chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

martedì 23 novembre 2010

DIVERSI PER FORZA di Fermina Daza

”Nella prospettiva di garantire l’istruzione a tutti,contenendo nello stesso tempo i costi,la formazione scolastica ed accademica viene organizzata in modo analogo alle linee di produzione delle industrie che producono tessuti o macchinari a buon mercato. Gli studenti passano da una lezione all’altra come i componenti di un’automobile lungo la catena di montaggio; dopo circa quindici anni dovrebbero essere preparati ad affrontare il mondo. Fortunatamente vi sono ancora insegnanti che non concepiscono gli studenti come macchine per l’apprendimento, computer in carne e ossa che si possono accendere premendo un pulsante e che elaborano e riproducono automaticamente informazioni. Questi insegnanti vedono gli studenti come esseri umani,con paure e sogni,con scopi e obiettivi e con un desiderio di autonomia di pensiero, che è praticamente impossibile estinguere. Gli insegnanti che condividono questa visione possono facilitare l’apprendimento dei propri studenti, ma l’organizzazione scolastica, i percorsi formativi proposti e le strategie pedagogiche utilizzate si fondano ancora, in molti casi, sulla convinzione che l’insegnamento possa essere razionalizzato ed automatizzato; in questo modo però si mancano clamorosamente gli autentici obiettivi educativi”.
(M.CSIKSZENTMIHALYI)

L’ educazione positiva ispirata alla psicologia positiva di Csikszentmihalyi necessita, per essere praticata, di un approccio alla comunicazione fondato sul riconoscimento dell’altro come soggetto.
E proprio un approccio etico-deontologico alla soggettività potrebbe evitare le varie forme di oggettivazione che finiscono per produrre fenomeni di sopraffazione culturale e ideologica nella scuola e fuori della scuola.
A che punto è il tema della comunicazione fra docente e allievo?
Sempre più spesso i nostri ragazzi denunciano demotivazione e malessere... E' possibile addebitare la criticità relazionale alla distanza esistenziale e culturale dei protagonisti del processo educativo?
Secondo recenti stime, l’età media dei docenti italiani è di circa 54 anni, mentre l’età media degli alunni è di 14 anni. Una distanza media tra alunni e docenti di circa 40 anni.
E qui la diversità ci sta tutta!

sabato 20 novembre 2010

COLTIVARE PER DOMANI di Mariaserena Peterlin

ROSA ROSAE



Coltivo una nuova rosa
sul solito balcone
E’ una rosa imprudente
che sta sbocciando, rossa,

e sembra indifferente
alla pioggia battente.
Una rosa ostinata
una rosa sfacciata:

svolge i petali ardenti
contrastando i segnali:
oppone resistenza
e segnala speranza.

Rosso cupo il suo petto
(per un battito netto)
verde oscuro la foglia
(avanti! anche a dispetto).

E sotto il cielo grigio
per questa nuvolaglia
assorbe pioggia e vita.
Son certa che non sbaglia.

domenica 14 novembre 2010

Uguaglianza : prassi di crescita quotidiana - di Mariaserena Peterlin


All’insegnamento si arriva per tante strade, e nemmeno io ci sono arrivata  da neolaureata: senza mezzi termini, credo che insegnare senza amare questo lavoro sia colpevole se non disonesto.
Nel corso degli anni ci siamo tutti lamentati del fatto che il “livello degli studenti” si abbassava; pochissimi però hanno voluto ammettere che (prima) si era abbassato anche il livello dell’insegnamento.
Insegnare stanca  (è il titolo di un libro molto interessante di Ossola-Bertinetto del 1982) ma aggiungerei che anche imparare e studiare è, per chi vi si impegna, faticoso. Ed è ancora più faticoso se la scuola richiede uniformità e integrazione passiva, se gli insegnanti sono meno motivati e coinvolgenti. E’ anche un’impresa che richiede ulteriori motivazioni rispetto al passato, specialmente da quando è diventato evidente che il titolo di studio non apre più la strada del lavoro.
C’è un altra questione ineludibile: la scuola esiste per tutti; però alcuni ragazzi hanno alle spalle famiglia e cultura, altri hanno astuzie e strategie socio-culturali, altri hanno esperienze evolute, altri sono, uso con affetto queste espressioni anche nel libro, ruspanti, non bio-tech, non protetti, altri hanno situazioni personali complesse (di salute e non) e con cui è difficile convivere.
Io credo che l’irruenza, la cosiddetta indisciplina o la maleducazione, le diversità del loro essere o delle situazioni di partenza siano, insieme a tante altrettante sfide generose a cui la scuola non dovrebbe sottrarsi.
La scuola non è il luogo dell’omologazione e delle etichette.
Prima di iniziare a distribuire nozioni e concetti è dunque fondamentale conoscere la classe individuo per individuo  e trovare un linguaggio con cui capirsi.
Ogni classe è un fenomeno a sé, è un reticolo vivo e interattivo, a volte renitente e insolente, a volte portatore di sofferenze.
Purtroppo accade che gli insegnanti non conoscano abbastanza i loro alunni o non si pongano il problema, succede che affermino: “Sono qui per insegnare e se loro non seguono sono affari loro, il mio lavoro è spiegare e non fare lo psicologo”.
Ma questa è una penosa una giustificazione. I bravi insegnanti si distinguono anche perché si fanno carico di ciò che accade e non si accontentano di sentenziare o giudicare.
Inoltre può accade che i dirigenti non sostengano l’impegno dei docenti, ma ragionerizzino la scuola chiedendo solo voti e disciplina e non interventi educativi.
Però la magia dell’insegnamento è anche questa: la ribellione allo schema, l’autonomia di una testa che pensa.
E una volta chiusa la porta dell’aula l’insegnante è solo di fronte ai suoi ragazzi, ai loro occhi e ai loro sentimenti; e se vuole, se si mette in gioco, se non alza barriere, tutto può ancora accadere. Soprattutto può accadere che l’uguaglianza diventi prassi di crescita quotidiana comune. E questa sì che sarebbe scuola.

lunedì 1 novembre 2010

SONO UGUALE E DEVO ESSERLO di Fermina Daza

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Così recita l’articolo n. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948).

In base all’articolo appena citato, l’uguaglianza si configura come un valore che, recependo pienamente il diritto naturale di ciascun uomo, si concretizza come vero e proprio dovere al perseguimento dell’equità.

Ma quali sono i criteri in base ai quali si può perseguire il diritto/dovere all’uguaglianza? Chi stabilisce le regole dell’uguaglianza? Come può essere evitato il rischio che qualcuno sia più uguale dell’altro?

E soprattutto, quale relazione è possibile stabilire tra diversità e uguaglianza?
A tal proposito può essere fatta una duplice riflessione: se da una parte il tentativo di abbattere le disuguaglianze generate dalla diversità dà vita a politiche ispirate alle pari opportunità, dall’altra la ricerca dell’uguaglianza a tutti i costi innesca un pericoloso processo di massificazione.

E ancora.
Le forti diversità economico-culturali delle società umane creano veri e propri sistemi chiusi, quasi delle enclaves. In tali contesti, la pratica dell’eterofilia è solo apparente poiché la diversità culturale ed economica dei sistemi chiusi, paradigma alternativo alla diversità biologica, è sempre più spesso generatrice di eterofobia.
All’interno di tali sistemi chiusi come viene gestito il rapporto tra diversità e uguaglianza? La tendenza è ad integrare o ad assimilare la diversità?