chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

giovedì 28 aprile 2011

Royal Wedding & tv, bomba o non bomba e teste pensanti

Che i messaggi mediatici siano probabilmente negativi, se non nocivi, non me lo sto inventando io.
La sconcertante abbondanza di melassa mediatica sull’imminente Royal Wedding  (Matrimonio Reale del Principe William e Catherine Middleton) è un esempio che potrebbe valere per tutti.
Tuttavia anche se ci spostiamo nell’ambito dei programmi per ragazzi o, peggio, delle fiction, degli eventi sportivi, delle news o della stessa pubblicità cosa ci rimane di credibile e di condivisibile per non dire di istruttivo o educativo?
Il fatto è che se chi ha il potere di scegliere i palinsesti, ed il loro contenuto, ritiene che il pubblico si appassioni a quello che ci ammannisce un motivo ci sarà.
E il motivo principale è, amara verità, che siamo in troppo pochi a spegnere o a usare diversamente il televisore.
Intendiamoci: osservare è corretto e a volte necessario.
Sopportare, eventualmente, con leggerezza il royal wedding e sghignazzare sull’evento può essere oggetto d’intrattenimento.
Ma digerire tutto passivamente e fare zapping anestetico, ossia subendo e senza esercitare l’intelletto, tra bombe e non bombe (e mi riferisco a una canzone di Antonello Venditti ovviamente) mi sembra eccessivo.
E comunque, forse, non basta a fare o a dimostrare di essere teste pensanti, né a formulare utili ipotesi di futuro.

lunedì 25 aprile 2011

Liberare l'apprendimento

Scuola prescrittiva/senza alternativa?

Le proposizioni interrogative J espresse da Andreas Formiconi  (e a cui risponde anche …affamati,curiosi,folli… “Ma che cosa vi hanno fatto da piccini? Che cosa ci hanno fatto? Quando eravamo bambini facevamo tante domande. Usciti da scuola siamo terrorizzati di fare domande. Sicuro che vada tutto bene? Come facciamo a produrre poeti mirabili, esploratori coraggiosi, ricercatori brillanti, diagnosti acuti, in queste condizioni? E non stanno forse spiegando a tutto il mondo, i guru dell’economia e della tecnologia, che il futuro della società sta tutto nella capacità innovativa? Come facciamo a innovare se siamo terrorizzati di uscire dal seminato proprio negli anni che dovrebbero essere caratterizzati dal massimo ardimento?”

Proprio così, i piccini fanno tante domande: domande insistenti, curiose, sorprendenti, singolari, destabilizzanti. A volte sono gli stessi genitori a trovarle fastidiose e a  provvedere, tra tv e nintendo a sedare il piccino rompino. Poi completa l’opera proprio la scuola che toglie per sempre, al troppo curioso, il vizio perché il ragazzino domandoso è fastidioso non solo all’insegnante ma anche ai compagnucci perbene (e ai loro genitori prontamente informati). Se lui poi interloquisce è maleducato. Se addirittura interrompe o contesta l’insegnante ed insiste a voler essere preso in considerazione lo si classifica come ipercinetico o affetto da altra patologia e … si chiede il sostegno. No, certamente non si deve generalizzare. Ma a me è capitato che un collega di chimica abbia detto ad una mamma che suo figlio era handicappato perché “non sapeva stare fermo” e “disturbava la lezione”. Lo stesso collega si vantava in consiglio di classe del perfetto silenzio che riusciva ad ottenere in classe e delle “domande a raffica” che lui rivolgeva durante le interrogazioni. Insomma da piccini, e non solo, si perde il vizio di chiedere. A me, tanti anni fa, hanno insegnato a “non far domande chè potresti fare brutta figura…”
Però devo dire che non possiamo crogiolarci nel sangue delle ferite del passato. C’è un pericolo molto spiacevole in agguato ed è quello dell’autocommiserazione. Se da piccini ci hanno condizionato è pur vero che, giunti ad età adulta, e soprattutto giunti nell’età del massimo ardimento si deve reagire e imparare a vedere il mondo e i rapporti umani con i propri occhi. E quindi l’invito ad “uscire dal seminato” è un insegnamento da prendere molto sul serio. Abbandoniamo il signorsì e i bavagli mentali; liberiamo l'istruzione e abbandoniamo le caserme.

sabato 23 aprile 2011

Il silenzio imposto dalle certezze - di Mariaserena Peterlin



Il silenzio imposto dalle presunte certezze è come un opaco film di plastica che soffoca il pensiero e lo scambio di idee. E' un silenzio della mente a cui si impedisce di ascoltare perché le si trasmentte la paura delle parole dell'altro. Penso che dove si giudica e dove si proclamano certezze assolute, di quelle che si pretende di imporre a tutti senza né logica né uso di ragione, non c'è, non c'è mai stata e non ci sarà cultura. 
Non può esservi per il semplice motivo che chi giudica ed ha certezze assolute della cultura se ne infischia e pratica la prevaricazione nelle sue diverse forme. 
Una prevaricazione, ad esempio, è quella di far credere che non serve conoscere, ma basta esserci e possedere. 
La cultura, però, non è una meta che si possiede e su cui si sta come un territorio coloniale conquistato, ma è un processo in atto ed in evoluzione; le certezze e le sentenze invece sono come le lapidi che commemorano il passato e sostituendolo al progetto di futuro.

martedì 19 aprile 2011

Accendere il fuoco contro apatia, disillusione, anestesia emotiva - di Mariaserena Peterlin

Ho letto su web la riflessione di una persona che stimo molto e a cui voglio bene. Questa persona dice così: “A volte mi chiedo come sia possibile che non scoppi ogni giorno una rivoluzione. Non una rivoluzione fatta di parole e di mediocri pensatori, oramai s'è fatto tardi, ma una di quelle che oppone la carne a processi decisionali illegittimi e ingiusti. Carne. Una rivoluzione di quelle per cui la sera mi trovi ad aspettarti, con corpo e sangue, non con numeri e parole.”
Mi piacerebbe avere risposte all’altezza di questa riflessione, ma sono una persona semplice che ha solo spiegazioni parziali, semplici e da vecchio focolare. 
Quel focolare non è esistito solo nei dipinti. Mi piace immaginarlo come mito e come luogo vivo anche di esperienze narrate. Se qualcuno l’ha rappresentato per immagini è perché era anche simbolo del luogo in cui si ragionava e narrava, al riverbero della genuina fiamma rossastra del ceppo ardente nel buio della cappa piena di faville,  
La mia spiegazione da focolare è, necessariamente, sospesa tra allegoria e realismo. Io dico, fissando la mia fiamma sincera, che c’è in giro una pandemia di AAE: apatia anestetica antiemotiva. I sintomi sono: inerzia, sfiducia e lungo scontento; detti sintomi causano l’impossibilità a provare vere passioni e la sostanziale indifferenza alla propria sorte; infatti non si indaga sulle cause profonde del proprio malessere e non ci si accorge di quanto sia diffuso il contagio perché ci si adegua ad una sorte deludente ma comune (mal comune, mezzo gaudio recitava, infatti, il caminetto).  
Chi non prova passioni diventa sterile e quindi non può concepire nulla, nemmeno rivoluzioni. Le emozioni e le passioni (ed ogni nobile tensione umana) sono stati convogliati verso il privato personale oppure prudentemente, ma inesorabilmente spente.
C'è stato un tempo in cui si sfottevano i rivoluzionari imborghesiti, da salotto o sala-convegni dicendo "in caso di pioggia la rivoluzione si terrà al coperto"; inevitabilmente, copri oggi copri domani, il luogo coperto è diventato luogo privato. Nel luogo privato non si accende un fuoco comune, ma ci si accontenta di un personale plaid da ginocchia. Si esauriscono e disilludono le passioni che (eventualmente disinnescate) si vanno poi a raccontare alle defilippi, paolaperego o panicucci di turno.
Insomma la diffusione del contagio dell'AAE rende indifferenti e passivi.
Credo che, per iniziare una terapia efficace si debba ricominciare da una cura energica: la riscrittura attiva e condivisa di uno statuto morale che parli di dignità, di diritti, di bene comune. Abbiamo perso tanto tempo, e nel frattempo si fa scorpacciate di placebo; birretta con gli amici fidati, una botta di vita da w/e e via, qualche generosa manifestazione coi palloncini, tamburelli e  facce in maschera (di quelle che il vecchio Asor Rosa ha ammonito: "non sono sufficienti") magari uno spinellino sul finale, un concertone-gozzoviglia, un talk-show col predicatore-laico di turno e tutto finisce là. Dimenticavo: anche un insulto pittoresco a questo governo scarica la tensione e dà un senso di passeggero benessere, ma aggrava la malattia. Perché?
Semenzaio delle mie fragole

 Semplice: scaricare le tensioni, anestetizzare le passioni, disinnescare la ragione fa il gioco della pandemia; e soprattutto si peggiora nel caso frequente in cui "in caso di pioggia... al coperto” o anche con l'attendere con ansia la dose quotidiana di news dai media.

Perdonate lo sfogo, sono una persona semplice, e il mio mito del focolare domestico mi porta a ravvivare il fuoco, fin quando c'è legna;
 di boschi ne vedo sempre meno, ma io sono una che pianta alberi e semina fragole. Ci sono.

venerdì 15 aprile 2011

Eppure Asor Rosa dovrebbe esser ascoltato - di Mariaserena Peterlin

Eppure Asor Rosa dovrebbe essere ascoltato.  
Le reazioni al suo 
editoriale apparso sul Manifesto sono state di vario tono e colore, ma generalmente negative ed alcune addirittura alcune offensive: qualcuno ha parlato di colpo di stato e qualcun altro, addirittura di imbecillità.
Ma Asor non è affatto un imbecille.
Non ho mai aderito alle linee delle sue analisi, né all’impostazione della sua critica letteraria; ma credo che gli debba esser riconosciuta una indiscussa statura di studioso e di intellettuale.
Chi ha opposto alla sua opinione argomenti biechi o offensivi non fa un buon servizio né alla democrazia, né alla verità storica, né all’Italia.
Asor Rosa non ha, contro questo governo, polemizzato con i noti e soliti argomenti, ma con una propria linea di interpretazione e una proposta cui va riconosciuta un’elaborazione culturale di consistenza ben diversa rispetto a quella dei soliti noti che non nomino perché comunque si citano da soli.

Asor ha, infatti, scritto un testo pieno di passione e sdegno, ma ha anche proposto un’analisi, a tratti, accorata e ci ha richiamato alla Storia, alla Storia italiana ed Europea. Quanti lo sanno fare? Anzi la domanda corretta è: quanti sanno la storia?
Sulle tesi asoriane si può discutere proprio in quella direzione e non schierandosi dietro a un conformismo legalitario a cui, probabilmente, crede sinceramente ben pochi.
Leggere ed interpretare l’editoriale, invece di accontentarsi dei commenti che ne son stati fatti, non è affatto un esercizio banale, a meno che non si preferisca mettersi in coda alle tesi di Giuliano Ferrara (ma anche di Ezio Mauro) o di chi non aspetta altro che poter bastonare un avversario politico dall’alto del suo sussiego mediatico filoberlusca o antiberlusca.
Asor deve essere ascoltato, e le sue tesi discusse senza faziosità.
Tra l’altro appare anche evidente come la sua sia un’analisi, come s’è detto, passionale ma con un quadro di riferimento storico che non può essere ignorato.
Ad esempio Asor Rosa si interroga sulle cause del collasso di una democrazia e scrive:
“… quand'è che un sistema democratico, preoccupato della propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo distrugge, - o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.
Chi avrebbe avuto qualcosa da dire sul piano storico e politico se Vittorio Emanuele III, nell'autunno del 1922, avesse schierato l'Armata a impedire la marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hinderburg nel gennaio 1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla Reichswehr di far rispettare la sua decisione?”

Ebbene se è evidente che parlare di democrazia nell’Italia del 1922 è un’estrapolazione spericolata (non solo non votavano le donne, ma si votava con la legge elettorale del regno di Piemonte, per censo e gli elettori erano una minima parte della popolazione) vale tuttavia la pena di cogliere lo spunto più interessante e di chiedersi davvero perché Vittorio Emanuele III non abbia schierato l’esercito contro la marcia su Roma e il fascismo. Chi ha letto anche meno di due libri sa come la monarchia abbia a lungo tentennato ed abbia scelto Benito Mussolini solo per salvare se stessa e gli interessi di chi la sosteneva e non certo per fare un favore ai socialisti, agli operai o ai contadini. Per questo (e per altri motivi) l’affermazione di Asor è comunque interessante e dovrebbe far riflettere in direzione parallela ed analoga: cui prodest l’attuale Governo? Solo al presidente del consiglio?
Davvero siamo così candidi e sprovveduti da pensare che siamo di fronte solo ad un governo, per dir così, autoreferenziale che gode vantaggio di se stesso anche se, prima o poi, dovrà cedere il potere?
A una persona semplice, ma razionale non vien forse naturale chiedersicome mai il sistema-berlusca sia blindato e tutto sommato in concerto (nonostante le apparenze) con partner europei e non solo?

Ma non c’è solo questo; Asor Rosa afferma : “La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.” In natura, verrebbe marginalmente da commentare, i tarli stanno sempre dentro e nonfuori, ma proprio per questo la metafora è interessante. Il tarlo è dentro, non solo, ma, aggiunge lo studioso, lo storico, il politico: “Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è un fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente.
Non è sufficiente perché manca di autorevolezza. Affermazione grave. Dunque un sistema democratico come il nostro è, secondo Asor Rosa, in una tale crisi che non può far leva proprie risorse culturali, di pensiero politico; non sa elaborare una proposta diversa, influente, potentemente persuasiva tale da riuscire a determinare un avvicendamento che potremmo definire fisiologico.

 “Ciò cui io penso” prosegue l’editoriale “è invece una prova di forza che, con l'autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall'alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d'emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere” e aggiunge “ la democrazia si salva, anche forzandone le regole”.

E nuovamente rifletto: su queste, così pesanti, affermazioni può una persona semplice, ma razionale non chiedersi come mai la democrazia fallisce proprio laddove dovrebbe esercitare in modo più efficace la sua azione a beneficio del popolo? In sostanza perché non è sufficiente puntare su un avvicendamento delle forze in campo? Dire che la legge elettorale, regolarmente votata in Parlamento, non è adeguata appare una spiegazione proporzionata alla situazione?

In realtà sappiamo tutti che la realtà sociale è profondamente mutata e lo sono anche i nostri riferimenti culturali, i modelli sociali, il modo di guardare (con ansia) al futuro; siamo in piena crisi non solo economica, ma dei diritti.
Di questi argomenti, semplici ma ragionevoli, forse occorre tener conto, anche perché se la proposta di Asor Rosa, che ha alle spalle una vita di militanza politica e impegno culturale, è di chiamare carabinieri e polizia ci sarà forse qualche altro motivo che lo studioso non esplicita, ma a cui sembra indirettamente riferirsi.  E comunque queste deduzioni nascono proprio sulla scorta delle sue provocazioni.
Per questo non è da scartare l’ipotesi che Asor quando afferma “sarei davvero lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a pietiner sur place, mi persuadesse, - ma con seri argomenti – del contrario” sottolinei la mancanza di prospettive, di idee, alternative, di proposte politiche e di progetti condivisibili dai cittadini di questo paese.
Nello stesso tempo sembra mettere a nudo come ad occupare la scena mediatica e politica (a pietiner sur place ) siano, con scarso frutto, sempre gli stessi personaggi che ben poco hanno saputo fare tranne (come è accaduto) insultare chi esprime un parere dal sapore forte e amaro, ma che va ben oltre, piaccia o non piaccia, le genuflessioncelle e le riverenze di chi ha più care le poltrone e i cadreghini e pure gli strapuntini dal pullmann che non la verità.
 

mercoledì 13 aprile 2011

Testi scolastici: da ADOTTARE, SCARICARE o ELIMINARE? di Mariaserena Peterlin

I testi scolastici e la scuola: quanto sono vivi?
TERZA_a_2003-A
loro sono vivi, ma la scuola?
Qualche anno fa una mia collega mi ha raccontato, molto divertita, di un consiglio di classe in cui era all’Odg un noto argomento “conferma ed adozione libri di testo”. Come tutti sanno su questo argomento possono esprimersi anche i genitori rappresentanti di classe e in quella classe il rappresentante era, di professione, impresario di pompe funebri.Iniziò la discussione e l’impresario  prese arditamente  la parola chiedendo: “Voi che articoli avete?”
Ne seguì uno sghignazzamento mal represso degli insegnanti presenti: l’impresario di pompe funebri fu marchiato per il suo linguaggio, forse un po’ commercial-mortuario  e, imbarazzato, rientrò nei ranghi. I prof , trionfanti e soddisfatti, procedettero senza remore al dovere d’ufficio e la seduta terminò.
D’accordo, i testi scolastici non sono casse da morto (anche se non mancano riesumazioni di capitoli riciclati), ma perché farne una questione formale? I libri sono libri e (a torto o ragione) possono essere oggetti di culto e cultura; ma i testi scolastici spesso sono altra cosa. Spesso sono una semplificazione per il lavoro dei docenti e,  approssimando per eccesso, mi sento di affermare che un bravo insegnante potrebbe anche farne a meno, e non sarebbe un errore o una stravaganza da reprimere.
I libri di testo, che è d’obbligo adottare nelle scuole, rappresentano anche un lucroso affare, un business per gli editori. 
Le famiglie lo sanno bene, ma lo sanno ancor meglio le case editrici medesime che s’ingegnano a modificare capitoletti e paragrafi per allestire nuove edizioni aggiornate, rivedute e corrette per costringere ad acquistare il nuovo e a lusingare qualche docente per indurlo all’adozione e alla conferma.
Non tutto si può ridurre al discorso del denaro: ma è pur vero che se le famiglie investono centinaia di euro per acquistare è corretto ascoltarle su tutte le loro esigenze e perplessità e non tentare di metterle in condizioni di soggezione pseudo-culturale o d’altro tipo. Insomma secondo me aveva ragione l’impresari di pompe funebri: “che articoli avete? che ci volete far comprare?” e, di conseguenza… “è proprio necessario farci spendere tanto denaro?”.
Professori abbassate il ponte levatoi e non alzate troppa polvere, una buona ragione si può, si deve spiegare con semplicità. Altrimenti ha ragione l'on Carlucci  quando si esprime da par suo sulla imparzialità (vera o presunta) dei testi scolastici. Se le ragioni della scuola sono buone allora è giusto dirle in forma chiara e dimostrando competenza. Altrimenti lanciare segnali di sdegno e insofferenza verso le ingerenze di Carlucci, di Pinco Pallino o del malcapitato impresario-genitore di turno serve solo a rendere grottesca (o funerea) la situazione dell’insegnante che adotta testi vecchi, di vintage o finto-nuovi senza perplessità e considerandolo un suo sacro privilegio. Del resto, considerando l’abbondanza delle fonti di informazione e di testi scaricabili gratuitamente dalla rete potremmo dire che i libri scolastici vivono di una vita artificiale, ma che anche la scuola non sta tanto bene. 

martedì 12 aprile 2011

Letteratura scientifica, scienziati letterati e scrittori non solo umanisti

Sir  Arthur Charles Clarke
Partecipare, fluttuando nel cyberspazio, alla blogoclasse di Andreas Formiconi, per il corso primavera 2011 è un’occasione per imparare molto e di riflettere altrettanto. La recente blogolezione sulla letteratura scientifica, ad esempio, ha riattivato una mia riflessione depositata da tempo in fondo a qualcuno dei miei magazzini-bagaglio di lettrice ostinata, soprattutto di narrativa e poesia e non solo.
La letteratura scientifica è un campo specialistico, di cui il post fornisce una analisi importante; ma è pur sempre una forma di scrittura. Per questo motivo ho letto, e mi sono soffermata, su alcuni passaggi sui quali si mi si è spalancata la porta del mio magazzino di bagagli letterari.
Mi sono allora chiesta: quando scrive un cosiddetto letterato sente questa stessa esigenza? E’ disposto a immaginare che chiunque possa replicare o ripercorrere i suoi passaggi? E perché si sentirebbe libero di non farlo? Dove finisce, in questo caso, il decantato “patto narrativo” caro alla narratologia, ai semiologi, ai critici letterari?  Oppure a volte si immagina, ancora, la scrittura letteraria come un hortus conclusus ai non addetti ai lavori e aperto solo agli ortolani iniziati?
In realtà non sempre è così. La scrittura elitaria, simbolica,  volutamente oscura (o indifferente alla reazione del lettore) è una pratica decadente su cui si può consentire o meno; ma, a mio avviso, sono molti i grandi scrittori che non hanno seguito queste tracce e non hanno perseguito una scrittura che può fare a meno della logica, della dichiarazione dell’itinerario seguito e della possibilità per chi legge di orientarsi ripercorrendolo. Naturalmente dicendo questo sto interpretando il passo citato e lo riferisco ad un ambito non scientifico in senso stretto.
Eppure tra i suddetti grandi scrittori, e tra quelli ho letto con maggior interesse, che ho riletto e considerato irrinunciabili ce ne sono molti che non hanno formazione umanistica, non hanno esercitato la professione di letterato o non sono vissuti del mestiere di scrivere. Quale relazione c’è tra la scrittura e una mente, un’indole di formazione diversa?
Ecco perché mi sono ritagliata, all’interno della vivace e dinamica blogoclasse un ruolo di curiosa e affamata ascoltatrice, e mi sono limitata a un commento solo marginale dicendo anche che nel post di Andreas ho trovato un potente indizio ed una spiegazione.
A riprova, divagando e continuando a fluttuare, ho cominciato a scrivere un elenco di autori che amo molto e non solo da me, e ho unito a questa raccolta di nomi gli essenziali relativi dati biografici (colti su web, tanto per non uscire dalla blogoclasse o dal cyberspazio). Non ho elencato i più classici dei classici solo perché è arcinota la loro storia. Infatti, ad esempio, che Dante facesse parte dell’Arte dei Medici e degli Speziali e che avesse formidabili conoscenze filosofiche, teologiche e scientifiche (relativamente alla cultura medievale ovviamente) è nozione universale e familiare, così come il fatto che Machiavelli si considerasse un politico e uno storico piuttosto che un letterato, e potremmo continuare l'elenco.
Ho scritto, invece, un elenco, casuale e all’impronta, di autori messi giù man mano che mi venivano in mente. Ed ecco i risultati: grandi scrittori, di formazione  ed esperienza scientifica, tecnologica, commerciale, biologica, spesso poliedrica  o  comunque di cultura anche non letteraria o umanistica.
Non avanzo essuna pretesa di esaurire l’argomento con questo elenco, che rappresenta, più che altro un divertimento, un raccoglier frutti nel bosco; o forse uno spolverare il  magazzino-bagagli di lettrice ostinata e forse caotica.
Ma anche il caos ha il suo perché.
Elenco alla rinfusa
 sir Arthur Charles Clarke (Minehead, 16 dicembre 1917 – Colombo, 19 marzo 2008) è stato un autore di fantascienza e inventore britannico.
Isaac Asimov (Petroviči, 2 gennaio 1920 – New York, 6 aprile 1992) è stato un biochimico e scrittore statunitense di origine russa. Le sue opere sono considerate una pietra miliare sia nel campo della fantascienza che delladivulgazione scientifica.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, in russo: Фёдор Михайлович Достоевский[?] /ˈfʲodər mʲɪˈxajləvʲɪtɕ dəstɐˈjɛfskʲɪj/ ascolta[?•info] (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 28 gennaio 1881), è stato uno scrittore e filosofo russo. È considerato uno dei più grandi romanzieri russi dell'Ottocento e in generale di ogni tempo.
Lev Nikolaevič Tolstoj, in russo: Лев Николаевич Толстой[?], /ˈlʲɛf nʲɪkɐˈlaɪvʲɪtɕ tɐlˈstoj/ ascolta[?•info] (Jasnaja Poljana, 28 agosto 1828 – Astapovo,20 novembre 1910[1]), è stato uno scrittore, drammaturgo, filosofo,pedagogista, educatore, esegeta, teologo, editore ed attivista sociale russo.
Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850) è stato uno scrittore francese, considerato fra i maggiori della sua epoca.Romanziere, critico, drammaturgo, giornalista e stampatore, è considerato il principale maestro del romanzo realista francese del XIX secolo.
Carlo Emilio Gadda (Milano, 14 novembre 1893 – Roma, 21 maggio 1973 ottenne la laurea in ingegneria elettrotecnica. Come ingegnere lavorò in Sardegna, in Lombardia, in Belgio ed in Argentina.
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta, giornalista e critico musicale italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975 iscritto all'istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele", dove si diplomerà in ragioneria,
Italo Calvino nacque nel 1923 a Cuba (esattamente a Santiago de Las Vegas, presso L'Avana), dentro un grande bungalow del coloratissimo giardino botanico tropicale diretto dai genitori. Il padre Giacomo, detto Mario, fu un agronomo di origine sanremese, mentre la madre, Dorotea Evelina Mameli, detta Eva, nativa di Sassari, diplomata in matematica e laureata in scienze naturali, lavorò come assistente di botanica all'Università di Pavia.  Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato forse il narratore italiano più importante del secondo novecento.
Johan August Strindberg (Stoccolma, 22 gennaio 1849 – 14 maggio 1912) fu uno scrittore e drammaturgo svedese.La vita di Strindberg fu tumultuosa, tessuta di esperienze complesse e scelte radicali e contraddittorie, a tratti rivolta contemporaneamente a molteplici discipline non direttamente attinenti alla figura ufficialmente letteraria dell'autore: scultura, pittura e fotografia, chimica, alchimia, teosofia.
Aleksandr Isaevič Solženicyn, in russo Алекса́ндр Иса́евич Солжени́цын, traslitterato anche come Aleksandr Isaevič Solženitsyn oAleksandr Isaevich Solzhenitsyn, pronuncia Aliksàndr Soljenìzn(Kislovodsk, 11 dicembre 1918 – Mosca, 3 agosto 2008), è stato unoscrittore, drammaturgo e storico russo. Nel 1924, a causa degli espropri ordinati dal regime, si trovò nella miseria. Ciò non toglie che Aleksàndr continui gli studi e si laurei in matematica nel 1941.
Joseph Roth frequentò la scuola commerciale fondata a Brody da un magnate e filantropo ebreo, il barone Maurice de Hirsch. Diversamente dalle scuole ortodosse chiamate Cheder, non vi si tenevano solo lezioni di religione, ma, oltre all'ebraico e allo studio della Torah, si studiavano il tedesco, il polacco e materie pratiche. Fece la carriera militare, fu giornalista,
Fracesco Redi : Studiò a Firenze e a Pisa e lì si laureò nel 1647 in Filosofia e Medicina. Dopo la laurea Redi frequentò per tutto il 1648 la scuola di disegno di Remigio Cantagallina, come annotava nel proprio Libro di Ricordi. Continuò poi gli studi a Roma fino al 1654. Successivamente, a Firenze, entrò a servizio dei Medici e si dedicò allo studio delle lingue.


 E per ora ci fermiamo. 
Non ho citato Primo Levi perché sull'autore di "Se questo è un uomo" rimando al bel post di notanative:  "La chimica delle parole: Primo Levi narratore e scienziato

domenica 10 aprile 2011

Pagine bianche

cose che narrano
il mare lascia detriti di schiume

Brume, nel cielo di pagine bianche,
calcano orme grigie: pensiero.
E se quest’aria accogliesse una vela,
tra mare e cielo, sarebbe mistero.

Invece scivola lento nell’acqua
il flusso opaco d’un moto nascosto,
vita e non vita di regni, o risacca:
creature inerti od un granchio scomposto.

Sale e ritorna, la luna lo chiama,
il mare lascia detriti di schiume;
scende e risale nel tempo la vita
gira la carta, la storia è infinita.

Storia di storie, dettagli e bisbigli
trova te stesso, anche senza consigli.

mercoledì 6 aprile 2011

DELL'ACQUA E DEGLI ESPERTI D'ACQUA di Fermina Daza

Gli uomini hanno sempre avuto pozzi a cui attingere acqua più o meno fresca e oasi in cui vivere.
E’ anche vero, però, che col progredire del processo di desertificazione, le oasi sono diventate sempre più rare e i pozzi sempre più asciutti. È per questo motivo che i gruppi umani hanno scelto di fermarsi piuttosto che procedere: quale nuova forma di adattamento e di sopravvivenza, la sedentarizzazione è senza alcun dubbio preferibile al nomadismo. E più ci si insedia e più si perde l’innata capacità di spostarsi, più ci si radica e più si dipende dalla profondità del pozzo.
E in un clima di apparente democrazia, il pozzo induce dipendenza e crea bisogni. È questo il prezzo da pagare quando si preferisce sopravvivere in prossimità del pozzo e al bisogno di certezze non si risponde con l’attivazione delle capacità innate ma con la dipendenza da un bisogno che diventa necessità.
Intorno al pozzo ci sono sempre esperti di cose d’acqua, che si specializzano in cose d’acqua, che formano cartelli per proclamare il personale e sacrosanto diritto al controllo delle cose d’acqua. A poco a poco essi stabiliscono regole, fini e mezzi, come se per bere dell’acqua ci fosse bisogno di una qualche ragione e di una qualche legittimazione.
L’acqua è di tutti, ma chi non è esperto delle cose d’acqua vuole soltanto bere senza interrogarsi sulla portata della falda acquifera sotterranea o sui sistemi di captazione e gestione idrica.
E più si beve e più aumenta il bisogno di bere. Così, quando il livello dell’acqua tende a scendere, gli esperti delle cose d’acqua si fanno avanti e trasformano il diritto a bere in un diritto ad accedere ad un prezioso quanto raro bene di consumo. E come tutti i beni, anche questo sarà razionato, centellinato, gestito, distribuito a piacimento dalla casta degli esperti delle cose d’acqua.
L’abbandono della capacità di apprendere i significati da sé e per sé in cambio dell’efficienza della logica degli esperti di cose d’acqua.

Fotovedere giocando con la corrente

Guardare attraverso una fotocamera e un grosso cavo elettrico
Tra sogni tu guardi nel mondo 
lontano, cogliendo dettagli.
Li fissi: giganti o minuscoli 
e credi d'avere capito.
Poi torni, li svolgi in visioni
che vuoi ritrovare, ma intatte,
uguali e perfette ai tuoi sogni.

E invece ritrovi quel filo
elettrico ingombro alla vista
ma senza di quello,
sei cieco.
O vuoi riprovare il pennello
che toglie il dettaglio ingombrante
ravviva il colore un po' spento
e mente, ma ai sogni dà vita?

Mi tengo l'elettrico cavo.
È rude ed ingombra nel cielo,
ma pure è essenziale ed accende.

FFFrrrrzzzzz tack-click!

venerdì 1 aprile 2011

(modeste) le fonti del sapere, della conoscenza, dell'apprendimento - di Mariaserena Peterlin

Oggi affronto un tema complicato dal basso della mia presunzione diversamente abile di capire le cose. Presunzione vana? Se mi fermassi a questa domanda, comincerei uno di quei valzerini oziosi, autoreferenziali ed inutili che allietano la nostra sopportazione.
In realtà quanti di noi possono conoscere tutto de il se e il come si apprende? Io sento di dover fare la mia parte di tentativo.

- Te la do IO la conoscenza!
Per chi non si è confrontato a fondo con l’esperienza di rappresentare ad altri (recalcitranti di default) un sapere che a noi appare chiaro da capire e importante da apprendere, il mio tentativo appare forse velleitario.
A questo proposito è bene ammettere che siamo tutti disposti a riconoscerci uguali nella diversità, ma non a procedere nel cammino della conoscenza accettando di confrontarci con altre forme o procedure di comprensione e apprendimento.
Apparteniamo a una cultura (che consideriamo valida, soddisfacente ed accreditata) e spesso rifiutiamo di apprenderne una diversa.
Questo non è un problema a meno che non si pretenda di imporre la nostra a tutti. Ben più brutale e vano sarebbe, inoltre, non solo imporne i contenuti, ma anche il modo e il tempo con cui trasmetterne della conoscenza.
La questione che io pongo non riguarda, stricto sensu, quelli che, nel campo dell’istruzione, potremmo definire il “programma di studio” o “l’ordine degli studi” .
Nessuna persona di buon senso può pensare di cancellare di colpo una convenzione necessaria poiché è evidente che per essere preparati a diventare avvocati, medici, tornitori o cuochi e così via non può fare a meno di acquisire un bagaglio competenze che mettano sulla buona strada per ottenere dei risultati e non far danni.
Rifletto invece sulle “fonti del sapere e della conoscenza” ragionando non su quello che ma sul come e mi riferisco ad un contesto generale di apprendimento, come quello attuale, in cui la fonte a cui si abbevera chi è chiamato ad apprendere è, sempre più frequentemente, mediata e presto potrebbe essere quasi esclusivamente il web.
Ripeto: dal basso della mia presunzione diversamente abile di capire le cose rilevo una serie di miei dubbi anch’essi bassi ma radicati.

Il primo è già espresso: è ragionevole ipotizzare come risolutrice un’unica fonte a cui dissetarsi (pur se prodigiosa, ricca, sorprendente e di solito attendibile)?
Il secondo dubbio è più un timore: l’istruzione è palesemente chiamata, dall'alto e nei fatti, a rinunciare alla maieutica, un'arte peraltro già troppo spesso ignorata dagli insegnanti di ogni ordine di istruzione. Si ricusa, cioè, quella forma di attento adattamento del bravo maestro all’ascoltar-dialogando col pensiero altrui che sa guidare senza prevalere e incoraggia a trovare un pensiero proprio: una ricchezza personale benefica alla collettività che sarebbe nocivo perdere. Si svaluta dunque l’Arte pedagogica anti-violenta per eccellenza.
Il terzo dubbio è che possa accadere che questa globale autostrada del sapere e dell’informazione assorba talmente il tempo e la curiosità da non lasciare abbastanza curiosità e tempo per quella meravigliosa esperienza che sono le scoperte casuali (intese nel senso più ampio possibile).
Una scoperta casuale può infatti riguardare tutto, da un nostro talento mai coltivato, a una altra persona, un fenomeno, un fatto, un’esperienza, un sussulto, una poesia e via dicendo.
Un esempio in breve: se rovisti in un catalogo di biblioteca alla ricerca di un autore o di un argomento (che libidine gli schedari per autori e per soggetto…) puoi imbatterti, sfogliando sfogliando, in qualcosa che non sapevi esistesse; ma allo stesso  modo se esci a passeggio in un luogo sconosciuto o se guardi con occhi diversi le solite cose puoi trovare, purché tu sia recettivo e curioso un motivo di interesse da coltivare. Ancora: se un ricercatore (di qualunque materia) sta seguendo, in modo originale, aperto, curioso, dubitativo una sua pista gli può accadere di incrociare o scoprire anche casualmente un dettaglio inatteso che lo devia altrove, ma lo porta a risultati importanti per tutti.
Allora mi chiedo: quanto è intelligente un motore di ricerca nel selezionare le risposte alle voci che noi digitiamo nell’apposita casella?
Non sto proponendo un ritorno a metodi di ricerca manuale lentissimi, sto solo interrogandomi dal basso della mia presunzione diversamente abile di capire le cose e ragionando sul fatto che il pensiero individuale va preservato in ogni modo possibile. Sto notando che nella scuola (e in generale nel modo di comunicare sapere) la maieutica è già stata praticamente archiviata in favore dell’omologazione delle forme, dei tempi e dei modi di apprendimento, e che accade sempre più spesso di trovare le stesse citazioni o gli stessi concetti espressi e proposti come se fossero originali.
Sarebbe importante invece valorizzare l’uso delle fonti e farne esperienza originale e non mediata. Credo che le fonti vadano preservate e indicate come la genuina sapienza da cui iniziare, dissetati, un cammino proprio.
Anche a costo di cavarne l’acqua come da un pozzo; tirandola su con una cigolante carrucola.

pozzo nel deserto (Immagine da web)
Cigola la carrucola del pozzo, 
l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...
                          Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'atro fondo,
visione, una distanza ci divide.