Proprio in queste ore la politica è stata richiamata ad abbassare i toni, ma non lo fa. Da quando il chiasso e la gazzarra fanno più audience della comunicazione riflessiva e pacatamente argomentata siamo tutti chiamati a fare il ruolo della plebe arringata dal tribuno di turno. Ma non è detto che anche noi dobbiamo accettare di essere solo comparse in azione telecomandata.
Il modo della scuola potrebbe invece uscire dalle Sale insegnanti e dai Consigli di Classe con un proprio modello di comunicazione rinnovato ed efficace. Non ci mancano gli strumenti né le competenze per farlo e potremmo, anche in tempi medio-brevi, verificarne l’efficacia.
Alcuni argomenti della scuola sono d’interesse non soltanto didattico, ma anche sociale ed, indirettamente, politico intendendo per politico ciò che si può essere attinente alle relazioni tra cittadini e con lo stato.
Mi riferisco ad esempio all’argomento: “analfabetismo di ritorno" attualissimo ed oggetto di sondaggi, di interventi e di commenti mediatici e non.
Argomento che sfiora, anche se molto lateralmente, l'attuale convegno della Dante Alighieri sul ruolo della lingua italiana in età risorgimentale e su quale ho postato una mia Nota su fB, anche per vedere cosa dice la ggente" e i risultati sono stati interessanti. La nota si intitola Polemiche (preistoriche) sull'analfabetismo di ritorno .
Non ho invitato a leggerla (taggando) nessuno, tranne Gianni Marconato confidando nel suo ruolo di osservatore.
Su fB la situazione comunicativa è interessante perchè possono intervenire tutti, anche genitori, studiosi ed esperti non presenti altrove, sui blog o sui forum, ma anche colleghi-amici, studenti e così via. La discussione si è subito avviata ed il tono è stato sempre corretto: vivace e riflessivo, i contenuti ricchi di contributi.
Sono consapevole che si tratta solo di un piccolo esperimento personale, ma sono ormai molti mesi che verifico situazioni analoghe a questa anche su argomenti diversi; mi sembra dunque di poter dire che quando ci poniamo in modo aperto e franco ma anche disponibile all’ascolto, senza deflettere dalle nostre ragioni ma essendo pronti a comprendere quelle degli altri, allora otteniamo risultati utili e, perché no? rasserenanti.
Essere insegnante è un po’ come scegliere uno stato irreversibile, lo si è (sovente) per sempre: questo ha conseguenze positive: siamo attenti, aggiornati, curiosi e forniti di solide basi culturali; ma siamo anche (parlo per me…) portati a fare un po’ sempre lezione. Questo non aiuta e anzi allontana chi tenta di seguirci o interagire.
Per fortuna non siamo politici, non abbiamo sul collo il fiato del consenso da ottenere anche, come dicevo sopra, cavalcando l’eccitazione popolar-mediatica. Dunque possiamo essere un modello importante.
Mi spiace sempre quando affermiamo qualcosa e poniamo come prova “l’ha detto anche il giornale X o Y”. Mi spiace perché, facendo così, abdichiamo al ruolo (socialmente modesto, ma culturalmente essenziale) di Magister.
Come insegnanti dovremmo riprendercelo.
Perché no?
chi sono
Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.
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