chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

martedì 25 dicembre 2012

Diritto d'autore e social forum

nondum matura est, nolo acerbam sumere
(dalla favola de "La volpe e l'uva" : non è matura e non voglio coglierla acerba)

Molti si allarmano per la possibilità che quanto pubblichiamo su faceBook diventi "proprietà" di fB medesimo.
A questo punto mi chiedo se sia coerente il decidere di stare su un social network e in rete e dunque avere interesse a farsi leggere da un gran numero di persone o divulgare idee e pubblicare notizie, immagini e parole, a scambiare messaggi in tempo reale, formare gruppi di discussione, pubblicizzare blog o pubblicazioni, azioni e attività, interessi e eventuali richieste e poi dichiarare che tutto quello che pubblichiamo è solo nostro.

Insomma è giusto cercare spazio e visibilità, ma poi non volerlo condividere?

Non potrebbe essere possibile chiedere solo di essere condivisi allo stesso modo?

E’ così importante sentirsi “autori!” e rivendicare continuamente il diritto d’Autore?

Il nostro tempo ha bisogno di questo, pur rispettabile, egocentrismo?



giovedì 13 dicembre 2012

Noi, che giocavamo alle signore, a campana o a indiani e cowboy

Giglio Tigrato

Da bambini era facile: si faceva il gruppo e prima del gioco ci si assegnava i ruoli; chi voleva giocare li doveva seguire onestamente, pena l’esclusione. A me non piaceva molto giocare alle signore, ma quando si esaurivano l’interesse per la campana o i quattro cantoni e nessuno maschio iniziava una auspicabile partita di pallone o era disposto a giocare a greci e troiani (in prima media si studiava l’Iliade) non rimaneva che giocare a fare la spesa, a cucire, a cucinare.
Sì, da bambini giocavamo onestamente, con rare eccezioni subito biasimate, e ci si immedesimava nel ruolo difendendolo fino in fondo. C’era anche un altro gioco bellissimo: indiani e cowboy, e lì si correva a perdifiato tra sterpi e cantieri che costruivano le nuove case, inseguendosi e picchiandosi la mano sulle gambe per simulare le pacche destinate alla groppa del cavallo: “yuhu!”. Il bello dei giochi dei bambini di allora, vedo che oggi non si gioca più così, era proprio il darsi o ricevere un ruolo. Il ruolo era fondamentale intanto perché c’erano quelli più ambiti e prestigiosi che bisognava conquistarsi meritando la stima dei compagni, e poi perché si potevano anche scambiare, ovviamente solo patteggiando:
-     va bene, oggi Achille sei tu, ma solo per oggi, domani tocca a me.
-     però tu porti il cartone per fare lo scudo!
Insomma imparavamo la schiettezza anche dalle leggi che ci si dava da soli.
I grandi? Fuori dai piedi, eravamo bambini e ragazzini seri, e non ci sarebbe mai venuto in mente di chiedere né consiglio né soccorso ai genitori; casomai, in casi estremi si minacciava “guarda lo dico a mio fratello…”, ad avercelo un fratello, ma io non avevo che una sorella più piccola, per niente utile in questi casi.
Per farla breve, io penso che sia stato con il giocare convintamente i miei ruoli, e molto più così che col catechismo, che ho imparato ad amare l’onestà e la chiarezza.
Tanto le amo ancora che non riesco a farne a meno, e me l’aspetterei, certo ingenuamente, anche da chi fa politica e casomai mi chiede di votarlo per rappresentarmi.
Per questo quando la solita tv o i soliti giornaloni riferiscono che il presidente tizio o l’ex presidente caio o gli onorevoli semproni & sempronie danzano sulle parole dicendo e disdicendo, affermando e rettificando, tacendo per tattica o esternando per confondere le idee mi sento venire l’orticaria e la nausea.
Esempi? Come se piovesse, ma li conosciamo tutti: da un lato le esternazioni del caimano re-veniens che senza imbarazzo, (e quando mai…) canta da sirena ma ha le squame anche sulla lingua, dall’altro un segretario, candidato premier, che si adegua all’agenda montiana ma poi dice che la intende in un certo modo suo e con qualcosina in più; da altri lati ancora i silenzi dei non innocenti che, piccoli alligatori quali sono, mettono appena il muso fuori dallo stagno e aspettano che un pollo smemorato gli caschi in bocca: l’elettore per l’appunto.
Meglio, molto meglio giocare fin da piccoli ad indiani e cowboy o a Achille e Ettore. O anche alle signore. O a campana. Gente così noi ragazzini seri non l’avremmo messa nemmeno a cercare pezzi di gesso o mattone, necessari per tracciare i segni sul marciapiede disegnando lo schema del gioco.
Li avremmo forse presi a sassate, ma non li avremmo accettati, e ci sarebbe stata la speranza che avrebbero imparato, chissà, la lezione.
Adesso per loro è tardi. E forse tocca a noi cambiare ruolo. Cambiare è necessario.
Ad esempio quando uscì il film di Peter Pan avevo le trecce, e fui subito Giglio Tigrato


mercoledì 12 dicembre 2012

Il caimano ridens, il coccodrillo lacrimans e noi, le prede


Indurre la frustrazione fa parte della strategia del potere, ossia della cosiddetta casta o meglio del potere ramificato e complesso che ci può dominare, anche psicologicamente, usando i media, i nostri sentimenti, la nostra irrazionalità, il legittimo desiderio di benessere e felicità. Non a caso il caimano reveniens torna agitando, insieme alla dentiera luccicante, il vessillo di una crisi che sarebbe psicologica e superabile e con lo slogan che il fiducioso buonumore (e a quello ci penserebbe lui a botte di velinazze) tornerà ed avremo soldi da spendere.
Ma non dovremmo dimenticare di chiederci: che je frega, al caimano, del popolo dei cittadini vessati dai balzelli e dai ricatti delle spese e dei bisogni, delle famiglie normali, degli esodati, dei licenziati, dei precari, dei malati, degli emarginati?
Il caimano è un predatore, questo caimano è un predatore ridens anche se, non nascondiamocelo, c’è a chi piace.
Però esistono anche caimani austeri, probi, sobri e mesti: di quelli che, dopo averti ben ben sbocconcellato, lacrimano come il fratello maggiore, il coccodrillo.
Infatti è vero che in natura, e tra noi, ci sono i predatori e i predati, ma è bene avere chiaro che per difendersi dai predatori bisogna individuarli e capire bene chi sono, e soprattutto non illudersi che un predatore ci possa difendere da un altro suo simile. Un coccodrillo non ci difenderebbe da un caimano, e un potenziale predato si suiciderebbe se, per difendesi dal lupo, si rifugiasse presso la volpe.
Caimani a parte, noi siamo trattati, e ci siamo lasciati trattare, da anni e decenni, come polli e galline: siamo stati chiusi in gabbie mentali e sociali ed allevati per la carne e le uova. Forse anche per le scadenti piume. Ci siamo praticamente abituati al cibo della gabbia: ci hanno infatti somministrato tanto becchime mediatico e terrore dell’altro che pensiamo di non poter fare più a meno né dell’uno né dell’altro. Abbiamo un frenetico bisogno di nutrirci di due fondamentali elementi: notizie manipolate e indifferenza ed odio verso il diverso.
Per imbrogliarci meglio, inoltre, ci hanno fatto identificare il diverso con categorie precise, facendoci dimenticare che il diverso, fondamentalmente, non è tale solo per razza, religione o orientamento sessuale, ma anche perché sostiene ed elabora un pensiero non conformato, non convenzionale, libero dal condizionamenti: non da pollaio insomma. E quel cibo ora ci sembra amaro.
Ma non siamo polli e galline, anche se a volte qualcuno si comporta come tale. Siamo umani sapiens, pensanti, potenzialmente nati liberi e dobbiamo riprenderci la libertà per ritrovarne il sapore, o almeno quel margine possibile di libertà da cui ricominciare.
Soprattutto non possiamo pensare che una libertà qualsiasi ci sia data in dono da un caimano ridens o in dote da un coccodrillo lacrimans come premio per essere sfuggiti dai denti aguzzi di suo cugino.Nessuno può chiamarsi innocente se non si oppone ai predatori; per opporsi ci sono tanti modi, ad esempio anche rifiutarsi di accettare il modello sociale e di consumo dominante, smettere di non pensare, rifiutarsi di dipendere dall’attesa del becchime delle notizie manipolate.
Non è per niente facile essere non allineati, ma è necessario.