chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

venerdì 18 marzo 2011

Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò? di Mariaserena Peterlin

Inno con testo completo

Nel fervore patriottico-nazionale suscitato in Italia dalle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità del suo territorio radunato, tra moti di indipendenza, guerre di conquista, insurrezioni e annessioni, sotto lo scettro monarchico del Re galantuomo Vittorio Emanuele II Savoia, abbiamo ascoltato e riascoltato l’Inno di Mameli, o Inno d’Italia come ormai abitualmente si definisce.
L’Inno è stato modulato con nu pocolillo ‘e voce commossa nella performance sanremese di un noto comico toscano, è stato anche rappato da Fiorello (in altro spazio tv), ed anche declamato e spiegato da musicologi e storici del Risorgimento, ma non solo.
Ha rappresentato un metro di valutazione della fede di italianità e di educazione civica di persone (di una certa sociale importanza). Le sopracciglia italiane si sono aggrottate in sù a proposito di interrogativi fondamentali:  il calciatore X lo ha cantato? e la sindaco Moratti? e… i leghisti lo canteranno? 

Bossi no, ma si è alzato in piedi ed ha applaudito. Sollievo.
Insomma ma ‘ndò haway se l’inno non lo canterai? 
Nel frattempo molti bravi italiani si sono spolmonati, tra manifestazioni piovigginose, ma piene di fervore,  fuochi d’artificio o imbandieramenti di edifici.
Ho visto, inquadrate in tv, persone di tutte le età: anche bambini, innocenti, che convinti ed allegri-commossi cantavano con la mano sul cuore: “che schiava di Roma Iddio la creò”.
Più di tutti mi ha colpito un gruppo di signore d’età,  mamme e nonne, vestite con tutta semplicità, donne con le loro belle facce naturali (di quelle che si dedicano agli altri, alla famiglia e al lavoro da sempre; di quelle ancora capaci di mandare avanti la vita) ebbene anche loro con la mano sul cuore cantavano.
Cantavano versi stentorei “stringiamci a coorte, siam pronti alla morte / siam pronti alla morte / L’Italia chiamò!  SÌ !!
Faccio fatica ad esultare. 

Certo, tutto ha una logica: la rievocazione storica, la festa per l’unità nazionale sviluppata, dalla pubblica opinione, anche in chiave anti-leghista, il messaggio che cerca di dar vita ad un'Italia nuova e ripulita dalle anomalie: capisco tutto. 
Ma non mi sento particolarmente commossa. Rispetto le opinioni anche se non possiamo nasconderci che uno studio più attento della nostra storia potrebbe indurre a moderate riflessioni.
Mi chiedo tuttavia se siamo davvero tutti convinti, anche in considerazione dei recenti lutti nelle missioni all'estero, e tenendo conto della situazione del Mediterraneo (che potrebbe diventare teatro di una guerra che, come tutte le guerre si sa quando inizia ma non si sa se e quando e come finisce)  se davvero tutti noi possiamo spensieratamente cantare “siam pronti alla morte, l’Italia chiamò” (e cancellare l’Italia che ripudia la guerra, l’Italia pacifica eccetera eccetera, non ne parlo, non so a chi interessi ancora).
Possiamo cantare “siam pronti alla morte”, e dirci convinti di una guerra e della morte guardando negli occhi i nostri figli? 
Non nel mio nome. Per piccolo che sia. 

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