Premessa: questo è un testo lungo per essere un post; ma non ho scelta. Si tratta di dire cose che non sempre possono essere lanciate come uno slogan
disegno di Nadagemini, un mio ex-alunno da cui ho imparato |
Ho compiuto una lunga carriera di insegnante e nonostante vi sia approdata per caso l’ho vissuta con entusiasmo sentendomi utile, mettendomi in discussione e cercando di imparare.
Mi sento tanto diversa dagli
attuali insegnanti che discutono, protestano, sciorinano le loro convinzioni a
cui sono tanto affezionati; non sono migliore, sono diversa, aliena come se
venissi da una galassia estranea al sistema solare attorno a cui loro vanno galleggiando,
tutto sommato, senza disagio profondo. Paradossalmente li sento arcaici, lenti,
addormentati. Li sento vecchi: io vecchia prof sento più vecchi i quarantenni,
i trentacinquenni (per tacere degli altri).
Disinvoltamente, secondo me,
discutono di merito e il demerito, di buono e
non buono, impegno e il disimpegno, e perfino di intelligenza e non intelligenza: per me discutono di taralli e tarocchi pedagogici. I
presupposti sono tali per cui quelle discussioni nascono sterili. Lo voglio
scrivere e lo sto scrivendo in questo spazio mio.
Non contesto l’utilità delle
discussioni: ne contesto il palco, la scena, l’azione, la partitura. Ne
contesto la barricata, la strategia. E credo sia un diritto contestare.
Nel merito del merito potremmo
citare cento esempi di geni adulti che sono stati somari a scuola: ma a che
serve?
La scuola è interazione, se
non funziona non è per demerito di uno solo.
Ma perché te lo dico?
Perché ho scritto dieci anni
or sono, in piena attività; un testo da cui non torno indietro. Adesso ho
troppi anni addosso per affrontare una classe "a modo mio", ossia con
la tenerezza e la violenza necessarie ad entrargli dentro il cuore e la
mente per capire e farmi capire.
Ma la persona che scrisse questa risposta alla lettera di James Hillman agli insegnanti italiani è ancora qui che pesta la sua tastiera: sono io.
Ma la persona che scrisse questa risposta alla lettera di James Hillman agli insegnanti italiani è ancora qui che pesta la sua tastiera: sono io.
Risposi a modo mio, senza
sapere niente di particolare di quel signor Hillman di cui ora ho qualche libro. Mi
sarei dovuta documentare?
Ma perchè? Lui scrisse, e io, come ci fu chiesto, risposi. Lui si era forse documentato su me e sui docenti italiani? Ne dubito.
Quindi siamo pari; ma quella sua lettera mi è piaciuta tanto e mi è piaciuto
rispondergli. Ecco qui il testo. E se leggete il Manifesto degli insegnanti vi accorgerete che il suo dna ne è stato, e non poco, contaminato nonostante sia difficile pensare che se ne converrà facilmente :)
Risposta al
professor James Hillman
Gentile James
Hillman,
ho d’impulso deciso
di risponderle perché l’impatto con i suoi pensieri, le sue riflessioni e le
sue analisi ha prodotto su di me, nello stesso tempo, l’effetto del pungolo e
del balsamo.
Insegno, che parola
impegnativa... Italiano e Storia a ragazzi tra i sedici e i diciotto anni; la mia
non potrà dunque essere un’analisi scientifica ma, al più, una riflessione
empirica e forse generica. Detto per inciso mi ha incuriosito e divertito
l’aderire alla “gara” (le tre migliori risposte addirittura premiate!) che mi è
sembrata, in un certo qual modo, coerente alla ricerca di Hansel e Gretel nel
bosco. Spero che nel lasciarsi tentare dalle delizie dei premi promessi non
capiti, anche ai concorrenti, di essere catturati dalla strega!
Colgo l’occasione
per immaginare di tornare alunna, di svolgere il compito e di prendere,
ancora una volta, parte ad un gioco del quale ora conosco un po’ meglio le
regole, ma da cui altrimenti sarei esclusa perché fuori tempo massimo. Ritorno
con la mente nelle aule dove la scuola era sottomissione, dove ero costretta a
dimostrare qualcosa, magari inventando e fingendo, china sul banco e sui fogli
bianchi così ostili ai miei pensieri e sento ancora il freddo dell’ansia e l’odore
dell’inchiostro sulle dita macchiate.
Gentile professor
Hillman, parto da una considerazione che mi sembra realistica anche se ovvia:
quando i nostri ragazzi approdano alla scuola l’Educazione, di cui lei parla,
ha già operato in modo massiccio su di loro (questo ancora di più per le
Superiori). Vale la pena di puntare
l’indice contro qualcuno? Non solo la famiglia, ma l’ambiente sociale, i media,
gli sport praticati, le associazioni frequentate, il quartiere, la strada e
così via influenzano e condizionano i bambini e le bambine (fin da
piccolissimi) e gli adolescenti.
Stimoli e modelli in
alcuni casi positivi, ma non solo, li avvolgono, li attraggono, stampando
un’impronta, una sorta di “uniformità” che probabilmente ha effetti più
dominanti su quanti crescono in ambienti, per diversi aspetti, meno illuminati,
meno evoluti o colti.
Una volta a scuola
avranno la ventura di, finalmente, incontrare un insegnante disposto a
confrontarsi con la loro molteplicità, che ne riconosca l’irripetibile
individualità, valorizzi e faccia uscir
fuori l’individualità dei pensieri, dei sentimenti, delle passioni, del
carattere? Qualcuno restituirà, come
giustizia vorrebbe, un’opportunità di crescita e indicherà loro,
democraticamente, la strada per scoprire se stessi?
Noi abbiamo queste
responsabilità. Oppure è giustificabile limitarsi a denunciare senza reagire e
senza fornire qualche strumento? Pur essendo noi stessi immersi e pressati
dalla quotidiana uniformità della massificazione non dovremmo rifiutarci di
esserne omologati?
Tuttavia: quanta
fermezza per accettare questa sfida, quanta convinzione umanistica, quanta
disponibilità a mettersi in gioco deve possedere chi accetti l’evidenza (tale a
me sembra) delle molteplicità delle intelligenze, delle immaginazioni, dei
sentimenti delle persone-studenti? E come può riuscire a far convivere gli
obiettivi formativi del sistema scolastico con il far camminare l’insegnare e
l’imparare, come Hansel e Gretel, nella varietà del bosco e dei loro pensieri?
Qualche indispensabile
margine di libertà va dunque affermato e difeso nella pratica
dell’insegnare/imparare, perché se invece fosse inevitabile il sottomettersi
alle regole volute dall’esercito di amministratori, esperti e specialisti si
dovrebbe senza indugi consigliare affettuosamente ad Hansel e Gretel non la via
del bosco, ma quella della clandestinità.
L’Educazione può
davvero togliere il respiro e l’anima all’insegnare e all’imparare quando
i sistemi educativi non prevedono e sopprimono le emozioni.
Eppure è la storia a
dimostrare come, più di quanto non lo facciamo noi insegnanti, siano gli
studenti a resistere e, penso,
con ottime ragioni.
Non ho conosciuto
studenti che rifiutassero il confronto e il dialogo (il che non esclude, come
per ogni forma di comunicazione la possibilità di fraintendimenti o errori)
anzi di solito hanno verso il rapporto con l’insegnante un’attrazione e una
curiosità istintiva.
Questa istintività
li guida a riconoscere e distinguere senza sbagliare il fratello con cui
attraversare, “l’uno per l’altro”, l’uno con l’altro, il bosco; il
complice con cui percorrere un itinerario dell’anima e della mente intuendo di
non doversi difendere dall’altro, ma di doversi guardare, insieme, dalla strega.
Lo stesso istinto fa
riconoscere a noi insegnanti il (come negarlo?) prediletto, l’affine e questa
dinamica evoca e attiva la bellezza dell’insegnare/apprendere. A me sembra che
questo legame non tolga nulla agli altri, anzi acuisca ed aumenti la profondità
del dialogo, renda più facile allargarlo e distribuirlo, più interessante,
anche per gli altri, parteciparvi.
Si è diffusa, per
cattiva sorte, una recente categoria di studenti veramente “difficili”: ragazzi
precocemente, artificialmente, invecchiati che arrivano a scuola, anche per le
ragioni suddette, con una mentalità già rigida e conservatrice nel senso
peggiore cui si abbarbicano tenacemente; credono di sapere già tutto su come
vanno il mondo, la società, la politica e ritengono di poter pretendere un tipo
di insegnamento acritico e preconfezionato, ingurgitano passivi nozioni
mnemoniche tratte da porzioni di libri e… presentano il conto per ottenere un
voto. Quando, come e per colpa di chi è potuto accadere che il loro animale ed
istintivo voler imparare sia stato radicalmente modificato? E come abbassare la
loro ottusa difesa e tentare di convincerli al dialogo se non travolgendoli
affettivamente? I risultati potrebbero richiedere anni di lavoro ma, come ha
detto la mamma illuminata, di un mio studente, Tito, gli insegnanti sono
“seminatori”...
La tendenza del
sistema educativo sembra invece tenere poco conto di ciò, preferendo
incoraggiare la sistematizzazione. “Progetti didattici”, “educativi”,
“gestionali” si diffondono oggi nella nostra scuola italiana come infestandola;
si potrebbe sensatamente obbiettare che non si può lavorare alla cieca e che
non ci si può muovere senza scegliere direzioni, strategie, metodi,
obbiettivi…Tutto vero, ma chi beneficerà
davvero di queste scelte? Mi chiedo se il bisogno reciproco di
insegnare/imparare, non contaminato da interessi economici o da tattiche di
carriera, resisterà alle strategie didattiche dell’Educazione.
Le istituzioni sono
necessarie perché non possiamo fare a meno di strutture, luoghi deputati, amministratori e così via; forse non possiamo
rinunciare nemmeno alla piazza, al mercato. Come è vero che non possiamo vivere
senza aria, ma non potremmo nemmeno respirarla se fosse soffiata compressa a
forza nei polmoni perché anche il cuore cederebbe; come non possiamo vivere
senza acqua, ma essa ci può anche travolgere, schiacciare, affogare.
Talvolta,
guardandomi intorno, ascoltando i discorsi dei colleghi (nelle riunioni, nei
corridoi, nelle aule) mi sembra di percepire davvero che l’Educazione e i dogmi
educativi ci vogliano imprigionare nella casa della strega e costringere a
prostituirci, ma che, ahimè, non per
tutti questo sia davvero un problema.
Se lo volessimo
forse sapremmo almeno cercare una via d’uscita (non dovrebbe essere impossibile
a chi si nutra di studi).
E gli studenti? I
più intelligenti e vitali non hanno perso la voglia di sognare e di ribellarsi
all’Educazione e rivendicano la dignità della loro protesta. E’ indispensabile
ed essenziale ascoltarli e rispettare la
loro resistenza all’imparare; da essa nascono idee, sentimenti, passioni,
esperienze: i giochi della vita e del futuro. Le loro diversificate e
molteplici, impetuose e violente ribellioni sono inoltre generose e prive di
calcolo e, anche se possono apparire
sproporzionate e contraddittorie, sono stimoli vitali per noi.
Non ho conosciuto
studenti indifferenti al dialogo con l’insegnante che si occupi di loro.
Conosco invece
insegnanti che non si occupano dei loro studenti, ma li giudicano.
Conosco e ricordo,
inoltre, personificazioni di Educazione del tutto insopportabili tanto per me
(insegnante), quanto per loro (studenti).
Conosco e ricordo
tanti educatori presuntuosi che, nella loro serissima professionalità, pur non
avendo mai sperimentato il senso vocazionale dell’insegnamento e vivendo con
infelicità e frustrazioni il loro ruolo, si ostinano a non scegliere un altro
lavoro.
Gentile prof.
Hillman, conosco anche bravi insegnanti, poco propensi a “sottomettersi senza
protestare ai dogmi educativi” come lei scrive; la loro bravura è di
solito il risultato di una ricerca individuale per nulla gratificata, poco
incoraggiata, quando non ignorata dalle istituzioni; ma continuo a pensare che
la nostra attività richieda comunque capacità e volontà di fare, quando
necessario, scelte autonome e personali.
E termino esprimendo
una forse incongrua speranza (o un pio desiderio): che il mettersi in gioco,
l’imprudenza e il rischio che sottendono ad ogni iniziativa volta alla comune
scoperta di quello che il bosco di Hansel e Gretel nasconde, continuino ad
attirarmi; perché non mi accada, ancora per un po’, di provare la miserevole
amarezza di non trovare più nessuno che voglia ciò che posso insegnargli e di
non riuscire a capire perché. Un saluto affettuoso
M. Serena Peterlin
Roma, 16 Dicembre
2002
2 commenti:
Sempre grandissima, Maria Serena! Stamattina ho curiosato un po' e ho condiviso nella mia pagina FB alcuni dei post (anche non recenti) da te pubblicati su questo blog. Un caro saluto.
Grazie A.Simone, purtroppo non riesco a trovare la tua pagina FB, pensavo che ci fossimo già scambiate l'amicizia, ma non trovo il riferimento.
Puoi aiutarmi?
a presto
Mariaserena
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