chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

lunedì 29 agosto 2011

eBOOK - La (mia) classe non è.doc - di Mariaserena Peterlin

Entro in classe. Guardo assenze-presenze già scritte nell’ora precedente. Meccanicamente leggo le annotazioni e le firme dei colleghi; anche quest’anno qualcuno ha scritto, nello spazio riservato alla casella degli argomenti delle lezioni, la frase rituale "conoscenza con la classe". In casi come questi l’elegante-sportivo collega D’Orazio che insegna lettere in un corso parallelo, mi definisce, senza tante esitazioni, ipercritica e non costruttiva; perciò sanziona, saviamente, il mio eccepire su forma e sostanza. 
Mi astengo dunque dall'esprimermi sulla vuota ovvietà della frase rituale, invece m’impunto impaziente, nell’approccio verso una classe nuova, sulla disinvoltura con cui si adopera la parola conoscenza.
Mi guardo intorno: l’aula, ridipinta, chissà quando e da chi, di un freddo colore verde mentolo da emicrania, ricorda i camici chirurgici degli ospedali di fiction televisive, ma anche certe minuscole rane velenose delle foreste amazzoniche.
Le finestre ampie, nemmeno gli infissi opachi di sporcizia sedimentata riescono a velare lo splendore del sole, sono tutte aperte.
Fuori, sulle robinie e gli allori, assaliti dalle edere incolte, le cicale strillano ancora ininterrotte e solamente di tanto in tanto sovrastate dai rumori del traffico, delle ambulanze in corsa verso il pronto soccorso del vicino Ospedale S. Eugenio, dei taglia-erba manovrati dai bidelli.
Istantaneamente tutto l’esterno diventa un unico rombo sonoro di fondo, mentre qui dentro è, per un lungo attimo, il silenzio: sono entrata, li guardo e mi guardano.
Sono loro i miei trentuno interlocutori: hanno sedici o diciassette anni, sono tutti maschi e appaiono goffi, sproporzionati e sudati.
Li osservo presentendo che li troverò inglobati nel loro brodo primordiale d’irrancidite abitudini scolastiche.
Li scruto, mi paiono a loro volta rassegnati, forse sono invece semplicemente in attesa.
"Buongiorno ragazzi"
"Buongiorno" ripete qualcuno rifacendomi un po' il verso.
"Che significa, che dovevamo alzarci in piedi?" prosegue un po' diffidente.
"Perché me lo chiedi?"
"No, visto che ci ha salutato, pensavo che ce volesse fa' capì, che insomma, noi invece..."
"Tu sei?" chiedo abbastanza incuriosita, e solo per conoscerlo...
"So' Ugo!" dichiara un po' animoso e sulla difensiva.
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