chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

giovedì 30 giugno 2011

LA SERVITU' VOLONTARIA



In che cosa consiste il dovere?
Arrivare puntuali a scuola? Entrare in classe e fare l’appello? Prendere nota degli assenti e dei ritardatari?. Controllare i compiti? Spiegare? Interrogare? Valutare? Preparare relazioni? Ricevere i genitori? ….
Siamo davvero liberi nel compiere tutte queste azioni? Tutti siamo liberi a partire dalle leggi. Ma quali leggi? Le conosciamo davvero queste leggi? E se le conosciamo, le condividiamo davvero o ci limitiamo semplicemente ad applicarle? Ci poniamo domande sulla loro necessità o sulla loro eticità? E se lo facciamo, sappiamo dare delle risposte che non contengano implicitamente la giustificazione dell’autorità?
E se fare il nostro dovere ci rendesse paradossalmente complici di un processo distruttivo? E se fare il nostro dovere ci mettesse contro i nostri stessi principi? Saremmo disposti a fare resistenza o preferiremmo consacrarci ufficialmente alla servitù volontaria?
Noi che educhiamo all’obbedienza, saremo capaci di praticare la disobbedienza? Noi che rappresentiamo l’autorità, saremo capaci di resistere all’autorità? Noi che educhiamo al pensiero, continueremo ad obbedire senza pensare? Noi che cerchiamo il consenso, saremo capaci di togliere il consenso?
Tutti siamo liberi a partire dalle leggi. La legge del dovere ci fa liberi? Sì, liberi di fare il nostro dovere e di produrre, soli e isolati. Servi volontari della catena di montaggio, a produrre ciò che pagheremo a caro prezzo.

7 commenti:

Serena Peterlin ha detto...

Quali sono gli obbiettivi di chi insegna?
Si può insegnare senza educare? Io penso di no.
Educare è una sfida ed insieme un impegno. Avrà successo il processo che mettiamo in atto? Questa è la verifica vera.
Ma chi educa? Nel campo dell'educazione troviamo solo gli insegnanti e la scuola e i genitori? Certo che no. Tanto maggiore allora, per chi lavora come insegnante è educare alla libertà, insegnare la libertà, trasmettere la passione per il pensiero che ragiona, che vaglia, che non riflette se stesso ma si apre al dialogo e allo studio.
Tanto più fondamentale allenare le menti all'analisi dei dati che ci bombardano quotidianamente.
Tanto più prezioso un insegnamento che trasmetta l'esigenza di non essere burattini che pensano col cervello degli altri o che altri influenzano.
Tutti siamo liberi a partire dalle leggi. La legge del dovere ci fa liberi? Sì, liberi di fare il nostro dovere e di produrre, soli e isolati. Servi volontari della catena di montaggio, a produrre ciò che pagheremo a caro prezzo.
Siamo liberi a partire dalle leggi: mi viene in mente una frase “la legge è fatta per l’uomo, e non l’uomo per la legge”. Chi la pronunciò pagò a caro prezzo questa affermazione, forse anche perchè educava, anche lui, alla libertà o forse perché quella frase suggerisce che non siamo tutti uguali perché conformati a modello, ma siamo uguali per il valore che diamo alla nostra umanità. E’ possibile educare senza un riferimento ai valori oltre che alle leggi?
La sfida è aperta. Non basteranno le categorie delle opinioni dei vari conformismi a farla tacere.

Gianni Marconato ha detto...

Giusto Maria serena porci tutte le domande che fai. Ho la sensazione che siamo proprio come il pesce che è l'ultimo ad avere cognizione dell'acqua. Se non dessimo per scontate tante cose che nel frattempo sono diventate inconsapevoli abitudini, qualche problema in più ce lo porremo.

Sul tema della servitù volontaria, a prescindere dalla pessima lettura che recentemente ne ha datPanza-Ferrara, ho scoperto di recente un libretto del 1500 di Etienne de la Boetie, "Discorso sulla servitù volontaria" recentemente ristampato da Chiarelettere Editore. In appendice il "saggio sull'arte di strisciare a uso dei cortigiani" di Paul H. D. d'Holbach. Da non perdere

Fermina Daza ha detto...

Etienne de la Boétie è citato nelle etichette del post.

Gianni Marconato ha detto...

Scusa FD, non avevo letto che era stato scritto da te (solo per la citazione, mica per altro!) anche se il sospetto ce lo avevo avuto. Non avevo neanche letto le etichette. Sorry bis

Serena Peterlin ha detto...

Nemmeno io avevo letto le etichette :-) ero molto presa dalla potenza del post e non ero andata oltre... Sull'affermazione di Gianni Marconato " siamo proprio come il pesce che è l'ultimo ad avere cognizione dell'acqua" (affermazione che gli è cara e credo di ricordare di aver letto in un suo post che mi piacerebbe ritrovare) vorrei aggiungere che in questo periodo mi capita di avere non solo la percezione, ma anche le prove che si stia diffondendo una specie di pesci predatori che hanno già deciso che:
a) l'acqua è solo per loro e quelli come loro
b) gli altri pesci devono essere “regolati” perché pretenderebbero di aver bisogno dell'acqua.
Non mi sento molto originale dicendo questo (c'è la favola di Fedro sull’agnello e il lupo che, finite le argomentazioni sul fatto che l'agnello gli inquinasse il ruscello si inventa quello che il padre dell'agnello avrebbe detto male di lui...) ma dovremmo/potremmo ragionare: vogliamo lasciare che siano "le regole" a decidere e che queste mutino a seconda del pesce (o del lupo) dominante di turno, oppure sappiamo già che l'acqua, come metafora della vita e della libertà, è essenziale per tutti e che è essenziale non permettere che sia contingentata?

Serena Peterlin ha detto...

Rileggo e mi accorgo che sono andata un po' oltre l'argomento del post; mi succede spesso quando si parla di educazione e scuola perchè non riesco a separare gli ambiti. La scuola è nella società e c'è per contribuire a formare la società stessa per il meglio. Ci riesce? e se non ci riesce perché? Quanti problemi. :-)

Fermina Daza ha detto...

Le idee e il pensiero devono tornare ad essere un patrimonio comune dell’umanità. Non importa che a scrivere siano questo o quello, il copyright non è né un diritto né un dovere, è soltanto un’ulteriore forma di limitazione della libertà.
Sempre più spesso mi capita di osservare come gli uomini siano più interessati alla forma che alla sostanza. Le leggi di per sé non sono né buone né cattive, sono semplicemente degli “argini” posti a “regolare” i diversi contesti in cui si esplicitano le relazioni umane.
Sempre più spesso le norme regolano la forma e non la sostanza.
Quando ci interroghiamo sulla validità delle prove invalsi, siamo pronti a dichiarare la loro infondatezza o, al massimo, ad accettarle come la prova provata della nostra professionalità. Se ci dichiaramo contrari a tali prove, le considerazioni ruoteranno sul come evitare di somministrarle, sul come fare eventualmente resistenza passiva. Se ci dichiaramo favorevoli, facciamo tutti gli scongiuri del caso e ci auguriamo che i risultati mostrino la nostra competenza. In ambedue i casi, al centro del nostro agire noi poniamo la norma, la legge. Sia che siamo contrari, sia che siamo favorevoli, non usciamo di un millimetro dal sacro pomerium. Sia che siamo favorevoli, sia che siamo contrari, il tutto si esaurisce nell’arco di due mesi al massimo. Poi il silenzio. E poi nuovamente la polemica. Un’unica certezza: i risultati delle prove invalsi che verranno utilizzati dal sistema per allontanare da sé qualunque responsabilità, responsabilità che verrà immancabilmente addebitata ai fruitori e ai gestori del servizio scolastico

Mai in nessun caso, ma potrei sbagliarmi, ci viene in mente di chiederci se sia davvero possibile valutare. Siamo immersi in un sistema in cui il “dare conto” è diventato il paradigma universale. “Dare conto” non è come “darsi conto”. Dare conto è proprio della struttura verticistica, di quella struttura in cui il potere è lontano dalla base che dovrebbe rappresentare. Darsi conto è proprio di un sistema in cui sono i soggetti stessi ad interrogarsi sul loro modo di agire, a proporre soluzioni, ad auregolamentarsi. L’autonomia non è nulla di tutto ciò.
Lo scritto di Etienne de la Boétie è stato usato come metafora, o come parabola, per andare contro il potere. Anche in questo caso la forma ha prevalso sulla sostanza. Se parli del potere, da qualunque parte stai, finisci per riconoscerlo, per legittimarlo.
Nessuna riflessione sul nostro stesso potere, emanazione di un potere più grande, figlio portatore dei geni paterni.