un nuovo determinismo, più virulento di quello che ispirò le riforme scolastiche del XX sec.

Il nuovo determinismo lega con rapporto direttamente proporzionale il successo formativo alla condizione socioculturale degli allievi. Come a dire che sono le variabili del contesto extrascolastico, e non le effettive capacità possedute, a deteminare le prestazioni degli allievi.
Così, l’automatico circolo vizioso che viene a istituirsi tra successo e merito rende sempre più debole l’esercizio delle pari opportunità e alimenta in maniera sempre più consistente il gap tra i “i più fortunati” e “i meno fortunati”.

Si badi bene, nessuna traccia di determinismo nei Protocolli d’intesa, nelle Linee d’indirizzo, nei Regolamenti, nelle Direttive, Documenti, Decreti! Solo il tarlo del dubbio…

…E’ per questo che ci sono cari i Lucignoli, caffeina pura contro il deterministico sonno della ragione…. Non c’è bisogno di leggere le carte per capire che questa è una scuola che funziona a due marce! Vip e svip!

sabato 21 agosto 2010

L'INFORMAZIONE IN PILLOLE di Loretta Bertoni



http://www.flickr.com/photos/samyii/with/466217354/


“The specialist is one who never makes small mistakes while moving toward the grand fallacy.” (“Lo specialista è colui che non compie mai piccoli errori mentre si dirige verso l’errore supremo.”)
“The trouble with a cheap, specialized education is that you never stop paying for it.” (“Il guaio di una educazione specialistica e scadente è che non si finisce mai di pagarne le conseguenze.”)
Parto da queste riflessioni del sociologo canadese Marshall McLuhan, che condivido in pieno, per denunciare uno dei tanti aspetti malati della nostra scuola tradizionalista. Quanti sono i docenti che siedono in cattedra e sciorinano il loro sapere in pillole da assumere durante e dopo la scuola (il lavoro domestico), pensando che il loro unico compito sia quello di trasmettere nozioni facendo sfoggio delle loro conoscenze? Quanti entrano in classe limitandosi a imporre informazioni che versano a caraffate nei bicchieri-mente dei loro studenti, senza nemmeno preoccuparsi di sapere se tali informazioni risultino minimamente interessanti per loro? Quanti insegnanti sezionano la cultura in maniera più o meno inconsapevole? E il buffo (o triste?) è che ho spesso sentito colleghi criticare i ragazzi perché hanno il cervello diviso in compartimenti. Ma non sono forse loro stessi il primo esempio di “compartimentismo”?
Tutto questo mi fa ricordare anche una stupenda riflessione che la scrittrice e amica Susanna Garavaglia ci ha regalato. L’autrice definisce “spicchismo” questa malsana tendenza alla conoscenza settoriale. Riporto un passo del suo scritto:

“…Il vecchio mondo, quello della specializzazione, si è comportato da brutta bestia creando false padronanze e un’immagine di sé spesso sopra le righe; la suddivisione particellare dell’analisi del reale ha lasciato l’amaro in bocca di uno spicchio di pompelmo andato di traverso, trangugiato intero senza assaporarne il succo. Diciamo addio alla vecchia incapacità di bere spremute, cogliendo l’essenza dell’intero. (…) Per accogliere la vita nella sua totalità…”

Giustissimo Susanna. Accogliamo la Vita intera, diciamo addio al vuoto "spicchismo", guidiamo i nostri ragazzi sulla via del sapere critico, globale e consapevole. Aiutiamoli a proiettarsi verso la libertà.


venerdì 20 agosto 2010

A che serve la scuola? di Mariaserena Peterlin




immagine da web
Gli studenti, nelle nostre scuole, di solito sopravvivono e sopravvivere non è il modo più bello di vivere e tanto meno di fare esperienza, maturare e crescere per diventare cittadini liberi, pensanti ed autonomi.
Per sopravvivere sono indotti ad adeguarsi al modello che colui che sta in cattedra (non mi regge il cuore di chiamarlo comunque docente) impone.
Possiamo davvero dire che se ripetono quello che gli si impone i nostri ragazzi hanno "imparato"?
Se i nostri alunni vengono a scuola per ricevere norme, regole e un tot di cose da trattenere nella mente dobbiamo anche chiederci: "per quanto tempo quel tot di cose gli rimarrà in memoria?"
E possiamo anche dubitare : "hanno davvero imparato?"
Affermo con un paradosso, o meglio con una divagazione paradossale: imparare è come partire, ossia morire.
Speravo di non dovere più sentir dire, mentre lo sento ogni giorno, che la scuola ha come scopo di fare imparare.
Quando, alla fine del suo libro Manzoni  fa dire a Renzo "ho imparato, ho imparato, ho imparato," il romanzo, guarda caso, finisce; anche il protagonista se ha imparato a sue spese e dall’esperienza, e non certo da prescrizioni, divieti e consigli ricevuti dagli altri egli smette di essere interessante e torna ad essere uno qualunque di cui non c’è niente da raccontare.
Vorrà dire qualcosa? O da allora non è cambiato nulla?
Fine del paradosso, o meglio della divagazione paradossale.

martedì 17 agosto 2010

VOLEVO FARE IL TUBISTA - post di FERMINA DAZA


Da una scrittura collettiva dei miei alunni
VOLEVO FARE IL TUBISTA 
A- Professoressa, che schifo questa scuola!
P – Perché dici questo?
A – La scuola insegna cavolate! A che mi serve conoscere la musica se da grande voglio fare il tubista?
P- Tutto va imparato!
A- Sempre quella è la risposta, anzi la canzone…
P – E allora di cosa dobbiamo parlare, delle vacanze estive che stanno arrivando?
A- Eh, brava, parliamo di quelle …. e di come devo studiare per recuperare. A proposito, che ha intenzione di mettermi il debito?
P- Sì, forse, non so, dipende da te!
A – No, dipende da lei!
P- Ma io ho già fatto tutto il possibile per te!
A – Aspetti un attimo, non riesco a ricordare cosa ha fatto per me… ah, sì, forse quella volta che mi ha rimproverato…
P- Ma l’ho fatto per il tuo bene!
A- Ah, ci risiamo con la stessa canzone…
P- Cosa intendi dire, che mi sono comportata male con te? Non ti ho forse spiegato la lezione?
A- E’ sicura di averla spiegata? Ha detto un sacco di parole senza senso? P – No, sei tu che non capisci il senso delle mie parole!
A- Quando lei spiega non capisco niente e penso ad altro!
P- E a che pensi, di grazia?
A- Penso a come devo sbloccare l’ultima missione di GTA IV e a come non lo potrò fare perché sarò costretto a studiare tutto il pomeriggio…
P- E lo vedi che sei tu? Come faccio a non metterti tre?
A- Vabbè, è sempre colpa mia! Ma non è che essere alunni significa essere stupidi? Mi viene un grande sospetto…
P – Ma stai zitto! Io, per diventare intelligente ho studiato per venti anni!
A – Ma io sono già intelligente, è lei che non lo ha capito!

Come afferma Edgard Morin “bisogna che la scuola insegni a vivere”. Ma la scuola che conosciamo è davvero una scuola disegnata a misura d’uomo? E a misura di quale uomo? Uomo reale o uomo ideale? Uomo come preziosa individualità irripetibile o uomo come banale realtà catalogabile? La risposta alle domande è nei fatti: la scuola non può essere maestra di vita perché non ha occhi per guardare il mondo e cuore per sentire il battito della vita. Una scuola che non si apre al mondo è una scuola inutile, ingessata, noiosa, demotivante. Una scuola che respira il mondo è una scuola attraente, una scuola ove crescere non è frutto né di un caso né di una scommessa, ove l’attrattività è sinonimo di benessere.





sabato 14 agosto 2010

TRAME VIRTUOSE ed EDUCAZIONE: tra Atena ed Aracne di Mariaserena Peterlin



E fu ancora notte e ancora mattina, e fu ancora sole e fu ancora nuvole e pioggia. Nulla si ferma, tranne l'uomo che si lascia vivere, tranne chi, prima ancora di iniziare dice che sa già come andrà a finire. 
Questo atteggiamento è frequente, sciaguratamente frequente anche nel rapporto tra adulti e giovani. Non è la scuola ad essere malata, né la famiglia: la malattia è nel conformismo che si adegua, è nella pigrizia di chi ripete ripete ripete, è nella paura di chi non rompe lo schema né cambia strategia. La malattia è sisifea ottusità: o non si è passivi o si replica, e non chi non riesce a spezzare la spira avvolgente della rassicurazione vive la situazione dell'insetto, preda del ragno. Irretito, paralizzato e messo vivo in dispensa per la ragnacea discendenza.
Possiamo continuare a mantenere viva l'aracnide a spese nostre? Ci sono forme del presente che ci sprofondano nel passato, mentre ci sono miti che ci proiettano nel futuro
Possiamo dimenticare che quella di Aracne fu una condanna di una Atena irritata contro la bellezza dell'invenzione meravigliosa di una tessitrice? 
Sarebbe davvero firmare una resa, e senza condizioni.
E gli adulti, se tali sono, non possono insegnare ad arrendersi.
***







Riprendilo in mano il telaio
riprendi con forza il tuo filo


e pensa già tutto il disegno;
lasciando che il cuore lavori
tu tessi, scegliendo i colori.

Riprendi quel filo, quel pettine
e passa la trama vivace
veloce con l’agile ordito
che chiede soltanto la luce.

Riprendi il lavoro al telaio
e immagina, a liberi voli.
Non spezza quel filo il coraggio
di nuovi disegni, né voli
ronzanti d’insetto
che vola nell’aria dorata
per fare al pedante un dispetto.


©

martedì 10 agosto 2010

SCUOLA E CREATIVITA' di Loretta Bertoni


Numero 18, 1950 Stampa artistica


Leggevo oggi un articolo pubblicato da Francesco Lizzani per Education 2.0.

Sono considerazioni in margine a un articolo di Antonio Capaccio e mi piacerebbe proporvele. Uno dei grandi temi affrontati da Capaccio è quello della creatività: “La creatività non è uno scherzo. Come forma aperta e dinamica del linguaggio, essa aiuta a comprendere e ad accogliere; ci libera da ogni certezza, ma ci restituisce una coscienza più profonda di noi stessi.” Lizzani concorda che "è su questo terreno che il maestro, mettendosi in gioco “alla pari” con l’allievo, può innescare quel transfert che lo trasforma in, anzi risveglia, il “maestro interiore” del suo alunno.". Perché "trasformare i nostri alunni in autodidatti dovrebbe essere proprio la meta suprema del lavoro magistrale."

Io mi trovo d'accordo: la creatività andrebbe sempre stimolata e incoraggiata dai docenti, che dovrebbero evitare una buona volta di trasmettere saperi preconfezionati e contenuti ormai superati e quindi privi di interesse. La fobia dei programmi è diventata più che mai ridicola. Ci auguriamo un futuro (non lontano) fatto di scuole dove gli insegnanti in primis imparino a usare il "fattore creatività" al posto del vecchio libro di testo. Sarebbe bello vedere un giorno i docenti consegnare una programmazione didattica a inizio anno in cui, alla voce "Materiale didattico in uso", compaia a chiare lettere la scritta: "CREATIVITA' - e ogni mezzo che si renda necessario al momento". Ma la creatività, come la libertà, dobbiamo avercela dentro: siamo sempre noi che dobbiamo dare il buon esempio...

lunedì 9 agosto 2010

LA SFIDA FA PARTE DEL VIVERE IN CLASSE di Fermina Daza

“Un insegnante di secondaria inferiore o superiore nel momento in cui afferma di mantenere vivo l'amore per il suo lavoro (impegnandosi quindi a non riempire vasi e a non recitare il ruolo della cariatide) sa benissimo che il suo impegno sarà verificato e messo alla prova dalle sue classi che molto spesso lo sfideranno alla prova della coerenza” (Mariaserena Peterlin)

immagine scaricata dal web

La sfida fa parte del vivere in classe, del sentirsi vivi, del reciproco riconoscimento, del rito di passaggio che conduce all'adultità, della trasgressione che è propria dell'inquietudine adolescenziale...
Comincerei a preoccuparmi seriamente se i miei ragazzi non mi sfidassero! Opporsi all'adulto, provocarlo, saggiare la sua coerenza, metterlo in difficoltà, superarlo...non sono segnali ostili, sono suoni di vita pulsante, che vanno colti ed accolti come irrinunciabile occasione di crescita comune. Un educatore biofilo questo lo sa ... perché ha accettato e continua ad accettare mille sfide con se stesso, perché sa che il vero valore della sfida non è il risultato finale ma il percorso di crescita personale che l'accompagna.
Appunto, il percorso di crescita che tende all'infinito ... in questo crede il biofilo! Chi è consapevole del suo percorso di crescita è nelle condizioni di poterlo ravvisare negli altri!

Quanti adulti sono consapevoli di esserlo? Pochi, pochissimi... e i ragazzi si sono stancati di sfidare altri ragazzi mascherati da docenti ... e di perdere sempre, per giunta!

IL NUOVO LOCUS AMOENUS di Fermina Daza

Il bagno è il nuovo locus amoenus in cui i ragazzi si incontrano e, in piena solitudine e lontani dagli occhi indiscreti degli adulti, compiono i riti iniziatici: la prima sigaretta, il primo spinello, la prima scritta sul muro, il primo bacio, il primo appuntamento... Così, agli adulti ingabbiati sfugge quel prezioso sapere di vita che è sapere di libertà…

Ed è proprio nel nuovo locus amoenus che i ragazzi, diventati adattabili alle circostanze, riflettono sui problemi gestionali della scuola. E da quella oralità condivisa nel paradiso metafisico delle piastrelle lucenti, emerge autobiograficamente la consapevolezza della morte empatica degli adulti.

Nei ragazzi vi è in qualche modo la speranza dell’apertura, ma è solo una speranza, non certezza. In molti casi solo una retorica richiesta d’aiuto che non attende risposta. E come potrebbe esservi risposta? Il sentimento della libertà è sempre in partenza e mai in arrivo…. chi non sente la libertà dentro di sé non non ha consapevolezza del futuro né può insegnarlo… I ragazzi non sanno progettare il futuro perché gli adulti non sono davvero liberi…
Troppo spesso la libertà personale viene confusa con la libertà di irrogare sanzioni, provocare, mettere note, incutere paura….Triste esempio di libertà negata …. La scuola, pensata a dimensione di adulti rigidi e convergenti, considera invisibili i ragazzi e li tratta come nullità.

Quanto spreco di intelligenza in una scuola che è capace di leggere solo le coordinate della decima intelligenza, quella talmente evidente da non essere mai stata catalogata. L’intelligenza scolastica che privilegia i secchioni (non me ne vogliano i secchioni, è una scelta anche quella) e codanna chi balla il limbo o gioca al Milionario…(è una scelta anche quella). Una scuola in cui gli alunni sono ingabbiati in una farraginosa struttura verticistica… dal somaro… al secchione…

E’ proprio vero che la vita è altrove…nel locus amoenus dove si può imparare senza star seduti per cinque ore a guardare i soliti programmi.


La scuola del futuro - PENSIERI SPARSI di FERMINA DAZA




La riforma dell’attuale contesto formativo va pensata seguendo due linee di intervento che toccano due ambiti che corrono paralleli: l’ambito strutturale da una parte e l’ambito culturale dall’altro.
Per quanto riguarda l’ambito strutturale, vi è la necessità di aderire a nuove logiche che ispirino il cambiamento paradigmatico delle forme di reclutamento degli insegnanti, che attivino efficaci processi di lifelong learning, che promuovano nuove strategie di autonomia gestionale e didattica, che attivino un oggettivo sistema di valutazione delle performance, che incentivino le competenze di docenti e studenti, che prevedano la certificazione della qualità in merito all’efficacia e all’efficienza del sistema, che prendano in seria considerazione la progettazione di alleanze integrative fra le diverse agenzie educative presenti sul territorio.
La parallela riforma dell’ambito culturale si mostra particolarmente problematica poiché è chiamata a fare i conti con l’ ingovernabilità del sapere che si manifesta attraverso la continua ricerca di procedure che siano in grado di generare una visione più chiara dei fenomeni. A questo si aggiunga che la tendenza ad un sapere sempre più reticolare spinge inesorabilmente la cultura del lento cambiamento a confrontarsi con dinamici itinerari di conoscenza che sempre più possano adeguarsi all’accelerazione sociale e culturale impressa dai nuovi saper tecnologici.
E’ proprio al cambiamento e alle sue connotazioni, la velocità, la relatività, la problematicità, il pluralismo, la multimedialità, che la scuola del futuro dovrà guardare per progettare efficaci percorsi formativi.

domenica 8 agosto 2010

Scuola e "pari opportunità": la vecchia corsa all'oro? di Loretta Bertoni



Si parla tanto di "pari opportunità" in ambiente scolastico, di "pari dignità" degli studenti che, indifferentemente dal tipo di scuola che frequentano, dovrebbero avere la possibilità di raggiungere un grado di istruzione dello stesso livello, che possa garantire loro un inserimento libero e consapevole nel mondo. Sacrosanto. Ma io andrei oltre...Perché queste pari opportunità dovrebbero essere concesse soltanto agli studenti? Come si può raggiungere questo stato di cose idilliaco se gli insegnanti per primi non sono liberi?

Propongo quindi che lo stesso grado di pari dignità venga concesso e garantito anche ai docenti che, pur se desiderosi di cambiare, vengono spesso repressi da dirigenti scolastici troppo rigidi, incapaci e abili soltanto a vendere fumo. La partita è solo in mano ai singoli insegnanti ormai, ci vuole un enorme coraggio ad andare contro tutti, e non tutti ce l'hanno. Ormai i dirigenti fanno a gara a pubblicizzare le proprie scuole con sistemi più o meno biechi, sono rimasti pochissimi quelli che non partecipano a questa guerra fra poveri e portano avanti idee concrete rispettando i vari utenti della scuola. Spesso i presidi, seguendo le linee direttive del governo ad occhi bendati (nell'illusione di trarre non so quale vantaggio da certe adulazioni), lusingano i "loro" docenti, accarezzandoli viscidamente con promesse di "premi" (si veda il caso delle tanto decantate LIM ad esempio) adatti a chi di scuola non capisce niente. Il problema è che molti non se ne accorgono e si fanno irretire, così la scuola continua a morire.
Con questo continuo distrarre le menti degli insegnanti dai veri modi di fare innovazione, si fa mercificazione di sistemi innovativi. Si fa solo vuoto presentismo.






sabato 7 agosto 2010

contributo da FERMINA DAZA: Imparare l'autonomia, non la dipendenza (Raoul Vaneigem)

Facebook. Dall'amica Fermina ci arriva non solo una preziosa indicazione, ma un link che ci da la possibilità di scaricare il libro zippato di Raoul Vaneigem.



Doverosamente e affettuosamente ringrazio FERMINA DAZA
E... spudoratamente copioincollo da lei l'indice del testo.
Aggiungo solo una delle possibile considerazioni e una delle possibili chiavi di lettura: in materia di educazione, formazione, linguaggi, e scuola non esistono precotti e preconfezionati.
Non ci sono mappe o ricette, strade o percorsi : esiste la ricerca continua e l’apertura al dialogo.
Non si va in cattedra per iniziare una partita a scacchi, né per preparare un esame o dettare regole. Ci si va per capire, spalancare finestre, accendere luci e amore per la libertà. La conoscenza è un fine, non un mezzo.
Grazie Fermina, ti invitiamo a gran voce. (A quando fra noi?)

Avviso agli studenti
di Raoul Vaneigem, 1995
Indice
Capitolo I


Capitolo II


Capitolo III


Capitolo IV


Capitolo V


Titolo originale: Avertissement aux écoliers et lycéens (1995)
Traduzione di Sergio Ghirardi.
Pubblicato da
 Nautilus, 1996, Torino.




giovedì 5 agosto 2010

Eco-arte o arte ecologica? di Loretta Bertoni


Davide Sarchioni


Si parla tanto di ecologia, e gli ambientalisti inventano mille maniere per portare avanti le loro proteste. Si arriva a denunciare con ogni mezzo, si pensi alle campagne non violente ma spettacolari di Greenpeace.
Da un po' di tempo qualcuno ha deciso di protestare anche usando la creatività e il genio artistico. Sto parlando di Paul "Moose" Curtis, l'inventore del REVERSE GRAFFITI, una tecnica usata per creare graffiti semplicemente rimuovendo sporco e polveri sottili dai muri che arredano cupamente le nostre città. Con questo metodo ( ritenuto legale in quanto, non utilizzando vernici tossiche, non inquina e non danneggia le superfici) l'artista crea un'opera d'arte facendo anche un favore all'ambiente. Doppio vantaggio quindi. Paul Curtis, infatti, adopera soltanto grosse pompe ad acqua e detergenti che "spara" su stampi giganteschi (che lui stesso crea) appoggiati alle pareti da decorare: un gigantesco stencil insomma.


Il signor Curtis non rende semplicemente più belli i muri che decora, ma li lascia anche più puliti di come li ha trovati! Quindi non è solo un artista, è anche un ambientalista davvero originale. Con i suoi graffiti al contrario, infatti, ha trovato un modo artistico di denunciare lo stato di pesante inquinamento che ci circonda. Più si fa chiaro il contrasto, più la denuncia è palese. Ne è un chiaro esempio la serie di figure e quadri da lui impressi sulle pareti dei tunnel di San Francisco, in cui ha dato vita a enormi "tele in galleria" semplicemente pulendo lo sporco che li riveste! Nel video Curtis racconta che l'idea gli venne anni fa nella cucina di un ristorante in cui lavorava, un giorno che vedendo una macchia sul muro cercò di pulirla con uno straccio...rimase una specie di disegno sullo sporco del muro e gli piacque, così decise di decorare in quella maniera prima tutta la cucina, poi l'intero ristorante! Altra curiosità: le piante che lui "imprime" sulle pareti del Broadway Tunnel, la galleria ripresa nel video, sono le stesse che componevano la vegetazione presente in California, circa 500 anni fa, nella stessa area in cui il tunnel venne costruito...
Come tutti i graffiti, che ci regalano scorci di luce e colore nel grigiore metropolitano, rappresentando un'espressione spontanea e non pre-confezionata del pensiero, anche questi graffiti al contrario illuminano il nostro mondo opaco, rendendolo anche più pulito.

Davvero geniale, Mr Curtis! Ecco la genialità che servirebbe nelle scuole oggi. Perché non proviamo anche noi a prendere un enorme idrante per ripulire tutto lo sporco che le incrosta da secoli? Dove lo possiamo prendere? Ma è ovvio: nella nostra mente, nella nostra forza di volontà, nella creatività e nel coraggio che ci dovrebbero sempre accompagnare.

lunedì 12 aprile 2010

Parlano male, scrivono peggio di Mariaserena Peterlin






"Signori dell’istruzione, Opinionisti degli old media, Signori Linguisti filo-manzoniani buongiorno.
Il mal di pancia periodico sulle carenze linguistiche dell’attuale generazione digitale è diventato una colica initerrotta.
Lo schema è sempre lo stesso: hanno un vocabolario ridotto a 20 parole (di cui 10 di puro slang o codice demenziale), vanno male a scuola e la colpa è di new media.
Evabbè.  
Facile, come bere una camomilla corretta zucchero. 
E tutto resta come prima. 
Loro “ignoranti” e voi con le vostre sentenze miopi, ma inesorabili nel dare la colpa a qualcun altro.
Non interverrei se non frequentassi  ragazzini e bambini che parlano un bellissimo italiano nonostante leggano ancora soltanto i libri di scuola e qualche favola, nonostante facciano scorpacciate (contingentate) di cartoons,  nonostante già a sei-sette anni leggano e scrivano al pc e facciano videogiochi e sappiano già mandare messaggini col cellulare usando il T9.
Eppure non sono pochi questi ragazzini che a 6-7 anni o poco più prendono in mano un i-Phone e dopo dieci minuti ti guardano con comprensione dicono: poi ti insegno, tranquillo; ma (se li ascolti) ti raccontano anche con frasi elaborate e complesse piene di congiuntivi e condizionali al posto giusto e di aggettivi smaglianti, cosa hanno fatto a scuola, quali sono i giochi fatti coi compagni, quali sono i loro desideri e riflessioni.
Ragazzini che ti chiedono come e perchè di tante cose e glielo devi spiegare dettagliatamente, abbracciandoli se serve.
Secondo me la differenza tra un bambino /adolescente con 20 parole e un bambino/adolescente che parla e si spiega (ed è capace di una dialettica spietata) è semplice: l’educazione non si delega. Nemmeno alla scuola, nemmeno ai libri.

Non si impara a parlare e a scrivere dai libri.
Mettere un libro in mano a un ragazzino e dirgli “leggi” è un risultato  o un obbiettivo, non un inizio né una strategia.
Ma che ve lo dico a fare?

PS: Manzoni per farsi leggere risciacquò i suoi panni in Arno. I vostri non vi sembrano grigi e puzzolenti? Immergeteli nel fiume del reale quotidiano. Ahh… che bellezza.

martedì 9 marzo 2010

TASTIERE SCROSCIANTI ( e ribelli) di Mariaserena Peterlin

Tastiere scroscianti (opera di Susanna Garavaglia)

Il web è efficace, potente e comunica. E’ un medium, almeno fino ad oggi, libero. Stiamo usandolo sempre meglio. Sempre più spesso le nostre opinioni non coincidono affatto con quelle dei media classici. Questi ultimi, tramite i loro più o meno suggestivi opinionisti che fingono isteriche contrapposizioni urlate, pensano di orientarci; e non si può negare che questo sia spesso accaduto.
Ma ci sono segnali di cambiamento. Forse l’attenzione a questi segnali è poco attenta. Meglio così: faremo in tempo a crescere e molto.
Tastiere scroscianti è un’espressione che mi è nata, spontanea e selvatica, come una malerba; forse per questo ha subito vivacemente attecchito.
Le tastiere scroscianti sono tutte quelle che picchiettano insieme (e non isolate), che scrivono velocemente le loro idee e se le giocano, le spingono e le lanciano e non temono il confronto. Anzi lo cercano e non temono la contrapposizione vivace. Tastiere scroscianti insieme non temono nulla.
Tastiere scroscianti sono ribelli al vecchio sistema: accademico, togato, feudale e autoreferenziale della comunicazione.
Anche per questo hanno subito dato vita anche a un’immagine, opera di Susanna Garavaglia. Tutto è nato su Facebook e là continuerà a diffondersi. I nostri blog sono cassa di risonanza. Ma è il social network, come ci ha fatto notare Elisa Buratti il suo ambiente ideale.
Il web è efficace, potente e comunica. Questa immagine dedicata alle tastiere scroscianti e al Netfuturismo lo dimostra. Ci sono molte altre cose da aggiungere. Ne parleremo,



TASTIERE SCROSCIANTI è un gruppo presente su Facebook

venerdì 12 febbraio 2010

NET FIONDA E SASSI PAROLE di Mariaserena Peterlin

Può capitare che ci si senta dire che è più semplice sognare il futuro che affrontare il presenteIo penso invece che il futuro non si sogna, ma si costruisce nel momento stesso in cui abbiamo il coraggio di non piegarci al quieto vivere, al tanto peggio, al conformismo. Non ipotizzo una avversione astiosa o polemica nei confronti della realtà, ma proprio il contrario. Penso che ognuno possa essere se stesso e fare la sua parte senza adattarsi tacendo o attuando tattiche oblique.
Si sente anche dire anche che non si può andare all’assalto delle ingiustizie con una fionda.
Ma io ho stima dell'efficacia delle fionde e non smetterò mai di considerarne anche la purezza simbolica (sì ho scritto proprio purezza e lo ribadisco).
Ho ben sperimentata la pratica che agisce nel presente e risponde, ad esempio nella scuola, ai ragazzi, avversando il potere ogni volta che lo si vede applicato ottusamente anche con un  linguaggio che ne evidenzia tutto il peso brutale.

Non si vive davvero nel presente della vita senza guardare e pensare al futuro e modificando prospetticamente il presente.
La fionda è questo: la ribellione personale, quella che non attende l’assemblea dei  molti, né l’ammiccamento, né il consenso della cordata, né le garanzie di un negoziato; ma lancia la sua sfida e ci mette testa, cuore e faccia.
Con quella sfida la fionda si batte ed ottiene: lì ed adesso per il domani. 
Nella vita quotidiana possiamo già fare molto di più che lamentarci o adattarci. 
Molto, molto di più. 
Il dissenso è libero, come un sasso virtuale lanciato in una torpida rete e che ne moltiplica le oscillazioni e i segnali. Non è un’arma inutile. Ma forse bisogna imparare ad usarla.
Lancio con la mia fionda il sasso-parola nella rete, la fionda rincula e vibra; l’energia me ne è restituita, e certo non si disperderà.



mercoledì 3 febbraio 2010

SERVE UNA SCUOLA CHE NON CAMBIA? Di Mariaserena Peterlin

Durante un compito in classe di italiano, qualche tempo fa, ho osservato e descritto i miei studenti alle prese con il tema, esercizio indispensabile per loro, visto che avrebbero affrontato il tema d’esame di Stato.
Gli studenti di Mariaserena Peterlin aspettano il tema all'esame di Stato



... "In quinta, ore 9. La luce entra, chiara e trasversale, dalle finestre.
Infissi metallici sovrappongono e specchiano un bagliore freddo, falsamente argentato; cornice stonata verso l’esterno dove c’è il cortile abitato da obliqui e alti pini e abeti diritti fino quasi a toccare le pareti dell’edificio allungandosi verso le finestre.
Fuori l’aria è mossa: azzurra e verde di foglie riflettenti e diverse. […]
Qui, dentro, righe nere si innervano su carte svogliate: sono insofferenti pensieri, intermittenti tensioni che producono odori su maglie e felpe di tessuti sintetici male lavati dalla chimica.
Il testo del tema è una poesia di Vittorio Sereni già assegnato all’esame di stato:
Italiano in Grecia

Prima sera d'Atene, esteso addio
dei convogli che filano ai tuoi lembi
colmi di strazio nel lungo semibuio.
Come un cordoglio
ho lasciato l’estate sulle curve
e mare e deserto è il domani
senza più stagioni.

……………………….

Trascrivono parole solo amate da me, da loro incorniciate, subite, violate, stravolte con impazienza.
Inutili ai più (comunque sordi anche alla primavera).
Li guardo, li vedo, li sento quasi captandoli; vorrebbero non essere qui.
Ma, anche se, non per scrivere di letteratura.

Ore 13,10. Il sole adesso batte sulle vetrate opache rivelando graffiti spenti, strappi di nastro adesivo, ombre secche formate da grumi di polvere stratificati: segni nel tempo.
Indifferente, brutale, la luce batte più forte sulle superfici dei banchi disuguali. Colori acidi, plastiche logore bordate di legno bruciacchiato, intagliato, scheggiato.
Fa caldo e il riflesso è abbagliante.
"Sto scrivendo un capolavoro" ironizza, più o meno persuaso Enrico; le guance accese sotto un mezzo millimetro di barba nera, i capelli crestati e incollati che degradano in basette puntute.
Le posizioni scomposte, oblique; le teste inclinate disposte in curve sghembe ondulate: si stanno impegnando, quasi presi dal lavoro e convinti di sé.
Entrati nel gioco la forma diventa vincolo, tanto che: - ho sbagliato a copiare, ho saltato una colonna, che faccio adesso?-
Un altro sbuffa un po’ roco - Dovrei ricominciare e scendere al bar a ricomprare un foglio, ma non ho più tempo-.
Quando fanno così sono insopportabili, cosa dovrei rispondere? Che sono imbranati (vero), che in tanti anni di scuola non si può non sapere ancora usare un normale sciocco foglio protocollo a righe (ovvio), che se mai nella vita … nel lavoro… che le proprie responsabilità (ancora?)… che chi se ne importa tanto quello che conta non è la forma soltanto ma… (ma non lo sanno già?).
Proseguono disuguali e difformi in tutto, tranne nel fatalismo più inutile - Ormai quel che è fatto è fatto.
Storpiano il senso della paziente costruzione della parola e della frase. "Professoressa qui non capisco, che significa -sono un tuo figlio in fuga che non sa/ nemico se non a propria tristezza- ?"
Rispondo un esasperata, "Adesso ci pensi? Ma se hai soltanto venti minuti per finire…-,
-Ma se non me ne sono accorto prima…-
Finalmente tutti ricopiano, piegati sui fogli.
"Rileggere? e perché? sono stanco e non mi serve"

Vogliono solo finire, e comunque uscire di qui.
Per questo si affrettano impazienti di liberarsi da un incubo: dal compito di letteratura." (*)
Scriveva ieri Antonio Saccoccio parlando della contestazione di un suo studente nel Ning La scuola che funziona fondato da Gianni Marconato:

“Semplicemente per lui la scuola è inutile, perché non si apprende nulla di importante. Con grande lucidità mi ha citato la sua seguente esperienza di vita. Frequenta ragazzi più grandi di lui, ventenni che sono già all'università. Ebbene, nei giorni passati ha "interrogato" 10 di questi amici, tutti ex-studenti del nostro liceo, sulle loro conoscenze filosofiche. Le risposte gli hanno confermato che questa scuola per lui non serve a nulla: 8 su 10 a malapena ricordavano i nomi dei principali filosofi. Ha quindi pensato: "I professori mi valutano su queste informazioni che poi dimenticheremo, a cosa serve quindi studiare queste cose?".

Ma allora che fare? Potrebbe chiedere, perentorio, qualcuno. Fare? Fare subito, pensare di corsa? E’ possibile? Queste situazioni si sono formate e determinate in decenni e non sempre si può agire ribattendo come in una partita di ping-pong.
Nel frattempo, tuttavia, verso il fare ci si può avviare (ri)cominciando a pensare criticamente.

Se è vero che la scuola moderna ha sempre avuto la virtuosa pretesa enciclopedica di accumulare quanto più possibile nelle teste dei nostri studenti è anche vero che quella contemporanea non dovrebbe più esercitare questa pratica.
La sterilità ne è resa più evidente dall'anacronismo; l'accesso alla cultura non è certo agevolato da un accumulo di informazioni (credo che questo concetto sia ampiamente già stato dimostrato) ma dalla capacità di, appunto, organizzare, elaborare, trarre sintesi critiche rispetto alle informazioni medesime. Le informazioni non si ottengono solo dal verbo scolastico, anzi!
E’ evidente che la scuola, anche grazie ai molti stagionati libri di testo, può trovarsi, su questo punto, meno sul tema di altre fonti.
Invece è il flusso e l'aggiornamento multimediale, vasto e continuo, delle informazioni che ha sempre più spesso bisogno di riordino e critica.
La formazione, l'educazione e l'istruzione, e quindi la scuola, possono esercitare questo ruolo.

A patto di smetterla di perdere tempo rimettendoci anche in attenzione e credibilità; e a condizione di non sottovalutare all’insofferenza degli studenti bollandola come negligenza.

La protesta di un ragazzo intelligente verso la pedanteria, mi sembra confermi questa interpretazione.

Una testimonianza che potrebbe essere utile analizzare anche con un campione di studenti più vasto. Perché no?
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(*) Il brano è tolto dal mio libro "La (mia) classe non è doc" disponibile anche il edizioni ebook  ne La mia vetrina virtuale.