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da Wikipedia |
Nell’ieri di quel film andavano in scena la trasgressione di una donna troppo amante e troppo poco madre e lo schematismo tradizionalista di un marito troppo offeso per essere padre; la situazione è l’adulterio e la rottura di un equilibrio in un matrimonio di convenienza, le dinamiche sono mosse dalla passione colpevole degli amanti e dal conformismo ad un modello socio-famigliare rigido e fatto di elegante esteriorità.
Ma il titolo del film del geniale De Sica ci riporta al vero protagonista: il bambino Pricò.
Pricò non ha, in realtà, né papà né mamma poiché nessuno dei due ha in sé abbastanza paternità o maternità da comprendere che la vittima consapevole e cosciente, di tutto è invece proprio lui.
Tolte l’ambientazione e le tradizioni compassate e formali di un ambiente alto-borghese la tematica di fondo non cambia di molto e potrebbe essere attualizzata e letta come una metafora.
Pricò, nel finale del film, viene portato in collegio come a un deposito bagagli. Nessuno lo ascolta e mentre lui ha tutto visto e compreso. In collegio Pricò si suicida.
Ci sono tanti modi di scomparire anche senza morire.
Un bambino scompare ogni volta che la sua infanzia non è rispettata e questo accade ogni giorno. Guardiamoci intorno.
Dalla mancanza di reale tutela dei bambini svantaggiati alla pornografia quotidiana in tv, dall’essere considerati bambini oggetto di contesa e di ricatto alle lunghe ore di solitudine anche nella scuola quando il programma da svolgere è il primo e unico comandamento. Per tacere degli episodi più odiosi.
Non dico che le condizioni in cui si vive favoriscano i bambini. Affermo tutt’altro. Gli orari, i turni, il precariato, i diritti (per dli adulti) alla propria realizzazione personale: c’è di tutto, meno che attenzione all’infanzia. Quest’ultimo Natale qualche genitore, senza lavoro, non ha potuto fare nemmeno i regali. E non ci sono solo queste situazioni che suscitano pena o orrore.
C’è lo stritolamento della quotidianità; ho sentito una giovane donna parlare in un supermercato. Era la cassiera e diceva: no, non faccio un altro figlio perché me lo dovrebbero crescere gli altri. Oggi, quando l’ho lasciata a scuola, la ragazzina mia piangeva. Ormai capisce. Mi vede solo la sera quando stacco. È troppo poco il tempo che passo con lei.
Quella cassiera ha guardato sua figlia ed ha capito. Noi come paese, invece, non guardiamo i bambini.
I bambini ci guardano ancora, anche mentre noi guardiamo i politici che rissano in tv o che snocciolano discorsi sul futuro, ma non parliamo con loro. Ascoltiamo opinionisti che parlano di scelte, quando sappiamo benissimo che non possiamo e non potremo più scegliere nulla a meno che non si ricominci a ricostruire intorno a noi una umanità diversa, ma non ascoltiamo i figli.
Ascoltiamo quelli che ci parlano di una scuola pubblica insultata o quelli che la insultano, ma la scuola è rigida su se stessa e non produce nè promuove il cambiamento; e scivoliamo verso penna, inchiostro e calamaio e tanto conformismo borghese.
Ascoltiamo quelli che ci parlano di una scuola pubblica insultata o quelli che la insultano, ma la scuola è rigida su se stessa e non produce nè promuove il cambiamento; e scivoliamo verso penna, inchiostro e calamaio e tanto conformismo borghese.
I bambini non fanno oh che meraviglia che meraviglia; (anche perché ormai chi ha i soldi se li compra, come cuccioli di razza selezionata, alle banche del seme e dagli uteri in affitto e chi non può smette di farli…). I bambini non fanno oh, ma ci osservano. Sono troppo innocenti per giudicarci, ma non per subire la realtà.
E se questo discorso viene inteso come una vecchia predica moralistica, allora, purtroppo, ho ragione io.
1 commento:
Tutti parlano, ma con chi parlano? Gli adulti parlano con gli adulti, i ragazzi parlano con i ragazzi, gli adulti parlano con i ragazzi. Bene, tutto a posto. Proviamo, con slancio quasi positivista, a porre una bilancia contaparole in prossimità dei vari tipi di comunicazione. Tra adulti e adulti la bilancia è assolutamente in equilibrio, appunto, si tratta di pari. Stessa cosa per ragazzi e ragazzi. Vabbé, qualche litigata tra pari, qualche silenzio tra pari, ma alla fine comunque i conti tornano sempre, la bilancia contaparole si esprime sempre e comunque per l’assoluta parità. E quando la comunicazione non è tra pari? Beh, la bilancia contaparole in questo caso permette di osservare che il peso di una massa è direttamente proporzionale al peso delle parole che essa è in grado di produrre. La formula è ampiamente conosciuta ed applicata.
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