chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

giovedì 13 dicembre 2012

Noi, che giocavamo alle signore, a campana o a indiani e cowboy

Giglio Tigrato

Da bambini era facile: si faceva il gruppo e prima del gioco ci si assegnava i ruoli; chi voleva giocare li doveva seguire onestamente, pena l’esclusione. A me non piaceva molto giocare alle signore, ma quando si esaurivano l’interesse per la campana o i quattro cantoni e nessuno maschio iniziava una auspicabile partita di pallone o era disposto a giocare a greci e troiani (in prima media si studiava l’Iliade) non rimaneva che giocare a fare la spesa, a cucire, a cucinare.
Sì, da bambini giocavamo onestamente, con rare eccezioni subito biasimate, e ci si immedesimava nel ruolo difendendolo fino in fondo. C’era anche un altro gioco bellissimo: indiani e cowboy, e lì si correva a perdifiato tra sterpi e cantieri che costruivano le nuove case, inseguendosi e picchiandosi la mano sulle gambe per simulare le pacche destinate alla groppa del cavallo: “yuhu!”. Il bello dei giochi dei bambini di allora, vedo che oggi non si gioca più così, era proprio il darsi o ricevere un ruolo. Il ruolo era fondamentale intanto perché c’erano quelli più ambiti e prestigiosi che bisognava conquistarsi meritando la stima dei compagni, e poi perché si potevano anche scambiare, ovviamente solo patteggiando:
-     va bene, oggi Achille sei tu, ma solo per oggi, domani tocca a me.
-     però tu porti il cartone per fare lo scudo!
Insomma imparavamo la schiettezza anche dalle leggi che ci si dava da soli.
I grandi? Fuori dai piedi, eravamo bambini e ragazzini seri, e non ci sarebbe mai venuto in mente di chiedere né consiglio né soccorso ai genitori; casomai, in casi estremi si minacciava “guarda lo dico a mio fratello…”, ad avercelo un fratello, ma io non avevo che una sorella più piccola, per niente utile in questi casi.
Per farla breve, io penso che sia stato con il giocare convintamente i miei ruoli, e molto più così che col catechismo, che ho imparato ad amare l’onestà e la chiarezza.
Tanto le amo ancora che non riesco a farne a meno, e me l’aspetterei, certo ingenuamente, anche da chi fa politica e casomai mi chiede di votarlo per rappresentarmi.
Per questo quando la solita tv o i soliti giornaloni riferiscono che il presidente tizio o l’ex presidente caio o gli onorevoli semproni & sempronie danzano sulle parole dicendo e disdicendo, affermando e rettificando, tacendo per tattica o esternando per confondere le idee mi sento venire l’orticaria e la nausea.
Esempi? Come se piovesse, ma li conosciamo tutti: da un lato le esternazioni del caimano re-veniens che senza imbarazzo, (e quando mai…) canta da sirena ma ha le squame anche sulla lingua, dall’altro un segretario, candidato premier, che si adegua all’agenda montiana ma poi dice che la intende in un certo modo suo e con qualcosina in più; da altri lati ancora i silenzi dei non innocenti che, piccoli alligatori quali sono, mettono appena il muso fuori dallo stagno e aspettano che un pollo smemorato gli caschi in bocca: l’elettore per l’appunto.
Meglio, molto meglio giocare fin da piccoli ad indiani e cowboy o a Achille e Ettore. O anche alle signore. O a campana. Gente così noi ragazzini seri non l’avremmo messa nemmeno a cercare pezzi di gesso o mattone, necessari per tracciare i segni sul marciapiede disegnando lo schema del gioco.
Li avremmo forse presi a sassate, ma non li avremmo accettati, e ci sarebbe stata la speranza che avrebbero imparato, chissà, la lezione.
Adesso per loro è tardi. E forse tocca a noi cambiare ruolo. Cambiare è necessario.
Ad esempio quando uscì il film di Peter Pan avevo le trecce, e fui subito Giglio Tigrato


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