chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

domenica 19 giugno 2011

Raccontare di scuola: chi, come e perché. Magari anche a chi - di Mariaserena




La (mia) classe non è.... doc!

Perché continuo a parlare di scuola?
Una risposta certa è: perché è stata tanta parte di me, e perché non parlo di scuola per dirne bene o male, ma perché la considero un tutt’uno coi miei ragazzi.
Infatti mi chiedo: sarebbe davvero possibile narrare per fare affiorare un qualche esempio di buon insegnamento oppure raccontare per riflettere su un possibile buon insegnamento? Oppure è possibile costruire un buon insegnamento dalla pratica della narrazione?
Secondo me non è affatto semplice.

Per me raccontare è come voler bene. Si sceglie e si è scelti. 
E infatti si assume tutto di chi o di ciò a cui si vuol bene. Chi vuole bene è attratto ed attrae, non fa dei test attitudinali per capire, anzi preferisce abbandonarsi all’entusiasmo o alla curiosità suscitata da una irrazionale affinità. Salvo poi pentirsi, ma questo viene dopo.

Cosa significa, dunque, “narrare”? Credo che dipenda dal contesto. Dipende da chi sia il nostro interlocutore e chi ci ascolta. La narrazione è condizionata anche dall’argomento.
Chi scrive davvero sceglie o decide di raccontare, di qualunque argomento si tratti, quando intravede o percepisce, in chi l’ascolta, una persona in grado di comprendere.
Per questo non si narra, tranne casi patologici (ce ne sono, ma ci vuole tanta pazienza), a chi non mi sa ascoltare o a chi penso non interessi affatto quello che racconto.
Banale è dire: io narro. Io racconto. Già. E con ciò?
Uno scrittore può mai immaginare di narrare un episodio, una situazione, una vicenda fatta e filata immaginando di non essere mai interrotto, da chi lo legge?
Forse sì, a patto che non scriva di scuola. Ma non lo consiglio a nessuno.
La scuola, in essenza, è interlocuzione, dialogo; è interrelazione assidua e necessaria.
Penso che un bravo insegnante, con esperienza vissuta a cuore aperto nei confronti del suo lavoro, percepisca sempre ed inevitabilmente, quando narra di scuola, la presenza invisibile ma viva, fluida, liquida e dinamica dei suoi interlocutori abituali: i suoi ragazzi. E anche se gli anni passano loro restano e con loro l’esperienza che ci ha mutati.
Io sono insegnante e racconto: a Marina, a Pietro, a Simone, a Serena, a Emanuele, ad Eva, a Francesco, a Nicola, a Michele, a Michela, a Ilaria che ha fatto una irripetibile tesina sulla luna ecc ecc.
E se invece chi racconta di scuola narrasse a se stesso o estraniandosi dalla sua abituale realtà o addirittura a una piccola virtuosa congregazione di simili a sé ovvero di altri docenti addetti ai lavori?
E se invece io narrassi percependo o cercando di catturare consenso condiviso e restituibile? 
No, secondo me non funziona. Spero che comunque non mi riguardi.

Questi sono alcuni degli interrogativi che mi propongo quando ripenso a quello che ho  fatto, o meglio a quello che ho scritto e che scrivevo man mano che passavano le mie giornate di scuola. Ad esempio La (mia) classe non è doc l’ho scritta proprio man mano, giorno dopo giorno di scuola. Ne ho tante ancora di cose da raccontare, ma non avrò mai l’ambizione di essere di buon esempio.
Quando leggo romanzi o racconti di scuola scritta non mi ci ritrovo quasi mai: ma forse è inevitabile.
Noi insegnanti viviamo in una dimensione in cui ci è difficile accettare le opinioni degli altri. E non è un bene, anzi: è un bel difetto da cui tutti dovremmo emendarci. 
Per questo l'auto-raccontarsi è un rischio.
Percepisco questi interrogativi, o chiamiamoli pure dubbi, perché a me sembra che nei libri degli altri che parlano o narrano di scuola manchi sempre qualcuno; e non manca un convitato di pietra giudicante. Mancano i addirittura i protagonisti veri.
Come si fa a raccontare la scuola senza “loro”, senza la voce dei nostri ragazzi?

Allora mi tengo i miei difetti e le mie presunzioni. Vi racconterò, probabilmente, ancora di scuola allo stesso modo in cui parlerei di me. In prosa e in versi. E mentre racconterò so che mi piacerà risentire il brusio di fondo, individuare la testa rasa e flashata di Pietro, lo sguardo indagatore di Simona, gli occhi attenti e a volte dubbiosi di Emanuele, il viso ironico di Andrea che si nasconde dietro lo zaino, le teste chine di Fiammetta e Michela che prendono appunti meticolosi, quell’aria un po’ così di Michele e mi piacerà anche  immaginare il vetro polveroso, il registro di classe, liso e pieno di note, e l’odore inconfondibile di una classe vera. Com’è quell’odore?
Dipende dai gusti, a me me gusta.


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