chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 29 febbraio 2012

E' possibile una scuola che educa anche i prof?

Non poteva passare inosservato: imponente, trasandato, con un vocione perforante sempre al massimo del volume, il prof Alfredo d’E. debuttò nel nostro istituto e fu immediatamente assegnato al mio triennio A ricco di classi naturalistiche, alcune di 33 alunni; ovvio, il preside mi voleva bene, diceva che ero “da prima linea”.
Espansivo ed estemporaneo, pronto ad accettare il dialogo, ma anche ingenuamente esposto ad ogni provocazione da parte dei nostri alunni, noti come i più selvaggi dei 1200 dell’affollatissimo istituto, divenne immediatamente leggenda.
Il prof d’E. aveva l’abitudine di parlare quasi sempre in romanesco anche durante le lezioni e di mutarsi d’abito ogni quadrimestre; compenso ad ogni intemperanza degli studenti stilava, sul registro di classe, furibonde note disciplinari che spesso tracimavano dalla quieta sintassi scolastica codificata da sempre. Aveva anche irresistibili eccessi d’azione.
Conoscendone i punti deboli lo provocavano in tutti i modi non soltanto i suoi ragazzi, ma anche quelli delle classi adiacenti che, mentre lui faceva lezione, bussavano alla porta della sua aula e fuggivano scatenandone urla e improperi. Chiunque si sarebbe innervosito. Ma lui, durante una faticosa e tarda  mattinata di primavera, reagì anche fisicamente.
Esasperato dall’ennesima rappresaglia dei ragazzi non trovò migliore soluzione che staccare di peso entrambe le ante della porta sfilandole dai cardini e parcheggiandole in corridoio. Ritenendo, finalmente, risolto il problema provò a continuare la lezione inondando i corridoi col solito vocione.
La scena, goduta dai ragazzi della classe, provocò i loro applausi, ululati e fischi coronati da un coro coniato per l’occasione:Uno di noi, Alfredo uno di noi! Uno di noi, Alfredo uno di noi! (sul motivo di Guantanamera.)
Il DS intervenì e, data un’occhiata alle rovine e all’autore di tanta impresa chiese qualche spiegazione. 
Alfredo, sudato, furente e tuttavia compiaciuto, rivendicò il motivo della sua performance. Il DS, mordendosi il baffo grigio, non disse nulla e se ne andò; forse prendendosela, anche lui come gli eroi del Metastasio, con le stelle.
Nessuno tra gli insegnanti, molto incuriositi e affacciati dalle rispettive aule, intervenne per aiutare, se non altro per solidarietà umana, quel gigante pur indifendibile; anzi i sussiegosi testimoni se ne ritennero esenti ed esentati riservandosi di commentare il fatto nel sussurrio e nel chiacchiericcio dei grigi e mormoranti corridoi.
Gli alunni difficili della terza A rimasero un problema personale dei loro insegnanti che, evidentemente, se li erano meritati essendo persuasi che l’insegnare implichi affrontare quei problemi.
Ma le storie e la storia, anche quelle di scuola, sono maestra di vita che insieme al trascorrere di quel galantuomo del tempo, insegnano.
E noi, insegnanti del corso A, non eravamo un club di snob.
Il prof Alfredo d’E., gradualmente imparò a riflettere e a rettificare le sue abitudini; gli furono utili sia l’esperienza, sia qualche amico ossia la nostra vicinanza, sia l’affetto degli studenti che, a modo loro, gli volevano bene e, messi di fronte alle conseguenze delle loro azionacce, temperarono i loro eccessi.
Invece di snobbarlo o sfotterlo, alcuni colleghi presero a cuore Alfredo, che peraltro si dimostrava molto competente nella sua disciplina, e iniziarono a dargli piccoli input tra cameratismo e ironia lieve. E lui si affezionò. Mise minore impeto, nelle sue imprese, lesse e studiò i precedenti verbali del consiglio di classe (scritti dalla prof di lettere) e si offrì a sua volta di verbalizzare, frequentò più spesso barbiere e lavasciuga traendo soddisfazione dai risultati. Ma ogni tanto si lasciava andare al richiamo della foresta. 
E quindi non perdemmo, che in parte, le perle del pittoresco suo linguaggio.
Storiche alcune sue frasi, vecchia maniera, rivolte agli studenti:
“Co’ voi se perde la pazzienza, la prudenza e puro la strada de’ casa!”
“Hai scritto tante stronzate che ‘sta lavagna mo’ puzza de mmerda!”

Ma… "Honni soit qui mal y pense ". La scuola non è “fuori” dal contesto sociale, per capirla e viverla bene occorre lasciare che il fuori entri, o almeno iniziare a guardarla anche da fuori.
Alla fine Alfredo cambiò scuola. E la storia, quindi, è senza finale.

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