chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

venerdì 20 agosto 2010

A che serve la scuola? di Mariaserena Peterlin




immagine da web
Gli studenti, nelle nostre scuole, di solito sopravvivono e sopravvivere non è il modo più bello di vivere e tanto meno di fare esperienza, maturare e crescere per diventare cittadini liberi, pensanti ed autonomi.
Per sopravvivere sono indotti ad adeguarsi al modello che colui che sta in cattedra (non mi regge il cuore di chiamarlo comunque docente) impone.
Possiamo davvero dire che se ripetono quello che gli si impone i nostri ragazzi hanno "imparato"?
Se i nostri alunni vengono a scuola per ricevere norme, regole e un tot di cose da trattenere nella mente dobbiamo anche chiederci: "per quanto tempo quel tot di cose gli rimarrà in memoria?"
E possiamo anche dubitare : "hanno davvero imparato?"
Affermo con un paradosso, o meglio con una divagazione paradossale: imparare è come partire, ossia morire.
Speravo di non dovere più sentir dire, mentre lo sento ogni giorno, che la scuola ha come scopo di fare imparare.
Quando, alla fine del suo libro Manzoni  fa dire a Renzo "ho imparato, ho imparato, ho imparato," il romanzo, guarda caso, finisce; anche il protagonista se ha imparato a sue spese e dall’esperienza, e non certo da prescrizioni, divieti e consigli ricevuti dagli altri egli smette di essere interessante e torna ad essere uno qualunque di cui non c’è niente da raccontare.
Vorrà dire qualcosa? O da allora non è cambiato nulla?
Fine del paradosso, o meglio della divagazione paradossale.

2 commenti:

Loretta Bertoni ha detto...

"Gli studenti, nelle nostre scuole, di solito sopravvivono e sopravvivere non è il modo più bello di vivere e tanto meno di fare esperienza, maturare e crescere per diventare cittadini liberi, pensanti ed autonomi."

Quoto Serena, tutto questo è tristemente vero e veramente triste. Chi deve imparare in effetti siamo noi, i docenti, che dobbiamo capire come si sta insieme ai ragazzi; non sono loro che devono adeguarsi, se proprio dobbiamo parlare di adeguamento (ma io preferirei definirla partecipazione) è più giusto che siamo noi a farlo.
Si impara solo dall'esperienza, non dal momentaneo assorbimento di vuote regole e nozioni, si impara e interiorizza (che sono sinonimi a mio avviso) dal fare, non dall'ascoltare più o meno distrattamente.
Rimbocchiamoci le maniche dunque, ma soprattutto svestiamo i panni consunti della vuota saccenza e indossiamo quelli nuovi, freschi e colorati della creatività, della passione per il nostro lavoro e dell'amore per i ragazzi.

Serena Peterlin ha detto...

"Si impara solo dall'esperienza", verissimo, e se si vuole imparare, come ben sappiamo!