chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

lunedì 1 novembre 2010

SONO UGUALE E DEVO ESSERLO di Fermina Daza

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Così recita l’articolo n. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948).

In base all’articolo appena citato, l’uguaglianza si configura come un valore che, recependo pienamente il diritto naturale di ciascun uomo, si concretizza come vero e proprio dovere al perseguimento dell’equità.

Ma quali sono i criteri in base ai quali si può perseguire il diritto/dovere all’uguaglianza? Chi stabilisce le regole dell’uguaglianza? Come può essere evitato il rischio che qualcuno sia più uguale dell’altro?

E soprattutto, quale relazione è possibile stabilire tra diversità e uguaglianza?
A tal proposito può essere fatta una duplice riflessione: se da una parte il tentativo di abbattere le disuguaglianze generate dalla diversità dà vita a politiche ispirate alle pari opportunità, dall’altra la ricerca dell’uguaglianza a tutti i costi innesca un pericoloso processo di massificazione.

E ancora.
Le forti diversità economico-culturali delle società umane creano veri e propri sistemi chiusi, quasi delle enclaves. In tali contesti, la pratica dell’eterofilia è solo apparente poiché la diversità culturale ed economica dei sistemi chiusi, paradigma alternativo alla diversità biologica, è sempre più spesso generatrice di eterofobia.
All’interno di tali sistemi chiusi come viene gestito il rapporto tra diversità e uguaglianza? La tendenza è ad integrare o ad assimilare la diversità?

5 commenti:

Serena Peterlin ha detto...

Un post denso e complesso sul quale non è facile iniziare la discussione.
Posso dire, per iniziare, che i tre principi "Uguaglianza, Fraternità e Libertà" appaiono inscindibili.
Penso che la meta raggiunta (o meglio prefigurata) dal pensiero Illuminista ha, in questa direzione, un senso più profetico che non storico.
Presa in sé l'uguaglianza potrebbe configurarsi comunque come uno steccato perfino elitario.
Unita alla Libertà e alla Fraternità invece diventa diritto in senso più pieno.
Ma questo forse è ancora il passato.
Guardando avanti occorre riprendere le fila di un discorso razionalistico che va ben oltre quello umanitario (o umanitaristico).
Proporrei un'ipotesi che metto volentieri in gioco: nessuno si arroghi il privilegio di poter concedere l'uguaglianza, nemmeno per legge. Il diritto all'uguaglianza (insito nella dignità dell'essere umano) spetta "ad ogni individuo".
"Spetta". Non deve quindi essere messo in discussione.
Ma si deve discutere su tutte le ambiguità che discendono da una possibile affermazione dell'uguale più uguale o dall'uguale diversamente uguale.

"SONO UGUALE E DEVO ESSERLO" è un post complesso, denso, aperto a sviluppi che è importante discutere.

Serena Peterlin ha detto...

Riprendo il testo del post: "L'uguaglianza si configura come un valore che, recependo pienamente il diritto naturale di ciascun uomo, si concretizza come vero e proprio dovere al perseguimento dell’equità."
Dunque l'uguaglianza è "un valore " e sono d'accordissimo. Mi chiedo allora :L'uguaglianza ha regole? Ma se avesse bisogno di regole significherebbe che non è percepita come qualcosa che appartiene alla morale naturale dell'uomo e dev'essere codificata?
Oppure invece di partire dal presupposto che esiste come diritto dobbiamo partire da una prospettiva diversa ossia che l'uguaglianza è un obiettivo educativo, è un risultato, è crescita verso una umanità finalmente evoluta?

Fermina Daza ha detto...

Claude-Adrien Helvétius nel 1758 pubblicò un saggio intitolato “De l'Esprit”.
L’opera, condannata dal papato, dal parlamento parigino e dalla Sorbona, conteneva un’idea assolutamente rivoluzionaria: gli uomini nascono uguali e le differenze derivano dall’ambiente in cui vivono e dall’educazione che ricevono.
In particolare “l’ineguaglianza di spirito che si riscontra tra gli uomini dipende dunque dal governo sotto il quale vivono, dal secolo, più o meno felice, in cui nascono, dall’educazione più o meno buona che ricevono”.
Come dare torto ad Helvétius? Gli uomini nascono uguali e la vita li rende differenti, questo è in soldoni, ma proprio in soldoni, il messaggio dell’illustre enciclopedista.
La nostra è un’uguaglianza faticosamente raggiunta per il diritto all’istruzione, per il diritto alla salute, per il diritto alle pari opportunità e per mille altri diritti ancora… insomma, un’uguaglianza codificata… una sorta di welfare state…
E se il welfare state viene meno, il diritto all’uguaglianza è comunque garantito? La risposta è sotto i nostri occhi…
Allora è chiaro che l’uguaglianza, prima che essere un obiettivo economico e sociale, è un obiettivo educativo, senza alcun dubbio.

Serena Peterlin ha detto...

Se l'obiettivo di educare all'eguaglianza fosse raggiunto sarebbero gli uguali a difenderla ed esigerla per primi.
Anche se l'esempio che sto per fare è marginale chi non ha mai detto o sentito dire e rinfacciare(sia da studente, sia da genitore sia da insegnante) "però non è giusto che io sia trattato diversamente da...?"
Dico che l'esempio è marginale perché non stiamo parlando solo di questo tipo di uguaglianza, forse questo esempio è più adatto a ciò che potremmo definire "percezione di eguaglianza". Tuttavia è un sintomo.
L'affermazione di Helvétius è importantissima, la condivido pienamente e trovo sia più che mai attuale.

Fermina Daza ha detto...

“La percezione di eguaglianza” spesso viene superata dalla “percezione della discriminazione”.
E parliamo pure della scuola, il luogo in cui la discriminazione culturale si fa più evidente.
Sempre più il successo scolastico dipende dalla condizione socioculturale degli allievi e non dalle effettive capacità possedute.
Non sempre la scuola riesce a farsi carico delle esigenze dei “meno fortunati” … Affermazione scontata, certo, ma vera, assolutamente vera.
Se un alunno riesce a dire “però non è giusto che io sia trattato diversamente da…” vuol dire che si percepisce come soggetto avente diritto… è un buon inizio!
E quando l’alunno non lo reclama questo diritto? Timidezza o percezione della discriminazione?
Sempre meno gli alunni reagiscono alla discriminazione con la ribellione, sempre più spesso preferiscono il silenzio.