chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

mercoledì 29 dicembre 2010

Scuola - poesia di Mariaserena Peterlin

Per Simona e la sua classe (e i miei ragazzi)


Non so tutto
e non l'ho mai saputo.
E quel poco o quel molto
ho insegnato.

I tuoi occhi
una luce che, accesa,
mi seguiva e spingeva
a parlare.

Come un semplice filo
di lana leggera
e tramata:
una voce, la mia.

E in quell'aula
due finestre e tre file
di banchi;
e pareti a racchiudere il tutto.

Uno sguardo 

il tuo, fisso ed attento
ed il cuore che dice: continua
parla ancora e non lo perdere il filo
Questo è l'attimo
in cui tutto ha il suo senso
in cui tutto
puoi ancora spiegare.


È il momento in cui
il cerchio si chiude,
se ti fermi son solo
parole. 

Non ci sono denari
e interessi:
tu lo fai
lo faresti per niente

E' il tuo tempo
e il tuo studio:
in quei cuori
tutto quanto tu vai a riversare.

Solo questo
e nient'altro
è insegnare.

venerdì 17 dicembre 2010

LE NON-LEZIONI di Fermina Daza


Pensavo di parlare del valore attribuito ai riti di iniziazione e di passaggio ma Pinocchio mi ha suggerito che forse era meglio occuparsi delle non-lezioni.
Guardiamolo bene il nostro Pinocchio. Con aria di sfida attende che dall'alto gli venga rivelata l’ennesima ed inutile gran verità. Il Grillo-parlante, la Fata, la Lucciolina, distanti dal suo mondo e alcune volte anche fuori tempo, seguendo un copione fisso, assimilano la ribellione a colpevolezza manifesta, puntano il dito contro l’infrazione vera o presunta, profetizzano la “giusta” punizione che si abbatterà sul reo.
Ci siamo: ecco celebrato il rito dell’educazione che cala dall’alto, il rito che prevede l’imposizione di regole fisse ed oscure, da accettare così come sono.
A Pinocchio “gabbamondo” non interessano queste verità e tanto per gradire - zac! – fa fuori il Grillo-parlante. Fuori uno, mors tua, vita mea… ma lui non credeva nemmeno di colpirlo…
Il burattino, già fin troppo umano, è uno che non si riconosce nella verità fatta di regole astratte, lui è uno tosto che trasforma in virtù l’esperienza fatta per “strada” e solo con quell’esperienza vuole conoscere.
Impossibile educarlo, allora, è perso per sempre.. il gabbamondo non accetta lezioni da nessuno. Eppure qualcuno riesce a metterlo nel sacco, basta non fare prediche. Con aria sorniona il Colombo divide le sue vecce col “terribile” e poi vola via senza farsi ringraziare. Il volatile è sceso silenziosamente a quota zero e altrettanto silenziosamente è ripartito. Una perfetta non-lezione che l'esperienza di strada è in grado di riconoscere. Bella mossa, Colombo! E’ una questione d’esempio.
Pinocchio si è autoeducato lontano dagli adulti e lontano dalla scuola. I riti di iniziazione li ha vissuti in completa solitudine o in compagnia di Lucignolo. Ma la sua è stata una scelta…

martedì 14 dicembre 2010

Natale e/è tempo per il bambini? di Mariaserena Peterlin


Natale, riflettere sul tempo dei bambini.

È anche troppo ovvio pensare al Natale come a un tempo dei bambini e a loro dedicato.
In realtà il tempo delle feste natalizie significa vacanze, quindi scuole chiuse e bambini e ragazzini a tempo pieno in giro per casa.
Gli scolari attendono con desiderio quel tempo che incombe, invece, su genitori come un allarme.
È vero, c’è il lavoro ma non sempre ci sono le ferie: questo è un dato oggettivo. Tuttavia  la spiegazione non sta tutta qui.
Molti adulti sono incapaci di gestire i periodi da condividere con i loro figli e si trovano a disagio nell’adeguarsi ai loro tempi; forse perché non ne capiscono la peculiarità.
Gli adulti vivono infatti in compulsiva sintonia coi loro impegni ed interessi e i figli sono un peso o una responsabilità, spesso gravosi, da distribuire, sistemare e collocare in vario modo nella loro vita e giorno per giorno.
Non di frequente vediamo genitori in grado di svolgere serenamente ed in modo naturale le azioni della vita quotidiana insieme ai figli.
Considerando che, per necessità, si dedica tanto tempo al lavoro ci si aspetterebbe che tutti attendessero il periodo di feste per stare insieme: invece non accade che raramente.
Non credo sia interessante affondare il discorso sciorinando esempi che sono sotto gli occhi di tutti.
Ma appare chiaramente che quasi nulla viene condiviso coi bambini, e soprattutto che il loro tempo non è rispettato.  Tutti dovremmo ricordarci il come eravamo da piccoli, mentre sembra che il nostro desiderio maggiore sia dimenticarcene per correre correre verso… ma verso che cosa?
Una sorta di legnosità cerebrale schematica davvero imbarazzante fatta di liste, di agende, di ossessiva organizzazione.
Una catena di s-montaggio sociale in cui le parole più spesso ripetute sono:
“È tardi! È tardi! Corri! Sbrigati! Quanto ci metti! Ti avevo avvertito!  E dai! Mi avevi promesso! È tardi. È tardi. È tardi!!”

Stormi di mamme e drappelli di padri in ansia. Anche a Natale,Capodanno e Befana.
Ma perché?
 


  






martedì 7 dicembre 2010

Che la protesta inizi, perché NUNTEREGGAEPIÙ.



In un società evoluta e civile e tecnologicamente avanzata, avendo ormai spenta ogni e qualunque velleità di conoscenza, in considerazione che conoscere richiede tempo e tempo non ce n’è, ci si è organizzati anche per spegnere ogni e qualunque velleità di tipo deregolamentato per creare una ordinata e costruttiva dinamica sociale politicamente corretta.
Talchè, Signora mia, anche per decidere cosa indossare o quando fare il bucato si fa un patto di stabilità con il meteo tv o con le fasce orarie dell’Ente erogatore dell’energia elettrica (che a Roma è la vecchia Acea), se e quando si vuole fare un viaggio si fa programmare il tutto compreso ad un’Agenzia e pure per sapere se si è davvero innamorati (o cornuti) si chiede alle cartomanti televisive che forniscono anche una serie di servizi aggiuntivi niente male (pietre, numeri, pratiche igieniche, sacchetti di sale eccetera eccetera).
In questa società evoluta e civile, esistono altre virtuose pratiche comunicative; il sindaco di Roma dice che apprezza Che Guevara (che se si rigira nella tomba sono cavoli suoi) gli agnelli pascolano con le volpi (vedi le recenti presunzioni di alleanze politiche) e i lupi si fanno gli affari loro oppure non esistono più.
Ma c’è di meglio: infatti tout va très bien. La dimostrazione?
Eccola: i ben pensanti o ben viventi e amanti della convivenza pacificata possono prepararsi tranquillamente al Santo Natale mescolando ai pastori del presepio le figurine di qualche boss o delinquente comune e mettere a reggere il mantello dei Re Magi Putin-Berlusconi-Merkel o sistemare Alessia Marcuzzi&Facchinetti a far capolino dietro San Giuseppe per ricordargli cos’è l’amore vero.
In un presepio politicamente corretto ci sta pure questo, mica siamo razzisti o moralisti.
E non basta, Signora mia. Siamo proprio fortunati.
In un società evoluta e civile e tecnologicamente avanzata non abbiamo più bisogno di informazioni, di notizie e di impegno giornalistico morbosamente curioso.
Allo scopo si tappano graziosamente anche i buchi delle serrature magnetiche: infatti un igienico mandato di cattura provvederà con lo zelo necessario a far cambiare direzione civilmente chi stona dal coro: a Natale il coro è di rigore e deve avere il sopr-avvento.
Tranquilli, che c’è anche la ciliegina per il panettone: il popolo italiano è un bravo popolo, ma ha qualche frangia spettinata che bisogna provvedere a rimettere in riga.
Sì insomma il mondo del lavoro, la solita gente : l’universo del Precariato, Ricerca, Università e Scuola; i lavoratori sottopagati e messi in regola ma solo nella forma mentre nella sostanza sono costretti ad accettare condizioni e clausole vessatorie, oppure quegli sfigati dei cinquantenni messi in mobilità con un civile calcio nel sedere e così via; frange marginali!
L’importante, insomma la ciliegina sul panettone, è che tutti quelli che vogliono protestare lo possono finalmente fare: ma in modo “civile e corretto”.
Facile: basta divulgare una mentalità civile e corretta ed indurre la disapprovazione per chi pensa di fare il furbo con cortei, cartelli, striscioni, schiamazzi, disturbo della quiete (è Natale!), manifestazioni pubbliche, appollaiamento sui tetti e sulle gru, invasione di strade e vicoli urbani o extraurbani.
Insomma viva il libero mugugno interiore e la faccina soave.
Una buona protesta civile e corretta, sarebbe approvata e convenevole per tutti, anche ai non pochi esponenti de genere “onorevole eccellenza/cavaliere senatore/nobildonna eminenza/monsignore/vossia cherie mon amour/NUNTEREGGAEPIU'”
Grazie a Dio (e a Rino) a noi il NUNTEREGGAEPIÙ ce lo avevano detto, e l’avevamo potuto ascoltare. Ma ora basta con questi disordini che creano disagio a chi vuole lavorare e studiare...
Quindi d’ora in avanti: “Avanti popolo alla riscossa corretta e civile! e dalla durata te-lesivamente efficace, sennò non vi ascolta nessuno. Chiaro?
Talchè, Signora mia, potrebbero chiudere anche il sipario perché la musica sarebbe proprio finita.
E' così che si formano le nuove generazioni?

mercoledì 1 dicembre 2010

IL MANIFESTO DI PINOCCHIO di Mariaserena Peterlin

il manifesto di Pinocchio



Ti amo, Pinocchio.
Pezzo di legno piallato, sbozzato,
intagliato e levigato a puntino.
Vestito con la carta a fiorellini,
col cono di mollica sulla testa
ti tuffi nella vita a gamba lesta,
ma ancora molto prima
di diventare un perfetto bambino
tu non sei stato mai
soltanto un burattino.

Ancora molto prima d’esser fatto
la tua era una voce di protesta
ed hai inventato, creato e immaginato
sol per cambiare questa vita in festa.
Non sei solo bugie dette a dispetto
di quell’ingenuo ed umile Geppetto.

Hai cercato di correre e fuggire
via dalla convenzione educativa:
dal grillo predicante ed impiccione
che parla solo per aver  ragione,
da quell'abbecedario tutto regole
da studiare legandosi alle seggiole.
Te ne sei andato per scoprire il mondo
e respirare con il naso al vento
qualcosa che assomigli a un cambiamento.

E della fuga ha preso il buono e il brutto:
un mangiafoco che acchiappa bambini,
la volpe e il gatto che rubano quattrini,
dei dottori che ti fanno la festa,
una fatina dalla faccia mesta,
e un bel compagno che odiava i paraocchi
in cerca del paese dei balocchi.

T’ho amato e t'amo
amico mio Pinocchio.
Col naso all’aria e la veste di carta
è proprio in te che cedono i sofismi
e i cultori di antichi anacronismi.

Leggero, saltellante, galleggiante;
pauroso, sorridente o mentitore
non sei un pezzo di legno
ma d’amore.



martedì 23 novembre 2010

DIVERSI PER FORZA di Fermina Daza

”Nella prospettiva di garantire l’istruzione a tutti,contenendo nello stesso tempo i costi,la formazione scolastica ed accademica viene organizzata in modo analogo alle linee di produzione delle industrie che producono tessuti o macchinari a buon mercato. Gli studenti passano da una lezione all’altra come i componenti di un’automobile lungo la catena di montaggio; dopo circa quindici anni dovrebbero essere preparati ad affrontare il mondo. Fortunatamente vi sono ancora insegnanti che non concepiscono gli studenti come macchine per l’apprendimento, computer in carne e ossa che si possono accendere premendo un pulsante e che elaborano e riproducono automaticamente informazioni. Questi insegnanti vedono gli studenti come esseri umani,con paure e sogni,con scopi e obiettivi e con un desiderio di autonomia di pensiero, che è praticamente impossibile estinguere. Gli insegnanti che condividono questa visione possono facilitare l’apprendimento dei propri studenti, ma l’organizzazione scolastica, i percorsi formativi proposti e le strategie pedagogiche utilizzate si fondano ancora, in molti casi, sulla convinzione che l’insegnamento possa essere razionalizzato ed automatizzato; in questo modo però si mancano clamorosamente gli autentici obiettivi educativi”.
(M.CSIKSZENTMIHALYI)

L’ educazione positiva ispirata alla psicologia positiva di Csikszentmihalyi necessita, per essere praticata, di un approccio alla comunicazione fondato sul riconoscimento dell’altro come soggetto.
E proprio un approccio etico-deontologico alla soggettività potrebbe evitare le varie forme di oggettivazione che finiscono per produrre fenomeni di sopraffazione culturale e ideologica nella scuola e fuori della scuola.
A che punto è il tema della comunicazione fra docente e allievo?
Sempre più spesso i nostri ragazzi denunciano demotivazione e malessere... E' possibile addebitare la criticità relazionale alla distanza esistenziale e culturale dei protagonisti del processo educativo?
Secondo recenti stime, l’età media dei docenti italiani è di circa 54 anni, mentre l’età media degli alunni è di 14 anni. Una distanza media tra alunni e docenti di circa 40 anni.
E qui la diversità ci sta tutta!

sabato 20 novembre 2010

COLTIVARE PER DOMANI di Mariaserena Peterlin

ROSA ROSAE



Coltivo una nuova rosa
sul solito balcone
E’ una rosa imprudente
che sta sbocciando, rossa,

e sembra indifferente
alla pioggia battente.
Una rosa ostinata
una rosa sfacciata:

svolge i petali ardenti
contrastando i segnali:
oppone resistenza
e segnala speranza.

Rosso cupo il suo petto
(per un battito netto)
verde oscuro la foglia
(avanti! anche a dispetto).

E sotto il cielo grigio
per questa nuvolaglia
assorbe pioggia e vita.
Son certa che non sbaglia.

domenica 14 novembre 2010

Uguaglianza : prassi di crescita quotidiana - di Mariaserena Peterlin


All’insegnamento si arriva per tante strade, e nemmeno io ci sono arrivata  da neolaureata: senza mezzi termini, credo che insegnare senza amare questo lavoro sia colpevole se non disonesto.
Nel corso degli anni ci siamo tutti lamentati del fatto che il “livello degli studenti” si abbassava; pochissimi però hanno voluto ammettere che (prima) si era abbassato anche il livello dell’insegnamento.
Insegnare stanca  (è il titolo di un libro molto interessante di Ossola-Bertinetto del 1982) ma aggiungerei che anche imparare e studiare è, per chi vi si impegna, faticoso. Ed è ancora più faticoso se la scuola richiede uniformità e integrazione passiva, se gli insegnanti sono meno motivati e coinvolgenti. E’ anche un’impresa che richiede ulteriori motivazioni rispetto al passato, specialmente da quando è diventato evidente che il titolo di studio non apre più la strada del lavoro.
C’è un altra questione ineludibile: la scuola esiste per tutti; però alcuni ragazzi hanno alle spalle famiglia e cultura, altri hanno astuzie e strategie socio-culturali, altri hanno esperienze evolute, altri sono, uso con affetto queste espressioni anche nel libro, ruspanti, non bio-tech, non protetti, altri hanno situazioni personali complesse (di salute e non) e con cui è difficile convivere.
Io credo che l’irruenza, la cosiddetta indisciplina o la maleducazione, le diversità del loro essere o delle situazioni di partenza siano, insieme a tante altrettante sfide generose a cui la scuola non dovrebbe sottrarsi.
La scuola non è il luogo dell’omologazione e delle etichette.
Prima di iniziare a distribuire nozioni e concetti è dunque fondamentale conoscere la classe individuo per individuo  e trovare un linguaggio con cui capirsi.
Ogni classe è un fenomeno a sé, è un reticolo vivo e interattivo, a volte renitente e insolente, a volte portatore di sofferenze.
Purtroppo accade che gli insegnanti non conoscano abbastanza i loro alunni o non si pongano il problema, succede che affermino: “Sono qui per insegnare e se loro non seguono sono affari loro, il mio lavoro è spiegare e non fare lo psicologo”.
Ma questa è una penosa una giustificazione. I bravi insegnanti si distinguono anche perché si fanno carico di ciò che accade e non si accontentano di sentenziare o giudicare.
Inoltre può accade che i dirigenti non sostengano l’impegno dei docenti, ma ragionerizzino la scuola chiedendo solo voti e disciplina e non interventi educativi.
Però la magia dell’insegnamento è anche questa: la ribellione allo schema, l’autonomia di una testa che pensa.
E una volta chiusa la porta dell’aula l’insegnante è solo di fronte ai suoi ragazzi, ai loro occhi e ai loro sentimenti; e se vuole, se si mette in gioco, se non alza barriere, tutto può ancora accadere. Soprattutto può accadere che l’uguaglianza diventi prassi di crescita quotidiana comune. E questa sì che sarebbe scuola.

lunedì 1 novembre 2010

SONO UGUALE E DEVO ESSERLO di Fermina Daza

Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Così recita l’articolo n. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948).

In base all’articolo appena citato, l’uguaglianza si configura come un valore che, recependo pienamente il diritto naturale di ciascun uomo, si concretizza come vero e proprio dovere al perseguimento dell’equità.

Ma quali sono i criteri in base ai quali si può perseguire il diritto/dovere all’uguaglianza? Chi stabilisce le regole dell’uguaglianza? Come può essere evitato il rischio che qualcuno sia più uguale dell’altro?

E soprattutto, quale relazione è possibile stabilire tra diversità e uguaglianza?
A tal proposito può essere fatta una duplice riflessione: se da una parte il tentativo di abbattere le disuguaglianze generate dalla diversità dà vita a politiche ispirate alle pari opportunità, dall’altra la ricerca dell’uguaglianza a tutti i costi innesca un pericoloso processo di massificazione.

E ancora.
Le forti diversità economico-culturali delle società umane creano veri e propri sistemi chiusi, quasi delle enclaves. In tali contesti, la pratica dell’eterofilia è solo apparente poiché la diversità culturale ed economica dei sistemi chiusi, paradigma alternativo alla diversità biologica, è sempre più spesso generatrice di eterofobia.
All’interno di tali sistemi chiusi come viene gestito il rapporto tra diversità e uguaglianza? La tendenza è ad integrare o ad assimilare la diversità?

venerdì 29 ottobre 2010

La Testa Pensante: I CUORI INVISIBILI

La Testa Pensante: I CUORI INVISIBILI: "Io scrivo per potermi sfogare, scrivo perché non è facile trovare una persona che capisca il lato oscuro della vita, scrivo per me stessa pe..."

Tempo di semina, tempo di sterilità di Mariaserena Peterlin



E' pieno Autunno. In campagna,  le arature erano state già portate a termine a fine estate affinché le zolle si temperassero al sole,  ma è venuto un periodo di pioggia e la terra si è compattata , nel frattempo l'aria si è fatta fredda e ventosa e le zolle si sono indurite, sono nate le solite "malerbe": e ora le zolle dovranno essere nuovamente lavorate
Poi i semi saranno gettati e la terra finalmente li accoglierà.

Come scrive Elisa Buratti : 
"Il solco che l'aratura lascia è il vuoto che non va colmato e la terra a fianco protegge e consola e scalda.
Da questo nasce il comunicare, nel vuoto del solco l'essenza può esprimersi con nuovi semi...casuali.
Ma questo fa paura......il vuoto fa paura.
L'amore fa paura e comunicare è amore."
Noi siamo come la terra, ma dobbiamo lavorare da soli su noi stessi. Abbiamo paura del vuoto, ci prendiamo amore, ma non sappiamo darlo. Quello che rubacchiamo dai sentimenti altrui non è amore fecondo.
Infatti vediamo tanta sterilità intorno a noi
La sterilità è l'opposto della semina e ka fecondità è l'opposto del profitto personale.
Il profitto personale va d'accordo con la $ dei dollari di Paperone, preservati in un micidiale ma ridicolo fortino-piscina.
Il futuro è possibile solo ripartendo dall'aratura. Anzi dal dissodare alla luce calda del sole. Alla luce rossa dei tramonti estivi e autunnali.

La terra siamo noi, e se non affrontiamo i gelidi venti e le arsure che temperano l'anima vedremo nascere solo erbe rigogliose ma infestanti e che vivono solo per se stesse.

venerdì 22 ottobre 2010

Joseph Roth - Giobbe : l'esclusione del diverso MENUCHIM e il rovesciamento della visione - di Mariaserena Peterlin



Non intendo proporre un’analisi completa del libro di cui parlo o tentare uno studio dei romanzi di Jospeh Roth, la sua vicende biografiche, la sua nascita ebraica e il suo essere cantore della finis Austriae.  
Prendo spunto da Giobbe - Romanzo di un uomo semplice. per trasmettere delle riflessioni, non tutte emotive, che il personaggio di Menuchim suggerisce.
Il volere di un Dio, che può apparire spietato, fa nascere questo bambino a un padre “… che si chiamava Mendel Singer. Era devoto, timorato di Dio e simile agli altri, un comunissimo ebreo. Esercitava la semplice professione del maestro. Nella sua casa, che consisteva tutta in un'ampia cucina, faceva conoscere la Bibbia ai bambini".
Menuchim, quarto figlio di un insegnante è malato e gravemente disabile. La sua disabilità è evidente fin dalla nascita: “la sua voce gracchiava sovrapponendosi alle sacre parole della Bibbia”, e sa solo “mugolare come un animale”.  “Il suo grande cranio pendeva pesante come una zucca sul collo sottile. L’ampia fronte si corrugava e si increspava tutta come una pergamena stropicciata” .  Il bambino subisce anche la sentenza del medico: “diventerà epilettico”.
Il padre rifiuta, però, le cure offerte e il ricovero in ospedale dichiarando che solo Dio, se vorrà, potrà guarirlo. La madre, non rassegnata, si reca da un saggio rabbino che sentenzia: “Menuchim, il figio di Mendel guarirà. Come lui non ce ne saranno molti in Israele. Il dolore lo renderà saggio, la cattiveria buono, l’amarezza dolce, la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie nitide e piene di eco. La sua bocca tacerà, ma quando si schiuderà le labbra annunceranno cose buone.
Menuchim cresce, tuttavia, quasi come un animale che fa solo dei versi, striscia invece di camminare e non partecipa alla vita dei coetanei.  I suoi fratelli se ne vergognano, fingono di occuparsene ma lo abbandonano o addirittura lo maltrattano arrivando a torturarlo.
Costretti ad accudirlo lo “trascinavano per la città come una sventura, lo lasciavano steso lungo per terra, lo facevano cadere (…) Un giorno trascinarono Menuchim fuori casa e lo infilarono nel tino dove da sei mesi veniva raccolta l’acqua piovana, dentro ci nuotavano vermi (…) Mantenevano il bimbo per le gambette storte , una dozzina di volte gli infilarono la testa grande e grigia nell’acqua, nella felice orrenda attesa di stringere presto un morto tra le braccia. Ma Menuchim viveva.”
Menuchim solo, escluso ed emarginato è diverso e brutto fino alla mostruosità. Non sembra degno di appartenere né alla realtà in cui è nato, né alla razza umana. Questa razza umana che, bontà sua, sa trovare mille giustificazioni per uccidere, sterminare e tradire, ma si ritiene bella e superiore quando i parametri fisici corrispondono a un modello omologato o di successo,
Eppure Menuchim che “rimase in vita, come uno storpio potente” sopravvive anche quando, per una serie di motivi, fra cui quello economico, i genitori l’abbandonano e si stabiliscono in America affidandolo, in cambio della casa, a una famiglia che promette di occuparsene.  

Menuchim è “sbagliato” e per questo è scartato, seppure con dolore. Eppure nessuno di coloro che lo circonda ha virtù tali da poter essere considerato un modello positivo. Nemmeno i suoi genitori.
Di tutto il romanzo, Menuchim è in realtà l’unica figura buona e positiva fino in fondo, e quando alla fine Mendel Singer rimarrà completamente solo in una terra che gli è estranea sarà lui, Menuchim guarito e musicista affermato, a cercare e ritrovare suo padre e a prendersene la stessa cura che un padre riserva ad un figlio ed invertendo, dunque, i ruoli.
La profezia del Rabbino si avvera: Il dolore lo renderà saggio, la cattiveria buono, l’amarezza dolce, la malattia  forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie nitide e piene di eco. La sua bocca tacerà, ma quando si schiuderà le labbra annunceranno cose buone.”
Riflessioni, le mie, non tutte emotive, come avevo scritto all’inizio:  mi commuove la figura dello storpio epilettico e diverso Menuchim, mi emozionano di indignazione le crudeltà che subisce, mi turba la trama del romanzo.
Ma razionalmente non possiamo negare la potenza simbolica della la figura di Menuchim che rovescia completamente la nostra visione di una realtà banale, conformista e, ammettiamolo, edonisticamente volta al mito di un’umanità dove l’apparenza traveste la crudeltà con le forme del culto della persona e spesso della personalità.
Potremmo davvero dire “E’ solo un romanzo, è una storia inventata?
Oppure riconosciamo che, guardando Menuchim, siamo di fronte sia a noi stessi sia allo specchio della realtà quotidiana?

lunedì 18 ottobre 2010

sabato 16 ottobre 2010

Coltiva la rosa rossa - di Mariaserena Peterlin



Coltiva la rosa rossa, quella del fuoco e della libertà, non solo quella amata dai poeti.
Poeti illanguiditi da sentimenti d’amore.
L’amore non è cogliere quella rosa, ma coltivarla.
Coltiva una rosa rossa, coltivala e falla crescere.
Coltiva una rosa rossa, lascia che la sua anima singolare e unica sbocci libera al sole.
L’anima fanciullesca è come quella rosa.
Guardala crescere con rispetto e prudenza.
Non costringerla con legacci, non sospingerla verso vecchie mura, non tagliarne mai i boccioli.
Coltivala alla luce e lasci che cerchi il suo orientamento.
Sostienila, irrigala, dalle spazio.
Coltiva la rosa rossa.
La vedrai chiusa e avvolta dai suoi sepali verdi, poi la vedrai lentamente svolgere i petali così come una ragazza che si asciuga i capelli al sole dipanandoli con le mani.
Coltiva la rosa rossa e lasciala brillare come fuoco.
Non fartene vanto.Non sarà mai tua.
Da lei altre rose nasceranno e il suo fuoco continuerà ad ardere.
Alto e libero come un grido, come un respiro profondo.
Così dev’essere.

giovedì 14 ottobre 2010

sabato 2 ottobre 2010

AUTOREVOLEZZA E' MEGLIO di Fermina Daza

Non possiamo nasconderci ai ragazzi che per istinto sono portati a cestinare le caramelle “sospette”.
Non c’è maschera che tenga, perché prima o poi, se la indossi, sarai costretto a toglierla e a mostrarti quale sei.
Per i ragazzi non conta quanto sai di questo o di quello ma quanto sei convinto di quello che dici e di come lo dici…
Nell’attimo stesso in cui incomincerai a parlare, le menti dei ragazzi si sintonizzeranno sulla verità. E non tanto sulla verità della conoscenza ma sulla verità che tu possiedi in quanto profeta dell’autorevolezza, della partecipazione e del piacere di insegnare.
E ogni momento sarà così un momento sacro, una continua cerimonia di iniziazione a cui i ragazzi parteciperanno consapevoli che tu non sei loro amico. Vestito della tua autorevolezza sarai riconosciuto come l’insegnante che deve dirigere e deve guidare…
E potrai anche rimanere zitto o essere addirittura essere assente … per i tuoi alunni ci sarai sempre..

mercoledì 29 settembre 2010

Una storia (vera e) sbagliata di Mariaserena Peterlin



Lezione di … (strippamento) 

prof (scorre il registro) - Venga… venga … venga – (i due indici scorrono i meridiani-paralleli del registro cercando il nome x) – Venga Peterlin!
alunna Peterlin : (tachicardia, mal di stomaco, mani tremanti si alza e va alla cattedra)
prof : Hai studiato?
alunna Peterlin : Sì professoressa, e ho ripassato tutto
prof : vabbè. ti credo. Vai a posto chiamo un altro. (Scorre il registro) - Venga… venga … venga – (i due indici scorrono i meridiani-paralleli del registro cercando il nome x)
alunna Peterlin (va a posto tremando, e desiderando di volare via di là, per sempre)

...(e la storia continua, ma a voi non è mai successo??)

giovedì 23 settembre 2010

PREFERISCO LA MORTE di Fermina Daza

La teoria

“Sempre più ricerche dimostrano che gli studenti che si sentono connessi agli insegnanti, ai compagni, alla scuola stessa, raggiungono risultati migliori negli studi. Riescono a resistere meglio ai pericoli dell’adolescenza moderna: i ragazzi emotivamente connessi hanno percentuali inferiori di violenza, bullismo e vandalismo, ansia e depressione, uso di droghe e suicidio, assenze ingiustificate e abbandono scolastico.”
(Daniel Goleman, Intelligenza sociale, Edizione Mondolibri,2006, pag.20)

La pratica

“La scuola che vorrei è una scuola morta. Senza ragazzi urlanti e professori arrabbiati. La vorrei silenziosa e cupa. Solo un cumulo di cemento addormentato. La vorrei così, ancor priva del suo primo sbadiglio.
La vorrei così, addormentata.
La vorrei senza problemi e senza ansie altrimenti preferisco la morte”
(alunno N.N. - anno scolastico 2009-2010)

Inutile commentare. Utile documentare.

lunedì 20 settembre 2010

Chi è IL PADRONE dell'IGNORANZA? di Mariaserena Peterlin



Discutendo casualmente con una amica abbiamo individuato con incredibile istantaneità una definizione, della quale discuteremo insieme spero ancora. Con il permesso dell’amica interlocutrice, Angela Graziano, posto qui di seguito il nostro dialogo che dimostra tante cose e ne suggerisce molte altre ancora.
Ad esempio a me sembra di poter dire che non si riesce a  parlare (anche) di apprendimento e cause del non apprendimento se non si esce dalla solite quattro mura deputate.
Ma è presto per le conclusioni. Abbiamo appena iniziato a parlare. Ecco il resoconto di un dialogo nel quale saranno molto utili tutto coloro che vorranno partecipare, ma che ci ha già portato a identificare l’esistenza di un bel personaggio: “Il padrone dell’ignoranza”.

La discussione è nata da una mia osservazione amara scritta su fB: 
Medea abbandonata da Giasone uccide i figli e glieli dà in pasto. Giasone, saputolo, si suicida.E' solo un MITO? Ma mi inquieta l'analogia con l'attualità: stiamo sacrificando i figli e 

Angela Graziano mi risponde subito, dice qualcosa che mi piace molto e inizia il dialogo creativo :

Angela Graziano : Verissimo: li stiamo dando in pasto all'Ignoranza, il grande mostro che porta a grandi danni

Mariaserena Peterlin Angela sì, l'Ignoranza è uno dei mostri voraci.
Ora mi chiedo: "chi vuole questa ignoranza? e cos'è l'ignoranza"?
Non è una provocazione. Sono seriamente in fase riflessiva.
Grazie Angela.

Angela Graziano L'ignoranza è utilissima a chi sta un gradino sopra di te. Al padrone che ti chiede (non ordina) di scendere nella cisterna, alle cattive istituzioni che vessano i cittadini, agli insegnanti che non hanno più alunni che pretendono di sapere ... siamo alla frutta, Mariaserena!

E' vero, Angela, l'ignoranza ha sempre un padrone.
Sarebbe utile diffondere questa convinzione, mi sembra un importante punto di partenza.
Quanto agli insegnanti, ad esempio, è inevitabile che uno studente non pretenda più di sapere se si di sapere se si accorge che l'insegnante è noioso e non preparato.
E se alcuni (e quanti?) insegnanti sono demotivanti e frustrati forse il padrone dell'ignoranza ... (lo copyraizziamo insieme questa coniazione-definizione?) ha le sue buone ragioni.

Angela Graziano Il padrone dell'ignoranza è una definizione perfetta! Può essere letta in tanti modi:
1. Possiede ignoranza in quantità industriale
2. Usa l'ignoranza come arma
3. Diffonde l'ignoranza come se fosse una nebbia che copre le sue malefatte...

Mariaserena Peterlin  Angela, meravigliosa questa tua foto-segnaletica del padrone dell'ignoranza!

Ora che, grazie ad Angela, abbiamo messo le mani su una parte dell'identikit, potremmo approfondire la discussione, no?

sabato 18 settembre 2010

LIBERA(la)MENTE - di Mariaserena Peterlin


Certe notti silenziose
e, come questa, dalle ore brevi
e afose, viene voglia
di far svanire
l'afrore tedioso
di un fiore appassito.

Viene voglia di aprire
e di lasciar svolazzare
fuori rete
idee e pensieri
imprudenti
non pertinenti,
liberamente sognanti.

Certe notti illuminate
dal tenue riflesso
del complice display,
senti la percezione che
altri pensieri si intreccino
e salgano dal profondo
silenziosamente cercando
un loro golfo e un approdo
o una porta aperta
per lasciar che quel volo
irregolare e libero
s’inoltri e si dichiari
responsabile di sè.

E senza genuflessioni
e compunzioni,
senza permessi e compromessi
le idee iniziano a parlare.

Ecco i risultati del pensamento libero
che attende casomai d’irrobustirsi
nel confronto chiaro
e nell’aprir la mente al
al libero impegno personale
o partito virtuale. 

CONNESSIONE:


L'âne le roi et moi
nous serons morts demain
l'âne de faim
le roi d'ennui 
et moi d'amour.

Ma forse tutto questo morire sarebbe inutile, no?

venerdì 17 settembre 2010

Insegnante, nonostante la scuola - di Mariaserena Peterlin




L'insegnante che percorre i lunghi corridoi di qualche istituto e si chiede, ma di chi è questa scuola, si sente rispondere, è tua. E se entrando in un'aula rumorosa e grigia, umida di stillicidi incontrollati e di afrori che vincono l'azione antimicrobico-antibatterico dei più frizzanti deodoranti si chiede, di chi è quest’aria, si sente rispondere, è tua, quella che respiri anche tu. E se nota in quell’aula sorda e grigia e umida la presenza di esseri stratificati e come incistati nei banchi e si chiede chi sono costoro, deve rispondersi e insultarsi da solo: sono i miei alunni. Idiota.

Perché nella scuola tutto è dell’insegnante: anche le mura istoriate di scritte per i malpensanti, anche l’aria impregnata di secrezioni delle ghiandole sudoripare e dell’ultima imitazione D&G, anche la porta della classe fatta di plastica sbilenca, anche gli amorfi o ipercinetici adolescenti incupiti da ore ed ore di strepitose lezioni di materie-che-non-gliene-può-importare-di-meno.
Perfino il Diesse (dirigente scolastico di belle pretese funzionali e gestionali) è suo. E sa che può ignorarlo o incenerirlo con una nota al verbale se vuole. Può infilzarlo rifiutando una delle tante firme messe per quieto campare.

Però quando la campanella suona, allora l’insegnante sente rimescolarsi il sangue arterioso, e pensa stavolta faccio scuola come so farla io; e le circolari e le note e i decreti me li appiccico sul frigorifero con il magnete tanto me ne sbatto.
Perché tutto nella scuola è suo.
E di tutto la scuola può fare a meno; tranne che di lui e dei suoi adolescenti stratificati e come incistati nei banchi. L’insegnante allora fa la sua lezione ed il suo dire inizia a circolare riscaldandogli il cuore pulsante.

E quando finalmente arriva il giorno in cui l’insegnante si stanca di piegare la testa ed annuire, ed arriva anche il giorno in cui il suo sangue arterioso gli zampilla nel cuore, fontana dell’amore e dell’odio, allora finalmente la spalanca quella la porta fatta di plastica sbilenca, raduna i suoi adolescenti e li trascina per le strade della città e comincia a correre con loro gridando e cantando: scuola! Scuola! SCUOLA!!
Eccoci nella vita ragazzi, eccoci! Respirate, guardate, toccate, abbracciatevi: questa è la vita! Afferratela forte e portatela con voi ADESSO! Abbasso il vecchio, viva il domani. Viva la scuola viva, viva la scuola che si interroga, viva la scuola che vola come una creatura lucente e guizzante. Quel giorno corridoi e mura, aule e ragazzi, insegnante e città tutto si fonde e il cuore si dilata come una rete che non si spezza nonostante il peso degli innumerevoli esseri che adesso contiene. 
VIVI.


PS: QUESTO TESTO è una ri_SCRITTURA da Giovanni Verga. Se siete arrivati in fondo e non vi piace non c'è niente di male. Anzi! Bella è la critica e vivo il pensiero di chi dice no.
Però se vi piace tutto ha una sua spiegazione

mercoledì 15 settembre 2010

LA CULTURA DEL FAZZOLETTO di Fermina Daza

L’ uomo teme la libertà più della peste.
Esso si coccola e si consola pensando che delle forze più grandi lui lo abbiano privato della libertà. In realtà l’uomo non desidera affatto essere libero.
Vi è un aspetto inquietante in questa cultura del fazzoletto, un aspetto che sfugge all’attenzione dei più. La nostra civiltà è il frutto di grandi lotte ideologiche, e non solo, a favore della libertà … Bene, si rinuncia più facilmente alla libertà se non si è combattuto per essa, si rinuncia alla libertà perché è troppo faticoso mantenere perennemente attivi i meccanismi di disinnesco delle bombe occulte ….
E questo meccanismo di disimpegno morale è tipico della generazione dei padri, di quei padri che si son visti consegnare un dono ingombrante e non richiesto, di quei padri che hanno operato nella seconda metà di un secolo, il XX, breve, meschino e guerrafondaio! E questi sono i padri che hanno venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie, e questi sono i padri nelle cui mani è passata l’inarrestabile declino dell’Occidente, e questi sono i padri della nuova generazione, questi padri siamo noi…
La generazione che da noi discende vive la libertà senza conoscerla, facendosela scivolare addosso, come un vestito scontato, un’uniforme che tutti massifica… Non vi è dimensione personale in questa libertà che sa di moda effimera, non vi è dimensione umana in questa libertà che si specializza nell’essere “liberi per” e non nel “liberi da”.
Se la libertà è un mare, i nostri figli vi sono immersi senza averne alcuna consapevolezza, i nostri figli non hanno mai provato l’ebbrezza del primo contatto con le onde, sono semplicemente nati in mare. E di questo mare non conoscono i confini , non sanno nemmeno che nome abbia, nuotano e ancora nuotano senza fermarsi mai, ora incontrandosi ora disperdendosi, liberi solo di nuotare ma non di conoscere ….
Liberi solo di fare tutti le stesse cose nel mare senza nome…

martedì 14 settembre 2010

Quello che siamo, quello che vogliamo - Contro tutti i veli - di Mariaserena Peterlin

CONTRO I "GRIGI" (e non solo) "TRASMETTITORI DI CONTENUTI"!


L’attuale sistema di reclutamento dei docenti non dà nessuna garanzia di qualità al sistema proprio perché l’insegnamento è considerato, secondo logiche aziendali, alla stregua di qualunque altra professione. (Fermina Daza)
Questa non è una semplice professione, ma una vera e propria missione per chi ci crede. E soprattutto per chi crede nei ragazzi." (Loretta Bertoni)
Abbiamo condiviso in tanti i nostri pensieri. Molti amici ci hanno linkati e citati, grazie! 
Questo Multiblog vuole fortemente il dialogo, nasce per scambiare idee e confrontarci. 
Ci dichiariamo, ci distinguiamo e ci esprimiamo apertamente proprio per rispetto verso tutti. 
Basta con le ambiguità, gli untuosi volemose bbene, le  mediazioni fuorvianti.
Avanti dunque con il viso aperto e le parole chiare (e il muso duro solo quando serve a svelare le ipocrisie).
Io ci sono e parlo per me. 
Io ci sono e riprendo le parole nelle quali mi riconosco. 
Mi ha profondamente colpito, tra le tante, la spietata e emozionante analisi espressa in un commento da Andreas Formiconi. Parole su cui riflettere molto bene, ci sono ferite che non si rimarginano; prima di pensare di essere veri insegnanti confrontiamoci con questa frase: 
"porto invece nell'anima le ferite inflittemi da grigi trasferitori di contenuti ... quella giacca grigia, quella cravatta, gli occhiali di corno, lo scricchiolìo delle scarpe, in su e in giù, fra i banchi, leggendo la lezione sul Momigliano, grigio pure quello - l'ho battuto nel muro, veramente, nella camera dove son cresciuto c'è ancora l'impronta di uno scarpone ... - l'interrogazione offensiva anche per uno scimpanzé.





(Mariaserena Peterlin)

lunedì 13 settembre 2010

Messaggio emozionante e appassionato trasmesso da una BRAVA INSEGNANTE - Oggi che si fa, prof?- Primo giorno di scuola

Dal Blog di Vittoria PattiOggi che si fa, prof?: Primo giorno di scuola: "Primo giorno di scuola: stupitevi, stupiteli. Prof 2.0: 'Non li deludete. Date loro un giorno indimenticabile. Non chiedete delle loro vacan..."

L'INSOSTENIBILE DECLINO DELLA SCUOLA - di FERMINA DAZA


(immagine da web)


L'Italia è un paese che non ha mai creduto fino in fondo sulla promozione culturale e alle possibilità di equità sociale che la scuola era in grado di offrire. La stagione delle riforme in questo senso è quella degli anni '70 e non a caso Illich e Vaneigem scrivono proprio in quegli anni. In Italia gli anni Settanta e Ottanta sono stati caratterizzati dallo stragismo, dai servizi segreti deviati, dall'affermazione del potere mafioso.... Cosa era la scuola in quegli anni? La scuola, come altre istituzioni, era solo un potenziale serbatoio di voti.
Se tanto mi dà tanto, allora, la scuola non funziona perché è stata ed è ancora un contenitore messo lì per contenere questa o quella cosa... di tutto...insomma.
La scuola in Italia non funziona anche perché si investe poco (cavallo di battaglia vecchissimo) e anche perché tutti, dopo aver superato concorsi e SSIS varie, ottengono l'abilitazione all'insegnamento. E l'attitudine alla relazione umana dove la mettiamo? L’attuale sistema di reclutamento dei docenti non dà nessuna garanzia di qualità al sistema proprio perché l’insegnamento è considerato, secondo logiche aziendali, alla stregua di qualunque altra professione. Se le cose stanno così, allora è inutile istituire il ruolo degli insegnanti. Chiunque abbia un’infarinatura o una una conoscenza più o meno approfondita di questo o di quello è in grado di salire in cattedra!
Si potrebbe pensare ad un sistema di reclutamento basato su titoli, esami e… attitudine alle relazioni umane…. ma quest’ultima qualità sembra non essere necessaria in una scuola che si dibatte da anni tra concezione elitaria della cultura e scolarizzazione di massa.

L'Italia è un paese democraticamente giovane come ben sapevano i padri costituenti che elaborarono una carta costituzionale per certi versi pedante ma garantista proprio delle libertà democratiche. L'italiano medio sembra non avere il senso delle istituzioni, sembra non conoscere l’esercizio della democrazia e, soprattutto, pare essere mancante di coscienza politica. Cosa c'entra tutto questo con la scuola? C'entra nel momento in cui quegli organismi di gestione democratica introdotti dai decreti delegati sono stati a mano a mano svuotati della loro funzione e delegittimati.
Bene, se il nostro sta diventando un paese in cui la democrazia sembra essere solo un vuoto contenitore, la scuola non può far altro che promuovere il “pensiero pronistico”…

commenti



  • A te e Lory Bet piace questo elemento.





    • Mariaserena Peterlin Formidabile nota amica mia, esauriente e complessa.
      10 ore fa · ·



    • Lory Bet Concordo in pieno!
      10 ore fa · ·



    • Mariaserena Peterlin
      Il fallimento dei decreti delegati, dei quali ho per ragioni storiche, vissuta tutta la vicenda, è stato causato proprio da quello che tu osservi Fermina: "sono stati a mano a mano svuotati della loro funzione e delegittimati.
      Questione da approfondire.
      :-)