chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 21 dicembre 2011

Buon Natale 2011



Vorrei un Natale spericolato, tranquillamente spericolato.

Un Natale con i regali solo ai bambini con la sorpresa e non la lista come ai matrimoni.
Un Natale con il coraggio di cantare per strada.

Un Natale senza film-panettone sbandierato in tv anche dentro casa mia.
Un Natale-natale, stellato, bambino, innocente.

Un Natale  in cui non ci devono per forza ricordare che questa festa l’hanno inventata prima di Gesù perché non me ne importa.
Vorrei un Natale con il berretto di lana in testa e i calzettoni di lana.
Vorrei un Natale arcobaleno.
Un Natale profumato di ginepro.

BUON  NATALEEEE!

domenica 11 dicembre 2011

Insegnare / imparare gli è tutto sbagliato o gli è tutto da rifare? di Mariaserena Peterlin

Ikosaedro: tante facce per  un solido
Non credo sia tutto sbagliato.
Certo, l’attuale modello scolastico ha pezzi che cigolano e penzolano da tutti i lati.
Certo, la scuola funziona a un regime ben diverso da quello che vorremmo.
Le famiglie hanno perso l’antico deferente rispetto per l’istituzione e trasmettono ai figlio una diffidenza di fondo verso gli insegnanti, i programmi, le fatiche scolastiche.
I docenti, dal canto loro, sono probabilmente una categoria poco omogeneamente orientata. Alcuni difendono a buon diritto il loro ruolo; altri lo difendono nonostante risulti, per come lo svolgono, nei fatti anacronistico o indifendibile.
Come più volte s’è detto, difetti simili si possono riscontrare in tante categorie di professionisti : dall’artigiano al giudice.
Allora qual è il problema?
Il problema è che se non è tutto sbagliato certamente c’è moltissimo da rifare.
E non invochiamo media e web a soccorso o alibi delle nostre alate spiegazioni.
Prima di imputare o esaltare vecchi e nuovi media pensiamo a cosa è accaduto alla nostra società, a come si sono frantumati i legami, le consolidate ricchezze delle sapienze trasmesse tra le generazioni.
Pensiamo a come e quanto si sia diffusa una mentalità di consumo esasperato e di auto soddisfacimento di bisogni veri o presumibili, a quanto sia prevalso l’individualismo che si manifesta quando si proclama, e non sempre dopo aver ben pensato alle conseguenze, un assoluto diritto al sogno, alla felicità, alla realizzazione di sé.
Pensiamo a come questi nuovi scopi della vita abbiano agito come asfaltatori non solo di vecchie strade in cui ci si ascoltava e, diciamolo, ci si sapeva anche sopportare; ma anche come costruttori di aspirazioni irrealizzabili.
Quali?
La bellezza e la forma fisica (perfette!), la salute, l’efficienza, il movimento verso il successo, la soddisfazione, l’appagamento.
E si è perso per strada il costruire per il domani per ottenere, invece, nell’oggi.
Si è messa da parte l’attesa per sollecitare l’istantaneità della conquista.
Si è dismesso quel fondamentale specchietto retrovisore e laterale che ci aiutava a vedere non solo chi ci sopravanza, ma anche chi ci è accanto, chi cerca di raggiungerci, chi abbiamo superato.
E invece abbiamo salvato il culto delle differenze e delle presunte superiorità.
Ora molti di noi sono, dentro e fuori, soli. E non sono più felici.
La scuola non sarà tutta sbagliata, ma certamente è tutta da rifare. E potrebbe ricominciare a costruire davvero solo se si chiedesse quali sono davvero i suoi obbiettivi. Parliamo di scuola, e non di Università.
Gli obbiettivi sono le cosiddette competenze? Allora andiamo di male in peggio. Si può diventare dei competenti asociali e cinici.
Gli obbiettivi diventano, invece, la formazione di un cittadino utile a se stesso, responsabile e fortemente motivato ad interagire con i suoi simili condividendo percorsi? Bene, allora potremmo anche incamminarci verso una ricostruzione.
Ma oggi siamo molto lontani. La sirena dell’eccellenza insieme al satiro del merito hanno deformato le nostre visioni di educatori.
E se l’educazione vede distorto il futuro nasce morto.

domenica 4 dicembre 2011

AUGURI pres Monti? anche no.


affetti vs il potere forte?
Arriva la manovra Monti preceduta da una serie di anticipazioni. E i soliti noti preparano il terreno perché sia accettata proprio da chi (il popolo ex-sovrano) sarà chiamato a pagare e già paga pesantemente.
Dicono infatti che la manovra dev’essere assolutamente approvata. Altrimenti l’Italia fallirà, ci ammoniscono sciorinando dati, previsioni, e statistiche ben chiosati da Merkel e Sarkozy.E a noi non resta che piangere? Non è detto. Dovremmo cercare di capire meglio quanto sta accadendo. Ci sono considerazioni tecniche che hanno un peso indubbio, ci sono realtà che non possiamo ignorare, ci sono anche tensioni populistiche (forcaiole? boh, non vorrei essere così corriva) che vanno all’arrembaggio del consenso (e qui mi par di intravedere, non troppo defilati, anche di Pietro o la Lega) ci sono anche tante belle e serie spiegazioni. E va bene. Però mi pare di intravedere anche un meccanismo, e qui mi vorrei tanto sbagliare, che sembra voler indurre intenzionalmente soggezione e timore nel comune cittadino ossia nella persona che si occupa del suo lavoro ed è costretta a dedicarsi ai propri problemi quotidiani, ma non ha competenze specifiche di economia-politica-finanza.
In compenso il comune cittadino paga, come s’è detto, e paga e paga da anni.Tento di spiegarmi meglio: la soggezione ci viene indotta con lo sciorinare di dati tecnici; il timore mediante una serie di previsioni più o meno attendibili, che ci dicono, in poche parole, che lo tsunami sta inevitabilmente per colpirci e quindi dobbiamo mollare tutto e salvarci rimanendo nudi e crudi, però con un tozzo di pane in mano. A me sembra, infatti, che accettando le premesse, per di così, “europee” non rimanga che il tozzo di pane. In realtà non siamo soli: viviamo e dialoghiamo con tante persone, e sappiamo tutti che non capita di incontrare facilmente chi abbia tanta fiducia nella manovra ormai decisa da augurare buon lavoro a Monti. Noi “gente” abbiamo infatti la netta certezza dell’imminente arrivo di una batosta più grossa delle altre e non abbiamo fiducia che questa batosta sia davvero risolutiva. Anzi. Ma c’è un altro aspetto. L’attacco ai già pensionati viene sferrato sia con il blocco delle pensioni sia con l’aumento quotidiano del costo della vita. Ed ancora non basta. E’ stato scatenato un attacco pesante alla generazione pensionata perché è evidente che esiste (ed è stato generato e fomentato) una contrasto astioso con la generazione giovane e precaria. I trenta-quarantenni attribuiscono agli attuali pensionati la responsabilità della catastrofe odierna, li accusano di aver avuto chissà quali privilegi e di essere un peso alla società perché. Nessuno, invece, dice più che molti pensionati hanno pagato fino a quaranta anni di contributi corrispondenti anche al 40 o 50% del loro stipendio; e la domanda dovrebbe quindi essere: dove sono finiti tutti quei nostri soldi? Questo è il vero problema. Torniamo all’insidioso conflitto generazionale: guardiamoci intorno, leggiamo quello che accade e vedremo che non si tratta del fisiologico atteggiamento già noto come il contrasto tra generazioni che si avvicendano,  chiediamoci dunque: perché un antico e consolidato patto generazionale, fatto di tradizioni, di cultura famigliare, di solidarietà, di mutuo affetto e rispetto viene di fatto messo in discussione? Perché i giovani pensano che i non giovani siano non solo un peso, ma addirittura dei parassiti privilegiati? A chi giova tutto questo? Nessuno desidera le sommosse di piazza, e meno di tutti chi ha vissuto trasmettendo, con i fatti e l’impegno, valori e pensiero democratici. Tuttavia non basteranno le parole ad evitare che la situazione peggiori quando non solo il futuro continua ad essere sempre più precario, ma ci arrivano messaggi definitivamente scoraggianti e la  contrapposizione tra generazioni si rafforza . Una volta innescato un processo di questo tipo, una volta incoraggiata la lotta tra poveri, una volta disintegrato il tessuto sociale e culturale cosa potrà accadere? Scrive Giuseppe Turani sulla sua pagina di fB: i tecnici sono indispensabili;  ”Mille deputati, va detto una volta per tutte, non rappresentano il popolo ma quei 4-5 signori che li hanno nominati. Si tratta di un parlamento ridicolo e che non rappresenta nessuno.” Brutta notizia. Nemmeno a me e molti altri piace questo Parlamento, ma chi (a destra, al centro e a sinistra) ha scelto le liste dei candidati, chi ha fatto eleggere questi deputati, chi dirige i lavori del Parlamento?
E perché gli opinionisti hanno avvertito solo adesso chi li legge ed ascolta che il Parlamento era diventato inutile e ridicolo e dunque, potremmo concludere, ridotto a fantoccio insieme alla democrazia che dovrebbe rappresentare?
Non siamo stati noi, popolo di cittadini quotidianamente alle prese coi problemi, ad aver deciso come e perché tutto questo potesse accadere. E se le ragioni della giustizia sociale non saranno interpretate in modo illuminato è difficile immaginare una soluzione senza conflitto.
Allora la legittima domanda: è un conflitto, che sarebbe subito strumentalizzato, quello che si cerca di indurre?
Le generazioni dei pensionati attuali e precedenti hanno già dato e pagato. Mio padre, ad esempio ha pagato quando fu spedito in Russia dal regime fascista, quando ha lavorato oltre quarant’anni e poi è morto, pensionato. Un peso per la società? Parliamone. Io sono andata a scuola a 5 anni, a ventidue ero laureata, a sessanta pensionata. E adesso, se non crescessi i nipoti, i miei figli non potrebbero lavorare (da precari laureati). Siamo di peso?
Di solito non dico né “io” né “mio” perché siamo in tanti in questa situazione. Ma vogliono farcelo dimenticare. Uniti si combatte mentre soli si perde. Questa è la differenza.
Ed è questo che non si vuol far capire. Anzi, forse si è capito: ed è questo probabilmente, uno dei motivi per cui si tentata di mettere i figli contro i padri. Una volta rotto questo legame saremmo davvero finiti.

domenica 27 novembre 2011

Papà, mi leggi? - Del leggere ai bambini, come un dono - di Mariaserena

Papà, mi leggi?
E lui prendeva il libro dallo scaffale, accendeva la lampada e la posizionava in modo che la luce battesse sulle pagine e non sui miei occhi, si sedeva accanto a me e leggeva. Di solito accadeva la sera. Anche mamma mi leggeva. Entrambi amavano la lettura e il rito del libro illustrato, adatto ai bambini, regalato a Natale o acquistato per qualche occasione, ma sempre letto con cura. Letto, riletto, imparato a memoria qualche volta.
Soffrivo di mal di testa anche da ragazzina e i medici, trovandomi sana, ne davano la colpa allo sforzo per leggere. Così erano frequenti le visite dall’oculista che mi prescriveva le gocce di atropina da mettere prima della visita e che lasciavano la pupilla dilatata anche per un paio di giorni.
In quelle occasioni mi leggevano anche quando ero abbastanza grande da leggere da sola.
La tenerezza di quei gesti mi è rimasta nel cuore, è un tesoro inestimabile che porto con me e che riaffiora forse troppo di rado.
Dedicare il tempo ai bambini significa anche lasciare tracce e solchi fondamentali. E mai ho usato con più consapevolezza queste parole.
Tracce e solchi fondamentali.
Tracce impresse per sempre con le parole, le immagini suscitate, le suggestioni che la voce di mamma e papà che “mi” leggevano e suscitavano mente loro intenzionalmente  interpretavano il testo per me e gli davano vita e colore.
Solchi fondamentali: solchi per seminare, per impiantare nuova vita; solchi come fondamenta per le costruzioni del futuro, di visioni, di sentimenti, di modi di sentire.
Quei libri erano belli, emozionanti, divertenti.
Non me li sono dimenticati.
Ho letto anche io per le mie figlie, per i miei nipotini.
Forse non se ne dimenticheranno nemmeno loro.
Forse per questo ho messo nelle tasche del mio papà che se ne andava una lettera.
Parole avute, parole restituite per sempre.
Leggiamo le parole ai bambini.
Bambini, genitori di bambini, ascoltate chi ha vissuto prima di noi, leggete insieme i doni della narrativa, dei grandi narratori.
Ascoltateli dalla voce dei vostri cari.
Viveteli insieme, dureranno per sempre superando le miserie nostre e altrui; andranno ben oltre la precarietà del nostro presente.
 E potrete fare a meno dei videogiochi che vi tolgono affetto e vi danno in cambio solo emozioni virtuali e dopate.

martedì 15 novembre 2011

Il mio nuovo manifesto? Insegnare non è da tutti - di Mariaserena Peterlin

Rosso e Blu? non bastano
Insegnante, un difficile mestiere


No, non basta mettere pietre miliari sul nostro cammino, è necessario anche proseguire e cercare nuove strade. E per trovare una strada è necessario sapere dove voler andare e guardarsi intorno.
Dal mio osservatorio guardo, vedo, cerco di capire. E mi sono formata qualche opinione che sono pronta a discutere. Una di queste opinioni è che insegnare sia un difficile mestiere, e quindi un mestiere non da tutti.
Non è una cosa nuova? Non importa, io provo anche a dire perché.

martedì 8 novembre 2011

Insegnare per rasserenare - di Mariaserena Peterlin

Penso al lunedì: un giorno per ricominciare. A scuola giorno della ripartenza: non meno faticoso che altrove. Però qualcosa scattava quando sul marciapiede dell'Arangio R. avvistavo gli indecisi no, oggi non entriamo o sentivo le risse verbali sulle sorti della Roma o della Juve. Qualcosa iniziava a farsi strada, nei miei pensieri, se vedevo stracchi colleghi senza un perchè caracollare verso gli scalini o le colleghe, beate loro, pimpanti in tailleur e messimpiega fresca ticche-tacche sgonnellare nei corridoi.
Era allora che sorridevo e spolveravo il cuore e la gola per trovare qualche nota ben accordata ed entrare in classe.
Una volta chiusa la porta dell'aula tutto cambiava. Il senso del viaggio e dell'esperienza di vita mi invadevano; mi sembrava di ricominciare un cammino che nessuno aveva diritto di interrompere. Mi sembrava che tutto potesse essere superato e che la nuova tessitura ben ordinata stesse per iniziare. A volte le interruzioni arrivavano con i ragazzi ritardatari o le circolari incomprensibili. Piccole noie trascurabili, come quelle che infastidiscono qualunque lavoro. 
In quell'alchimia io credevo; in quella euforia di rimbalzi e rimpalli di pensieri che si genera quando le menti si incontrano e i sentimenti si accostano senza lasciarsi palesare.


Credevo anche in una mia pragmatica utopia: avrebbero comunque appreso qualcosa da me, non li avrei lasciati esenti e indifferenti, e anche se non coinvolti, non li avrei tuttavia lasciati immodificati. 
Almeno un pensiero, un dubbio, una reazione la avrei suscitata. 
Altrimenti perchè sarei rimasta là, in aule appannate dalla polvere e dal sudore, a spiegare per lunghe ore mentre la voce si incrinava e le speranze si impennavano in una ansia crescente? 
Perchè coltivare l'illusione che far scoprire in sè strumenti e talenti possa rasserenare e rendere più forti, e non far pensare solo alla scadenza del pagellino?
La scuola può essere anche poesia. Armonia. E confermo.

giovedì 27 ottobre 2011

Opportunità diverse & generazioni a confronto - di Mariaserena

ecco perché, secondo me, è necessario che ognuno si chiami in causa da solo...
Accanto a me che scrivo tempestando la tastiera c’è il lettino del mio secondo nipotino che dorme. Guardo il suo sonno meraviglioso (quale altro aggettivo potrei usare, e vorrei anche mettere la M maiuscola) e non posso non chiedermi se anche lui finirà nel trita cervelli in cui tanti, troppi giovani e meno giovani sono dolcemente finiti.

Spero di no, spero che l’anima umana rimanga almeno per i bambini, spero che arrivi una svolta e si torni ad alzare la schiena, a togliere gli occhi da troppi display, per levare gli occhi alle stelle. 
Ma se anche non arrivasse, e non la spero a breve, mi chiamo responsabile di quello che accadrà in futuro e mi chiedo guardando la culla: cosa sono i bambini? Mattoni da inserire in un muro in mezzo ad altri mattoni uguali o da livellare, scalfire, limare perché si adattino al singolo spazio che gli è destinato?
No, non sono mattoni. Ma lo diventeranno. Dipende da ciascuno di noi.
 

Avari e prodighi, illustrazione di Giovanni Stradano (1587)
per la Divina Commedia, Inferno, Canto VII
"Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro"
Quello che è successo negli ultimi 40 anni è dipeso dall’attuazione di un progetto di demolizione che ha colpito sia la cultura sia l’istruzione, sia, e soprattutto, la trasmissione del sapere pragmatico e sociale insieme ai valori fondanti ogni singola nostra famiglia, comunità, paese e città.
Quello che è successo è sotto gli occhi, ma si distoglie lo sguardo e si reagisce dicendo “che possiamo fare?”.
Si può fare pochissimo se vogliamo farlo comodamente, ossia senza spostare nulla nello schema rassicurante, confortevole pur se miserabile in cui siamo precipitati.
Si può fare quello che hanno fatto i nostri predecessori (dai nonni in su, risalendo all’indietro) se fossimo capaci di dare anche vita e sangue per le nostre libertà e le nostre dignità. Ma già, le parole vita e sangue disgustano a meno che non se ne parli in un rassicurante approfondimentoda talk-show in cui la sigla incornicia chiude ogni storia tra saccenti e scosciate di turno.
Perché questo mio amaro scontento?

Mariastella e la rivoluzione delle Barbie - di Mariaserena

Mariastella Gelmini 
LA SVENTURATA (che fu nominata all'Istruzione) DISPOSE.


Credeva fosse una casa di bambole, invece era la scuola pubblica.
(post già pubblicato già nel Settembre 2009, ma ovviamente profetico.)

Si avverte che qui si fa un po' di satira, in regime di reciproca libertà.

La fortunata Mariastella quella volta ebbe in regalo un gioco bellissimo e nuovo; una grande, anzi enorme Scuola della Barbie con tanto di Miur, Usp e compagnia bella, con tanto di kit per la costruzione di mini-grandi scuolette, con tanti Big Jim prof e amiche della Barbie-maestre.
Aperta la confezione la gongolante Mariastella cominciò quello che riteneva il più bel gioco della sua vita. Si mise gli occhiali rosa, poi li tolse e scelse quelli blu-elettrico e dispose gli edifici, le aulette, le palestrine ed i mini-laboratori.
 
Mise i vestitini alle sue piccole mini alunne ed ai piccoli mini-alunni che ora sembravano i nanetti di Biancaneve del giardino, pettinò le maestre e lucidò vigorosamenti i prof Big-Jim.
 
Poi si dedicò all’edificio miur e, appolaiatasi sulla sua poltrona a viale Trastevere giocò a fare le ordinanze e le circolari. Arrivò a casa sua lo zio economista che le disse:
 

- Mariastella sei felice?
- Oh sì zietto Economista!
- E lo sai, vero, che nonostante tu sia piccola piccola hai avuto un bellissimo dono?
- Ooohhh sì zietto Economista!
- Lo sai vero che per un bel po’ devi accontentarti vero?
- Oh sì certo!
- Ok allora adesso gioca pure, ma non chiedere altro!

La felice Mariastella si fece prudente;

lunedì 24 ottobre 2011

RITRATTO DI INSEGNANTE

A sedici anni non avevo ancora deciso cosa avrei fatto “da grande” ma sapevo chi e come non volevo essere.
Dal mio diario di alunna.



21 ottobre
Oggi è arrivato il nuovo professore di italiano. Supplente e con qualche problema. È salito sulla pedana e si è appollaiato sulla sedia a guardare le montagne rocciose, quelle delle ragazze, ovviamente. Ha fatto l’appello. A me ha detto che ho gli occhi grandi ma secondo me ha fatto confusione perché, mentre lo diceva, guardava più in basso.
Quel parassita antifemminista di Barbaetutto, noto secchione asessuato, ha sghignazzato… Schifoso. Mi vendicherò prima o poi.
Sara Lapiatta mi ha mandato un bigliettino laconico: …che misura di occhi hai? Ho risposto che non le avrei passato la traduzione di greco… e che se era tanto curiosa mi doveva seguire in bagno per i commenti del caso. Detto fatto.
Quando sono tornata in classe, il condor era intento a creare alleanze con i maschi (si fa per dire)… Tra provoloni auricchio ci si intende.
L’ho potuto osservare in tutto il suo splendore, questo fantastico rapace…. Giacca da prima comunione, camicia con due bottoni mancanti. Poi cattedra e poi più niente. Non mi sono data per vinta. Mi sono soffiata il naso per finta e poi mi sono alzata per raggiungere il cestino.
Lui sempre a parlare con i provoloni…
Ma sarà vera la storia che ai militari danno il bromuro?
Comunque una cosa così io non l’ho mai vista. Un buco enorme sul calzino sinistro del provessore (professoreprovolone) proprio lì dove orlo dei pantaloni, calzino e scarpa si baciano fin troppo calorosamente. Non so perché ma mi è venuta in mente la parola “tovarish” (compagno, in russo). Forse perché un calzino così malridotto, una scarpa così scalcagnata e un pantalone così corto non possono che essere compagni di trasandatezza? Faccio un discorso borghese? Non lo so davvero. Se è proletario ha sbagliato abbigliamento, se non lo è, allora si tratta di un sudicione. Ah, dimenticavo: due macchie di olio sulla camicia. Vedremo che professore è.
Lo chiamerò tovarish, è un nome che può andare bene.

15 novembre
Novembre mese dei morti. Dei morti che riposano in pace nelle aule. Un crisantemo su ogni banco. Tovarish dice che siamo in ritardo col programma.
I ritardati sono sempre in ritardo come i provoloni ammuffiti.
Cinquanta pagine di letteratura italiana letteralmente violentate in due settimane. Tovarish è uno studente che studia… Ormai non lo guardo più in faccia mentre spiega. Né prendo appunti. Il motivo è semplice. È molto più divertente seguire col dito sul libro per vedere se salta una parola. Su una lezione di due pagine non ha fatto mai cilecca. Ma si trattava di biografie.
Il buco nel calzino non c’è più. Si sarà seduto anche in sala professori…
L’altro giorno, però, qualche segno di cedimento sulla storia della critica. Qualche lapsus qua e là, qualche delicata sbirciatina sul libro che tiene sempre aperto davanti a sé.
Dal dieci siamo passati al settepiù.
Io, Sara Lapiatta, Emi e Renato ci siamo organizzati e abbiamo costituito un gruppo di sostegno e di aiuto. Tovarish va aiutato, bisogna liberare l’uomo dall’ignoranza.
Studenti di tutto il mondo unitevi. Aiutare il provessore è morale.
Appena si ferma e cerca nella sua mente la fotografia mentale della sudata pagina, uno di noi, a turno, gli legge la frase. Fino ad ora gliene abbiamo lette sei. Insomma, bisogna pur che partorisca sapienza questo benedetto provolone di un Tovarish. Socrate insegna. E a noi fare gli ostetrici non dispiace affatto. Piacerebbe anche a quell’asessuato di Barbaetutto ma lui è troppo piccolo, in tutti i sensi… Forse glielo spiegheremo con un disegnino…
Comunque Tovarish ha cominciato a capire la presa per i fondelli. Ma noi vigiliamo e siamo pronti per la lotta armata.


3 dicembre
Tovarish fa le due di notte. Lo si nota dalle occhiaie sempre più profonde. Ore e ore di studio matto e disperatissimo. Vuole arrivare primo. In questo periodo la sua memoria è al massimo.
Starà prendendo Acutil e zabaione.
Oggi lectio magistralis su Dante. La teoria dei due soli se l’è studiata su un altro libro. Verificherò quale. L’altro giorno stava armeggiando nella biblioteca della sala docenti.
Mi sono messa d’accordo col bidello. Caffè pagato. Domani saprò se ha chiesto in prestito qualche volume di storia della letteratura italiana. Il collettivo si è rimesso in moto.
Comunque, per farci capire (ha detto lui), ha fatto un esempio. Secondo me era meglio il disegnino. Barbaetutto sarebbe stato molto felice di copiarlo sul suo quaderno. Pure il suo quaderno è un secchione.
Mentre parlava di impero e di papato, poscia che costantin l’aquila volse…, ho fatto azione di disturbo, almeno così ha pensato lui.
Gli ho chiesto se due stati non gli sembravano troppi, visto che uno era già troppo. Per un attimo è rimasto interdetto. Ha continuato a spiegare e ha liquidato la cosa come una sciocchezza. Però un lampo è passato nei suoi occhi. Uno a zero, palla al centro. Per me. O almeno così credevo…
Lezione conclusa dopo cinque minuti. Tempesta in arrivo. Interrogazione. Io e Barbaetutto alla cattedra. Tovarish ha capito la mia avversione per l’eunuco secchione. L’ha fatto apposta. La vendetta del provolone... di un provolone che sta ammuffendo, non c’è dubbio…
Domani ci sarà ancora un crisantemo su ogni banco. Su quello dell’eunuco secchione una m***a di plastica residuato bellico dell’ultima festa di carnevale.
Comunque mi sono beccata tre. Che me ne frega. Stasera ho riunione al collettivo e c’ho invitato pure Tovarish mentre stava per uscire dalla classe. Non mi ha risposto. Ovvio, è in putrefazione…


Fermina Daza

venerdì 21 ottobre 2011

Il Manifesto degli insegnanti (ed io) tra progetto, utopia e realtà



Scrivo sempre quello che penso e non di rado mi chiedo perché cedo alla tentazione di pubblicarlo su web visto che scrivere solo per me stessa è una gratificazione assoluta. La causa probabilmente risale al mio lavoro di insegnante-che-racconta che mi ha geneticamente modificata. E’ una sorta di sindrome espansiva (il nome l’ho inventato adesso, sul momento) che ho spesso osservato dentro di me, e l’ho anche scritto in una pagina de La mia classe non è.doc.

“Così mi capita di attraversare i quartieri di Roma e di vedere una strada, un ponte o un palazzo antico, o di leggere un libro o un giornale o visitare una mostra o di riflettere per cercare di capire quello che accade nel mondo e di accorgermi che sto già cominciando, in automatico, a spiegarlo silenziosamente, dentro di me,  a loro.”

L’insegnante che racconta, ed in questo caso chi scrive, non nasconde se stesso, anzi usa ogni strategia per rendere la sua narrazione più attraente. Ma nel suo lavoro sa che non ci sono due situazioni narrative uguali come non ci sono classi, ragazzi o lezioni uguali; lo scrisse anche Goethe: non ci sono ripetizioni per il cuore, ma solo per la mente. 
Chi insegna raccontando ha costruito la sua figura professionale con la volontà e la mente (gli studi, i titoli, l’aggiornamento et similia) ma poi ha buttato il suo cuore nella classe e non poteva far altro che questo.

Ho partecipato alla costruzione del Manifesto degli insegnanti con il cuore; tanto ne misi che, a un certo punto mi si era come ingolfato e se non fosse intervenuto Andreas Formiconi che in una indimenticabile domenica pomeriggio gettò, con altrettanto e più cuore e lucida mente, una bellissima sua pagina tra i post del Ning LSCF dicendo che quella era una sua bozza, credo che non avrei trovato il filo del discorso. Naturalmente in tanti hanno valentemente partecipato fino a creare la versione definitiva, ma come dice la canzone per fare un albero ci vuole un seme, e quel seme fu gettato così.
Fu dunque, per chi scrive, un’impresa tra la coltivazione e il cantiere navale. Il cantiere, preparato da 
Gianni Marconato, era pronto ed armato di volontà perciò il Manifesto nacque e fu ben allevato dal nocchiero-giardiniere de LSCF Gianni.

Dopo più di un anno rileggo ancora una volta il testo e mi chiedo quanti altri semi possa aver generato. L’utopia ha ispirato un testo alto e denso che merita di esser tradotto in prassi: è accaduto oppure ne abbiamo fatto solo un fiore all’occhiello per migliore l’immagine? La realtà quotidiana del lavoro dell’insegnante che ha collaborato a scrivere, che ha condiviso e linkato, che ha diffuso volenterosamente il Manifesto ne è stata scalfita, modificata, ispirata o illuminata?
Ma quest’oggi non è giorno di risposte.
Chi scrive queste righe sta raccontando e non emetterà giudizi.

Chi scrive adesso alza spesso lo sguardo dallo schermo per guarda dalla finestra le foglie che bevono avidamente la pioggia prima di cedere al ciclo autunnale che le renderà humus vitale per l’albero stesso nato (quanto tempo fa?) sempre da un semplice ed umile seme.
Chi scrive immagina la storia del seme, e prova a raccontarla a modo suo. Un seme, in fondo, è uno tra i tanti suoi simili e per vivere deve essere buona, fortunata e ben curata semente. Un seme, da sempre, è solo un’opportunità, è un’ipotesi di vita. Anche il nostro Manifesto è un seme; chi ha partecipato alla sua nascita sa di aver fatto bene e sa anche di non essere responsabile di tutte le vicende che quel seme incontrerà e non può fare a meno di chiedersi quale è stata o sarà la sua storia.


Un albero fiorì di bianchi grappoli profumati, era una vigorosa acacia. Dopo qualche tempo il vento fece cadere ai suoi piedi dei baccelli sottili pieni di semi. Alcuni passanti li videro. Un vecchio li frugò col suo bastone, ne raccolse faticosamente una manciata e pensò che avrebbe provato a darli come becchime al fringuello che gli teneva compagnia dalla gabbietta appesa sul balcone. Una frettolosa signora li pestò, controllò che non le avessero impolverato le scarpe e se ne andò per i fatti suoi. Un artista in cerca di fama li guardò incuriosito, ma vide che non avrebbero aumentato la sua fama e volse lo sguardo in cerca di vantaggiose o più facili opportunità. Un grosso calabrone ronzante passò a veloce volo radente in cerca di prede, per sfuggirlo una donna che arrivava si chinò e vide i baccelli ormai secchi, sorrise li raccolse in un kleenex e pensò che li avrebbe portati al suo bambino che stava per uscire di scuola e già pensava che si sarebbe messo a giocare con il nintendo.
Il ragazzino arricciò il naso vedendoli, avrebbe preferito il solito ovetto kinder, ma poi la mamma gli spiegò che dentro quelle scorze secche c’erano semi e che i semi si potevano mettere in terra per fa nascere una pianta. Lo seminarono in un vaso, e non nacque nulla. Ma ormai il bambino aveva elaborato una sua teoria: se dai semi nasce una pianta (di questo era sicuro perché aveva chiesto anche alla maestra e a internet) ma non era accaduto, allora era la mamma che doveva aver sbagliato qualcosa. E lui continuò ad occuparsene, provando e riprovando, fino a riuscirci.

Dai semi può nascere o non nascere una pianta, ma quasi sempre se ne sprigiona una curiosità, un’ipotesi, una domanda. Ecco perché non bisogna smettere di curarsene, di raccoglierli, di diffonderli. Ecco perché il rito dell’agricoltore, come quello del navigante consiste nel ripetere azioni e rotte sicure conosciute, ma per scoprirne di nuove.

5. Non potendo trasmettere ai miei studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.(dal Manifesto degli Insegnanti)

L’impegno a cercare la verità è il più arduo, insieme a quello dell’impegno per il bene comune, che si possa trasmettere ai nostri ragazzi; ecco perché questo è il pezzo di Manifesto che prediligo ecco la vera sementa.

E naturalmente lo racconto a modo mio.