chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 28 marzo 2012

Palmira, mia zia. Una maestra, anche di vita


Io mi ricordo
Lei era alta e ben formata, io me la ricordo coi capelli grigi, ma nei suoi occhi brillavano intuizioni, ironia ed interesse per l’interlocutore. Mi piaceva molto e le volevo bene. Nella grande famiglia veneta, di mio padre, lei era la figlia maggiore: un riferimento importante per tutti. Ma per me era anche la zia maestra: un modello, un’autorità. Una che aveva sempre la risposta giusta, a volte una sentenza affilata a volte una dolcissima esortazione.
Come si diventa insegnanti? Anche così: con una zia maestra capace di che trasmettere, quasi emanandola, la dignità di un mestiere che vuoi diventi anche il tuo.
E capisci che quel mestiere dà un senso non solo a una vita, la tua; ma dona anche ad una intera comunità una presenza di stile e sapere, senti che può arricchire il comune patrimonio di tradizioni, di scoperte quotidiane, di saperi.
Palmira ha insegnato quarant’anni nelle scuole del vicentino; quarant’anni che hanno compreso il fascismo, la seconda guerra mondiale e quella che adesso si chiama anche “guerra civile” ma che noi a casa chiamavamo la Resistenza.
Allora e negli anni seguenti la zia Mira ha fatto la maestra elementare.
Erano tempi in cui a un’insegnante si dava solo del lei.
Chi si era seduto nella sua classe, tra quei banchi che lei voleva allineati ed ordinati, si sentiva scolaro della Maestra Frison (*) per sempre; e lei era “la signora maestra” per tutta la vita, anche per le famiglie.
Non è un eufemismo ricordare quanto duri siano stati quei tempi, ma nessuno l’ha mai sentita lamentarsi.
Tanti i suoi insegnamenti, ma il più importante per me è stato ricordarmi che ogni pomeriggio lei preparava le sue lezioni per il giorno dopo.
Ogni pomeriggio di tutta la settimana, di sei giorni su sette.
Non diamolo per scontato.


Preparare ogni giorno la lezione per l'indomani, poi entrare in classe, sentire la situazione, percepire l'elettrica trasmissione di stati d'animo, rendersi conto che c'è qualcosa di diverso. È allora che ci si accorge se si è, o no, davvero insegnanti, quando ci si ridiscute e si mette in pratica che l'essersi preparati significa anche a ricominciare da lì, da loro, dal cortocircuito con la classe. Con la meta chiara, e le nostre vele della mente e del cuore che ascoltano il fruscio del vento. Il loro vento.

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(*) E' il cognome da sposata, come allora si usava.

lunedì 26 marzo 2012

A scuola di libertà


Alzarsi dalla sedia
e aprire le finestre
fare scoccar la freccia
non guardare il bersaglio
accendere la miccia
aspettare il ritorno
di quelle mani alzate     
che dicano "Lo so!"
ed indicare al volo
che c'è un'altra visione
ed un'altra possibile
futura soluzione
futura soluzione
futura soluzione


zzzzzzzzz
...
Nella scuola del passato le maestre dicevano "SILENZIO! devo poter sentire anche volare una mosca!" A noi invece piace una scuola in cui si possano sentire volare le voci dei ragazzi, e le mosche facciano pure il loro lavoro, possibilmente altrove

mercoledì 21 marzo 2012

Profumo di Liceo Sportivo e... Classico allarme

Recentemente il Ministro Profumo ha annunciato che il "Liceo Sportivo", di gelminiana ideazione, si farà entro il 2013.
Pare sarà una ramificazione dello scientifico. Si sono subito azionati i classici allarmi  poiché è stato chiarito che sarà caratterizzato da " un incremento delle ore di educazione fisica e delle discipline connesse alla gestione del fenomeno sportivo " e siccome il monte ore non è elastico è molto probabile che diminuiranno quelle di Latino, di Arte o Filosofia, per tacere dell' Italiano. Insomma qualcuno ha paventato un liceo con il culto dell'efficienza muscolare e dello splendore del fisico a scapito della mente col bel risultato che le future generazioni non conosceranno Catullo o Botticelli, ma saranno in grado di gareggiare ai campionati.
Chi conosce bene la realtà giovanile, quella quotidiana e concreta, quella che si può osservare da lontano ma è meglio tener d’occhio da vicino, sa già che per molti adolescenti il mito dello splendore muscolare è già qui. Sa che per loro il corpo è tutto, l’immagine è religione. E sa già anche che per nutrire questi giovani cervelli e attivarli occorre andare alla ricerca di percorsi difficili. A volte potrebbero funzionare anche i miti o Botticelli e Catullo o la lauda medievale, ma molte altre volte, riproporre sic et simpliciter la scuola classica sarebbe come parlare “una lingua che più non si sa”, sarebbe come voler far viaggiare una diligenza in autostrada. E noi che ci siamo nutriti di classici ne siamo parecchio sgomenti e un tantino incavolati.
Gelmini ha già fatto abbastanza danni e, al tempo, è apparso chiaro che cercava di sviluppare un modello di istruzione che le assomigliasse, compreso una divisa da motoria tutto rigida e formale, possibilmente indossata sotto al grembiulino.
L’accademico Profumo, soavemente, sorvola la scuola (non l’accademia) e si libra su una sconosciuta realtà giovanile ben diversa da quella di ben allevati rampolli di famiglie selezionate. Sembra infatti abbia tirato le sue conclusioni: questi giovani sono scarti di produzione, vogliono muscoli? e muscoli siano. Vogliono non studiare, e allora facciamone dei bestioni pronti all’uso fisico.
Ma non funziona così. 
Anzi la scuola e lo sport non funzionano così.
Spetterebbe alle centinaia di migliaia di docenti in servizio ribellarsi (il loro numero si stima intorno al milione).
Perché non lo facciamo? Forse un po' di  motoria ci  ri-metterebbe in azione?

giovedì 15 marzo 2012

Pedagogia non applicata - di Mariaserena


Pedagogia

Filosofia dell’essere
insegnante al docente,
solamente un umano:
mente che parla a mente.

La mente intanto, piano,
s’accosta all’argomento
lo dipana in discorsi,
che infila, ad uno ad uno
formandone collane
di oggettive parole
in logica disposte.

Accade: teorie
affilate e perfette
dove il conto ritorna
ed il senno è sovrano.

Procedi ad applicare,
la mente va sicura,
(forse è il cuore che trema).
Mentre il concetto, invano,
nell’aria passa e scivola,
guardi quel vaso fragile
lentamente cadere
rimbalzando tra i banchi.

S’incrina e par che muoia.
La colpa? Della noia

martedì 13 marzo 2012

Coltivare la distrazione, sorella del pensiero

(Kandinsky - da Punto, linea, superficie)


Essere presenti a se stessi, a volte è una distrazione. È bene coltivare la distrazione, sorella del pensiero.

Da insegnante mi sono spessa chiesto se non fosse giusto avere, ogni tanto, rispetto per le distrazioni dei miei ragazzi.
Forse sì, forse i loro pensieri tornano poi spontaneamente allo studio. 

La distrazione può essere un lampo sulla bellezza di cui la loro verde età si nutre.
Adesso osservo il mio nipotino: tende a osservare e meditare, si infila ovunque e studia silenziosamente ciò che gli interessa. Perché dovrei distrarlo proprio io?

venerdì 9 marzo 2012

Facebook, Twitter, Pinterest: con o senza la scuola?

ANATHEMA sono una band alternative di rock inglese, recita Wikipedia; non parlo qui di loro, ma ho scoperto che esistono proprio googlando casualmente la parola anatema che mi ronza puntuale nella testa quando leggo battute negative-acidine sui social forum, su fB, twitter e simili diavolerie temute più della peste dagli insegnanti che il mondo ci invidia.

Diversamente da loro, invece, penso che se esiste un sistema di comunicare online attraverso parole e scrittura allora anche la scuola se ne potrebbe occupare. E, leggendo il post scritto ieri da Gianni Marconato, tra il serio e l'ironico, nonchè i commenti che ne sono seguiti anche su fB ho capito che la questione non è marginale anche perchè ne avevo i miei riscontri.
Un paio di giorni fa ho inserito in fB la funzione “Fai la domanda”
La domanda era: “Insegnare TWITTER e non solo il tema a Scuola .Sei favorevole ai 140 caratteri per condensare pensieri, riflessioni, argomentazioni?” Le risposte previste erano le più semplici… si/no/non so.
Ho invitato, speranzosa, a rispondere centinaia di amici.
Sono arrivate, credo, meno di una trentina risposte (abbondando)… di cui 17 sì, 5 no, 4 “non c’è bisogno l’imparano da soli” e spiccioli.
Tra i 17 prodi molti non sono insegnanti.
Ecco io non capisco come si faccia a pensare di interagire coi ragazzi e non porsi il problema. Twitter non è la mia aspirazione. Nasco letterata e tale voglio rimanere. Questo è certo. Ma chi insegna, per l'appunto lettere, non dovrebbe ritrarsi davanti a un potente mezzo che, a quanto si dice, ha influenzato la prima elezione del Pres.Obama, che viene quotidianamente ascoltato dai media televisivi e di stampa, che può essere usato per trovar lavoro ecc.

I nostri ragazzi sono smanettoni migliori e più efficienti di noi; non c’è dubbio: ma i contenuti, la capacità di sintesi, l’efficacia di alcune parole rispetto ad altre, la tecnica di asciugare frasi, l'attenzione a come ci si espone in rete anche scrivendo dovremmo essere capaci di trasmetterla.
La stessa cosa vale per fB, ovviamente mutatis mutandis…
E adesso come la mettiamo con Pinterest?
Io mi iscrivo. Poi vi so dire.
Nessuna comunicazione può sostituire lo scambio interpersonale, la presenza, la stretta di mano, lo sguardo.
Ma l’anatema verso i nuovi media e social forum… che c’azzecca?