chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

Attualità delle"AVVENTURE di PINOCCHIO" di Collodi

PRESENTAZIONE: 

Questa pagina raccoglie i miei post, pubblicati nel blog scolastico La testa pensante, sulle Avventure di Pinocchio di Carlo Lorenzini, detto Carlo Collodi.
Non saprei dire quante volte ho riletto questo libro da quando mi fu regalato, avevo sette anni, ad oggi
Leggere Pinocchio è un'esperienza infinita: travolgente, affascinante, inquietante; le analogie con il presente sono quasi eccessive, Collodi ha genialmente tracciato non solo il carattere di Pinocchio ma tutte le vicende narrate come se dipingesse una grande metafora universale. E qui provo a dire perchè.
Prima della serie dei post pubblico altri miei scritti su Pinocchio: Il Manifesto di Pinocchio e una filastrocca più altre riflessioni che aggiornerò aggiungendole via via. I post sono disposti secondo lo stesso ordine della pubblicazione originale e quindi i più recenti appaiono per primi e i più vecchi per ultimi.
e LE AVVENTURE con PINOCCHIO continuano.

Maria Serena Peterlin Un po' di Bibliografia (in aggiornamento):
C.COLLODI,  Le avventure di Pinocchio, Einaudi
con un  saggio di Stefano Bartezzaghi, Il paese senza balocchi
nella postfazione i saggi di
ITALO CALVINO : Ma Collodi non esiste
LUCIANO CURRIERI : Play it again Pinocchio

PIETRO PANCRAZI : Scrittori d’oggi (prima serie) Bari, 1946
PAUL HAZARD: La littérature infantine en Italie tradotto da nel 1954 da A.de MARCHIS: Letteratura infantile, (a cura di Luigi Volpicelli (pp.137-45)

FRANCO CARLINI : Internet, Pinocchio e il Gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri, Roma, 1996
       "           "       :Lo stile del Web: parole e immagini nella comunicazione di rete, Einaudi 1999 - 187 pagine

VOLPICELLI LUIGI, La verità su Pinocchio e saggio sul Cuore, Editore: Armando

Il manifesto di Pinocchio




Ti amo, Pinocchio.
Pezzo di legno piallato, sbozzato,
intagliato e levigato a puntino.
Vestito con la carta a fiorellini,
col cono di mollica sulla testa
ti tuffi nella vita a gamba lesta,
ma ancora molto prima
di diventare un perfetto bambino
tu non sei stato mai
soltanto un burattino.

Ancora molto prima d’esser fatto
la tua era una voce di protesta
ed hai inventato, creato e immaginato
sol per cambiare questa vita in festa.
Non sei solo bugie dette a dispetto
di quell’ingenuo ed umile Geppetto.

Hai cercato di correre e fuggire
via dalla convenzione educativa:
dal grillo predicante ed impiccione
che parla solo per aver  ragione,
da quell'abbecedario tutto regole
da studiare legandosi alle seggiole.
Te ne sei andato per scoprire il mondo
e respirare con il naso al vento
qualcosa che assomigli a un cambiamento.

E della fuga ha preso il buono e il brutto:
un mangiafoco che acchiappa bambini,
la volpe e il gatto che rubano quattrini,
dei dottori che ti fanno la festa,
una fatina dalla faccia mesta,
e un bel compagno che odiava i paraocchi
in cerca del paese dei balocchi.

T’ho amato e t'amo
amico mio Pinocchio.
Col naso all’aria e la veste di carta
è proprio in te che cedono i sofismi
e i cultori di antichi anacronismi.

Leggero, saltellante, galleggiante;
pauroso, sorridente o mentitore
non sei un pezzo di legno
ma d’amore.

Pinocchio 
eterna strenna














Oggi, per caso, ho avuta la mia strenna che non è giunta a bordo di una renna.
Un bel Pinocchio di legno colorato
quello che fin da bimba avrei sognato.
Era dentro a un bazar disordinato,
fatto alla meglio e per beneficenza.
(dove si va per far bella presenza).
Seduto a sgembo sul termosifone
lui m’ha fissato al varco del nasone.
“O che tu fai? Che… guardi e non mi prendi?
Ma come? Eppur son anni che m’attendi:
e adesso per due soldi puoi comprarmi…”
L’ho preso e accarezzato, con la mano
e gli ho sorriso di nascosto e piano.
Ora è con me: mi guarda petulante,
ma d’una tenerezza strafottente.
E non m’importa il suo legno scrostato
il tempo, lungo, anche per me è passato:
se nei colori sfavillanti e arditi
ora restano segni accartocciati
tanto più intensi sono, e tanto amati.

PERCHE' PINOCCHIO SI AMA

La mia generazione ha avuto in regalo Pinocchio perché fosse una lettura che, divertendo, trasmettesse qualche buon consiglio: un ragazzo che mente e disobbedisce ai genitori si mette nei guai e se poi dà anche retta ai cattivi compagni, ossia a Lucignolo, subisce addirittura una umiliante metamorfosi: gli spuntano le orecchie d’asino.
Eppure è stato inevitabile, per me, tifare Pinocchio: anche quando faceva disperare il suo papà Geppetto o non ascoltava i consigli della Fata dai Capelli Turchini.
Se poi spiaccicava contro il muro il Grillo parlante… beh me ne facevo una ragione.
Sappiamo che la storia finisce, attraverso un susseguirsi di straordinarie e incredibili avventure, nel migliore dei modi. Ma perché Collodi ci propone proprio quello come miglior finale possibile?
Pinocchio è solo un pezzo di legno che diventa, per mano di Geppetto, un burattino.
Inizia subito a farne di tutti i colori, quello che lo spinge verso la ribellione ci appare come il desiderio di verificare di persona ogni situazione che affronta.
 
Evidentemente non gli bastano i buoni consigli, che forse sarebbero stati sufficienti a un bambino normale, perché lui normale non è.
Se fosse normale rimarrebbe un pezzo di legno ben scolpito e colorato. O al massimo sarebbe ben felice di conformarsi alle situazioni.
 
Invece c’è qualcosa dentro di lui e quel qualcosa non sono solo disubbidienza e bugie, scappatelle e spericolatezza. Quel qualcosa è la sua personalità e la sua unicità.
La testa e il cuore di Pinocchio sono solo apparentemente di legno: in realtà sono una testa pensante e un cuore che… sa emozionarsi ed amare, temere e aver coraggio. 
Ma questo lo deve scoprire da solo e cercando la sua strada.
 
Verrebbe quasi da dire che per trovare la nostra strada si deve disobbedire?
Beh… non è proprio così: non è necessario disobbedire, ma certamente è utile mettersi alla prova e rinunciare a quegli schemi che ci vengono imposti dai modelli di costume e sociali dominanti.
Pinocchio, come s’è detto, non è un bambino normale, altrimenti avrebbe forse una famiglia e una scuola normali.
Pinocchio è altro: è quel tanto di più che dobbiamo scoprire dentro di noi per essere ciò che davvero siamo: unici.
Da un lato, infatti, siamo tutti uguali, dall’altro tutti diversi.
Se la nostra personalità matura e trova il suo modo unico e irripetibile di esistere ci arricchiamo vicendevolmente e possiamo abbandonare l’apparenza “legnosa” (per noi e gli altri) e diventare … niente di meno, niente di più e niente altro che noi stessi.
Per questo, anche se forse non lo avevo subito capito, non potevo non amare Pinocchio.


LUNEDÌ 19 DICEMBRE 2011


Pinocchio impiccato perchè non sa "gestire" il denaro? - di Mariaserena

Potenza del denaro e dell'avidità
Gli "assassini" sanno attendere,
ma il povero Pinocchio
rischia di morire;
anche per ignoranza?


Dove eravamo rimasti?
Non è così importante. Pinocchio è uscito a puntate, fu scritto prima per acconsentire a una richiesta dell’editore, ma poi a furor di… ragazzi. Dunque non ha bisogno di esser letto tenendo conto di un inizio, uno sviluppo della trama e un finale di tradizione.
In compenso, però, è un libro per tutte le stagioni e bisogna leggerlo e rileggerlo..
Prendiamo, ad esempio, il capitolo quindicesimo che si apre, come tutti i capitoli, con una breve sintesi introduttiva:

Gli assassini inseguono Pinocchio; e dopo averlo raggiunto lo impiccano a un ramo della Quercia grande.
Più chiaro di così.
Gli assassini, che non sono altri che il Gatto e la Volpe mascherati in modo da non poter essere riconosciuti, sanno che Pinocchio ha con sé quattro zecchini d’oro e lo vogliono derubare.
Pinocchio li aveva però nascosti in bocca, come farglieli sputare?
Leggiamo:
… sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociacce che gli brontolarono minacciosamente:
— Ora non ci scappi più!-.
Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.
— Dunque? — gli domandarono gli assassini — vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare: che questa volta te la faremo aprir noi!… —
E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi,zaff e zaff… gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.
Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia.
— Ho capito; — disse allora uno di loro — bisogna impiccarlo. Impicchiamolo!
— Impicchiamolo — ripetè l’altro.
Detto fatto gli legarono le mani dietro le spalle, e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande.  Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai.

Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando:
— Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell’e morto e con la bocca spalancata.―

L’attualità di questo libro è impressionante. Non sempre chi vuole ottenere denaro è disposto a guadagnarlo onestamente. A volte considera più semplice ottenerlo con la prepotenza, la violenza, il crimine. Questa è storia vecchia, ma  l’attualità di Pinocchio non sta in questo. La cosa interessante è un dettaglio non proprio trascurabile:  Pinocchio, in realtà, non sa come custodire il suo piccolo tesoretto e… se lo mette in bocca. Una scelta non particolarmente felice. Se lo inghiottisse lo perderebbe o peggio, se non lo inghiotte, invece potrebbe soffocare. Come mai è così goffo? Potremmo fare molte altre osservazioni in proposito, ma una, a me sembra, potrebbe essere conclusiva: Pinocchio non sa né custodire né usare bene il denaro. 


Sa quanto sia importante, sa che sia lui sia suo padre Geppetto sono poveri in canna, sa anche che quel denaro risarcirebbe Geppetto che ha venduto la giacca per comprargli il libro per la scuola; eppure non sa usarlo, si comporta da ingenuo e finisce nelle mani degli “assassini”.
Invece questi ultimi sanno bene cosa fare e, privi di scrupoli come sono, hanno trovato anche il modo di rubarglielo senza fatica.
Potremmo (per paradosso assurdo e tanto per alleggerire una situazione di per sé macabra) dire che i due assassini sono degli esperti profittatori che conoscono alcuni sistemi per arricchire, mentre Pinocchio è non solo un inesperto, un ingenuo e un facilone; ma non capisce nulla di economia.
Il denaro, che problema! Specialmente in tempo di crisi. Tornassi ragazzina mi proporrei di studiare economia e mercati; invece ho letto e riletto Pinocchio fin da piccola, e solo ora mi accorgo che Carlo Collodi me l’aveva suggerito per tempo.

Buon Natale, Teste_Pensanti!

MARTEDÌ 24 MAGGIO 2011


Un PINOCCHIO d'autore nella nostra Letteratura - di Mariaserena Peterlin

Sostiene Italo Calvino che il libro di Carlo Collodi Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino è stato considerate a torto un classico della letteratura minore, ovvero un capolavoro, ma destinato comunque solo all’infanzia.
È vero che il libro fu scritto, da Collodi, a puntate per essere pubblicato nel “Giornale dei bambini”  e poi vide la luce come romanzo nel 1883, ma ad oggi Pinocchio è un libro di cui è impossibile contare il numero di edizioni ed è stato tradotto in più di 200 lingue.
Pinocchio incontra gli assassini...
Italo Calvino afferma, tra l’altro, che con Pinocchio, grandissimo classico della nostra letteratura maggiore, abbiamo l’unico esempio di romanzo picaresco italiano. Cos’è un romanzo picaresco? E’ un genere nato in Spagna, ed in cui si narrano le vicende (dall’infanzia alla maturità) di un picaro, ossia di un poco di buono, di un ragazzo di strada, spesso abbandonato alla nascita, che vive tra mille espedienti spesso non onesti, che frequenta furfanti, ladri e malviventi accompagnandoli nelle loro avventure.
Insomma non solo un Lucignolo da cui occorre guardarsi e per evitare pessime avventure, ma anche un emarginato, un escluso, un socialmente diverso.

i "dottori-animali" al capezzale di Pinocchio
Anche Pinocchio è fondamentalmente diverso da tutti gli altri personaggi che, nel libro, incontra nelle sue avventure; ma Pinocchio impara: spesso da animali che potremmo definire “simbolici” e dall’esperienza. 
Le sue avventure sono a volte divertenti, ma spesso anche spaventose e crude: ad esempio viene derubato, ma a sua volta cerca di rubacchiare , anche se per fame, un grappolo d’uva moscatella. A volte rischia di morire: impiccato e assassinato, bruciato e affogato, però assiste, godendosi lo spettacolo, alla morte di un enorme serpente che gli sbarrava la strada:
Il serpente scoppia letteralmente dal ridere
“[…] il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irrigidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.– Che sia morto davvero?... – disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran contentezza […]” (dal cap XX).
Insomma, diciamola tutta, la storia di Pinocchio non è la storia di un santo anche se, a ben guardare, ci sono stati Santi illustri che prima di convertirsi hanno praticato una vita spericolata.
Tuttavia, forse anche per questo, Pinocchio (il nostro picaro per ragazzi) non finirà mai di affascinarci: la diversità, la complessità, le sfaccettature della sua personalità ci attraggono e, in fondo, ci somigliano. Non si tratta di semplificare dicendo che “nessuno è perfetto”. Sarebbe più giusto, forse, dire, che nessun essere davvero vivo è esente dal mutamento.
Pinocchio, come abbiamo già visto, è vivo, si muove quasi solo correndo e muta spesso, per questo motivo (tra gli altri) attraversa gli anni e i secoli senza perdere né la freschezza né le attrattive realistiche e simboliche che ci conquistano oggi, come e domani.

GIOVEDÌ 14 APRILE 2011


PINOCCHIO, tra tenebre e paura, sceglie il cuore. - di Mariaserena Peterlin

- Le solite storie. Buona notte, Grillo.  
L’atmosfera notturna circonda Pinocchio che, a mezzanotte, esce alla ricerca del Campo dei miracoli dove dovrebbe realizzare quello che, in termini moderni, potremmo definire, un po’ alla buona, una vantaggiosa speculazione finanziaria.
Infatti Mangiafoco gli aveva regalato cinque zecchini d’oro da portare al suo babbo, ma il Gatto e la Volpe gli avevano fanno una proposta che Pinocchio non era riuscito a  rifiutare, gli avevano infatti detto:
“Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto,chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro per esempio uno zecchino d’oro. Poi ricuopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro, quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno”
Perciò Pinocchio, dopo aver cenato all’Osteria del Gambero Rosso in compagnia dei due compari (chi gli scroccano la cena), ed essersi riposato qualche ora, si alza a mezzanotte e si avvia da solo al buio.
Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio, che non ci si vedeva da qui a lì. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. S olamente alcuni uccellacci notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio”.
C’è un’espressione abbastanza comune che dice “non si vede a un palmo di naso”; quello di Pinocchio è un naso più lungo del comune e Carlo Collodi non manca di ricordarcelo con l’immagine di quegli uccellacci che vi sbattono contro. Il lungo naso di legno è la sua nota caratteristica, è il segno della diversità originale: spericolata, sventata ma intraprendente. A volte anche troppo. Pinocchio ha tanto da imparare ancora e soprattutto non ha imparato ancora a riflettere, a usare i segnali che riceve per scegliere il comportamento più utile, Pinocchio, diremmo con un linguaggio corrente se la rischia.
Non bastando l’avvertimento del buio così buio, e degli uccellacci notturni all’ardimentoso Pinocchio giunge un altro segnale ben più emozionante, ma soprattutto più esplicito. Quale altro elemento può mancare alla classica atmosfera da triller che Collodi evoca con abile regia? La notte è oscura, i pipistrelli volano silenziosi: non poteva non esserci anche un fantasma.
Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto che riluceva di una luce pallida e opaca, come un lumino da notte dentro una lampada di porcellana trasparente.
“– Chi sei? – gli domandò Pinocchio.
– Sono l’ombra del Grillo-parlante, – rispose l’animaletto, con una vocina fioca fioca, che pareva venisse dal mondo di là.
– Che vuoi da me? – disse il burattino.
– Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini, che ti sono rimasti, al tuo povero babbo che piange e si dispera per non averti più veduto.
– Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila.
– Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me, ritorna indietro.
– E io, invece, voglio andare avanti.
– L’ora è tarda!...
– Voglio andare avanti.
– La nottata è scura...
– Voglio andare avanti.
– La strada è pericolosa...
– Voglio andare avanti.
– Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di loro capriccio e a modo loro, prima o poi se ne pentono.
– Le solite storie. Buona notte, Grillo.
– Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini!
Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un tratto, come si spenge un lume soffiandoci sopra, e la strada rimase più buia di prima.”
Pinocchio ha già preso la sua decisione, si sottrae agli assillanti consigli del Grillo Parlante e va incontro alle sue avventure:
“– Davvero, – disse fra sé il burattino rimettendosi in viaggio, – come siamo disgraziati noialtri poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti ci danno consigli. A lasciarli dire, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti.”
Non ha tutti i torti Pinocchio: un eccesso di ammonimenti e rimproveri produce l’effetto opposto, tutti sono pronti a dar consigli ai ragazzi. “…tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri.”
E con troppi galli a cantare, dice un proverbio, non si fa mai giorno. Pinocchio riconosce, dunque, che è giusto ascoltare i genitori e i maestri, ma non i Grilli-parlanti. Ma lui, in quel momento, è solo, ed oppresso dal senso di colpa di aver venduto l’Abbecedario per vedere lo spettacolo dei burattini.
Decide perciò che farà di testa sua o, diciamo meglio, segue il suo cuore che gli aveva fatto accettare la proposta del Gatto e la Volpe per realizzare un sogno:
“…voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me..”

Un ragazzo con cuore d’oro, ancora indifeso, e che i Grilli parlanti non possono certo comprendere. 

LUNEDÌ 28 MARZO 2011


Pinocchio rompe gli schemi, ma trova l'affetto degli amici - di Mariaserena Peterlin

Si va ad incominciare e lo spettacolo deve continuare.


X
I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine.

Capitolo fondamentale il decimo. La narrazione appare quanto mai varia, ricca di azione e colpi di scena (del resto siamo a teatro), ci sono scambi tra la vita reale e la rappresentazione teatrale (i burattini interrompono la loro recita per accogliere, entusiasticamente, Pinocchio) e suggerimenti nascosti tra le righe; ne andiamo a scoprire qualcuno.

a)    Arlecchino “smette di recitare” quando vede Pinocchio. Eppure ad Arlecchino, in quanto burattino, non dovrebbe essere riconosciuta altra vita possibile che quella della recita.
b)     Il pubblico non vuole che la recita sia interrotta e protesta. “– Vogliamo la commedia, vogliamo la commedia!”… e ti pareva. Quante volte non si preferisce la recita alla vita?
c)    Collodi sottolinea come la fratellanza tra Pinocchio e gli altri burattini sia un legame vero, naturale e profondo: infatti loro non sono umani, sono vegetali.
“È impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i pizzicotti dell’amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevé in mezzo a tanto arruffio dagli attori e dalle attrici di quella compagnia drammatico-vegetale. Questo spettacolo era commovente, non c’è che dire.”

Appunto, non c’è che dire: gli spettatori, in quanto umani, si spazientiscono e vogliono che la commedia continui (show must go on), mentre i “vegetali” non possono rinunciare ad abbracciarsi.

In passato capitava che qualche insegnante appioppasse ai suoi ragazzi l’epiteto: “sei una testa di legno!”. Chissà se accade ancora? Si definiva una testa di legno quella di una ragazza o un ragazzo che non capisce ed ha dunque una testa tosta, ostinata, che non apprende. Ma sarà vero?
Pinocchio non rinnega la sua natura vegetal-legnosa eppure comprende benissimo, e apprende dai fatti dell'esperienza. La sua logica è anticonvenzionale, ma non ottusa.
Fino a quel momento della sua vita aveva avuto solo l’affetto paterno di Geppetto, nessun umano è stato buono con lui.
Adesso, invece, ha finalmente incontrato i suoi compagni, anzi i suoi fratelli.
E l’ha trovati grazie alla comune natura vegetale.
Teste di legno come lui (per chi vede solo le apparenze) che hanno in realtà cuori affettuosi e sanno rompere lo schema delle convenzioni e dei ruoli che il mondo ci assegna forzatamente.
Infatti Pinocchio scavalca la platea, i posti distinti e piomba sulla scena e dal canto loro i suoi fratelli vegetali smettono di recitare per esultare accogliendolo come un uguale.
Solo un Mangiafoco burattinaio insensibile (per ora) e un pubblico (che ha pagato…) possono rimanere insensibili al trionfo dell’amore e dell’amicizia.
Lo show deve continuare, e gli affari sono affari.
Ma una testa di legno che ne sa degli affari?



GIOVEDÌ 10 MARZO 2011


PINOCCHIO, la LEGGE DEL MERCATO (e il CONSENSO INDOTTO) di Mariaserena Peterlin ©

Quanta folla! Che attrazione! IL GRAN TEATRO DEI BURATTINI... VADO ANCH'IO!!
Cap. IX (parte seconda) Pinocchio alle prese con le leggi del mercato

Pinocchio era uscito dunque di casa per andare a scuola, ma poi decide di seguire l’affascinante “musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì zum, zum, zum, zum” ed inizia così, di corsa come al solito le sue avventure.

… si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

Pinocchio non sa ancora leggere e deve farsi spiegare cosa c’è scritto sul cartello che sovrasta il baraccone; incassa l’epiteto “bravo bue!” appioppatogli da un ragazzo a cui, confessando la sua ignoranza, chiede cosa ci sia scritto.

Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI.
 – È molto che è incominciata la commedia?
– Comincia ora.
– E quanto si spende per entrare?
– Quattro soldi.

Pinocchio sa già, avendo visto la fine della giacchetta di Geppetto, che nulla si ottiene gratis, ma non ha ancora dovuto affrontare da solo il problema del denaro e di come procurarselo.
Ora però ha la smania addosso. Vuole assolutamente andare a quello spettacolo e i quattro soldi gli servono. Fa dunque un tentativo, abbastanza goffo e spudorato,  che Collodi non manca di sottolineare.

Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto,col quale parlava:
– Mi daresti quattro soldi fino a domani?
– Te li darei volentieri, – gli rispose l’altro canzonandolo, – ma oggi per l’appunto non te li posso dare.

Proprio così, nessuno (tranne un genitore) regala gratuitamente: c’è la legge del mercato: vuoi una cosa? La paghi al prezzo che ti si chiede. Non hai soldi? O rinunci o te li procuri. E’ la legge della domanda e dell’offerta che regola anche i piccoli affari.
Pinocchio casca nel meccanismo ed inizia una serrata contrattazione.

 Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta, – gli disse allora il burattino.
– Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c’è più verso di cavartela da dosso.
– Vuoi comprare le mie scarpe?
– Sono buone per accendere il fuoco.
– Quanto mi dai del berretto?
– Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di
pane! C’è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in
capo!”

I vestiti di Pinocchio erano stati allestiti alla meglio dalla buona volontà amorosa di Geppetto, ma quanto vale l’amore sul mercato? Nulla. E così è.
Infatti il burattino scenderà al compromesso. Esita, dubita, si trattiene, ma alla fine cede. Quando la dignità cede al mercato si imbocca una strada in discesa: diventa difficile fermarsi o risalire.
Pinocchio soffre per questa scelta, ma non riesce a rinunciare al “GRAN TEATRO DEI BURATTINI” che gli sembra il più bel divertimento al mondo.
Per quella attrattiva irresistibile vale la pena di gettare alle ortiche cuore e ragione e seguire l’istinto di una curiosità che avrebbe potuto dirigersi altrove, ma che lui non ha ancora imparato a controllare.
Pinocchio soffre un po’, ma cede.

Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un’ultima offerta: ma non aveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:
– Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo?
– Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi,
– gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui.
– Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io, – gridò un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione.
E il libro fu venduto lì sui due piedi.

Il capitolo che si chiude malinconicamente. L’allegria per questa volta soccombe alla riflessione amara:

E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l’Abbecedario al figliuolo!

Ma riflettiamo: gli effetti della mancanza di denaro colpiscono prima Geppetto e poi il suo figliolo, dobbiamo proprio giudicare Pinocchio? E’ giusto attribuire alla sua scelta un significato negativo?
Il messaggio di Collodi sembra dica questo; ma l’autore non ha mancato di sottolineare altri elementi:
a) Pinocchio è divorato dalla curiosità (che non è necessariamente un difetto)
b) Pinocchio si imbatte in una lusinga che lo sa attrarre fortemente: la musica, i colori, l’entusiasmo della piazza (una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori)
c) Una piazza non è una persona, ma fa tendenza, diremmo oggi. Trasmette il messaggio di un’umanità che si vuol divertire con uno spettacolo da mille colori.
d) Pinocchio, che indubbiamente non fa la scelta migliore, è in minoranza. Perché dovrebbe solo lui rinunciare?
e) E’ davvero libero, ha gli strumenti e l’esperienza per decidere, in quel  momento, al meglio?




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I testi a commento delle Avventure di Pinocchio, di Carlo Collodi, contenuti in questi post sono di proprietà degli autori del Blog;  proprietà letteraria e artistica riservata
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VENERDÌ 4 MARZO 2011


Pinocchio come noi, tra scuola e vita ©

Pinocchio, comincia davvero  a vivere le sue avventure con il capitolo IX intitolato:  
PINOCCHIO VENDE L’ABBECEDARIO PER ANDARE A VEDERE IL TEATRINO DEI BURATTINI.

Il dilemma di Pinocchio


Fino a questo punto la vita di Pinocchio si era svolta nell’ambito famigliare: era un pezzo di legno che Geppetto aveva scolpito, era  diventato burattino, aveva iniziato con le sue monellerie, se l’era presa col Grillo Parlante e aveva tentato una prima fuga da cui poi era ritornato; insomma era ancora legato alle sue origini con una sorta di originale cordone ombelicale.
Ora però ha promesso che andrà a scuola e, consapevole del sacrificio, davvero grande, fatto da Geppetto per lui, ci va di buona voglia e pieno di aspettative:

Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.

L’espressione usata da Collodi “fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria” merita una riflessione. Castelli in aria è un modo di dire oggi piuttosto frequente ma di origine antica, infatti risulta che l’abbia scritto per primo Bernardo Bellincioni, poeta fiorentino che visse anche alla corte di Lorenzo dei Medici.  Probabilmente questo modo di dire era già presente nella lingua parlata ed è ancora una locuzione talmente viva e densa di significato che non potremmo facilmente sostituirla con un’altra equivalente.
Pinocchio costruisce, dunque i suoi castelli sospesi in aria immaginando che la scuola gli aprirà tante opportunità ricche di rapidi risultati. Il suo è un volo pindarico proiettato nel futuro.

E discorrendo da sé solo diceva:
– Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!



Quante speranze, costruite su aeree fondamenta, il nostro Pinocchio ripone nel frutto del suo impegno scolastico!
In realtà non ha ancora messo piede a scuola, ma nel suo cuore abitano i sogni, e i sogni per un ragazzo non sono utopie, bensì proiezioni di se stesso,  sono aspettative realmente accarezzate e coltivate, sono lo “stato soave” che caratterizza la “stagione lieta” di cui parlano i poeti e che solo i grandissimi uomini non dimenticano una volta diventati adulti.
Questi sogni non sono privi di ansia e sbigottimento, ma non per questo sono meno amati.
Pinocchio infatti si “fomenta”, diremmo oggi con un linguaggio più semplice e spontaneo, ed emoziona. E’ sinceramente convinto: andare a scuola è una piccola rinuncia alla sua libertà. però gli permetterà di realizzare tanti sogni. Ma ecco l'imprevisto.

Mentre tutto commosso diceva così gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì zum, zum, zum, zum.
Si fermò e stette in ascolto.

Il suono è allettante e sconosciuto, solletica la sua curiosità e per al burattino si presenta il dilemma: che fare?
Frequentare la scuola sarebbe un atto virtuoso in previsione del domani, ma quella divertente musica è lì: presente e viva.
pì pì pì -zum zum zum
Quel suono è la vita che chiama.  Come resistere? 

Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto fabbricato sulla spiaggia del mare.
– Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no...
E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.
– Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo, – disse finalmente quel monello facendo una spallucciata.
Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe.

Ecco perché, proprio da qui iniziano, per l’appunto, le sue avventure.

Naturalmente correndo.

LUNEDÌ 28 FEBBRAIO 2011


Pinocchio – impara, a modo suo, la diversità, l’apparenza e l’amore

L'ABBECEDARIO AL TEMPO DEI TESTI SCOLASTICI NON GRATUITI
La narrazione contenuta nell’ottavo capitolo di Pinocchio è come una matrioska: c’è un involucro costituito da un episodio esterno dentro al quale se ne aprono uno dopo l’altro tanti altri tutti finiti e completi. Vediamone alcuni.
Il titolo del capitolo Geppetto rifà i piedi a Pinocchio, e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario mette in primo piano il padre-falegname; ma poi il burattino scivolerà via dallo schema per diventare, come al solito, protagonista.

Geppetto si affanna per questo figliolo e tenta di trasmettergli dei sani principi. Gli ha appena insegnato, con l’episodio delle tre pere, che “nella vita i casi sono tanti” e cerca di fargli capire che per riavere i suoi piedi deve accettare qualche condizione.
Pinocchio promette e supplica, ma solo la frase che convince Geppetto è strategica.
Leggiamo il dialogo:
— E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?
— Vi prometto — disse il burattino singhiozzando — che da oggi in poi sarò buono...
— Tutti i ragazzi — replicò Geppetto — quando vogliono ottenere qualcosa, dicono cosí.
— Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore...
— Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la medesima storia.
— Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti, e dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un’arte, e che sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. —
Geppetto che, sebbene facesse il viso di tiranno, aveva gli occhi pieni di pianto e il cuore grosso dalla passione nel vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.
Proprio così.
Nessun genitore può pensare che suo figlio sia come i figli degli altri e Pinocchio rivendica la sua unicità ma io non sono come gli altri ragazzi! e nel farlo tocca il cuore, insieme all’orgoglio paterno di Geppetto che cede e lo accontenta.

La prima matrioska si è aperta e compare la seconda. Pinocchio vuole compensare il padre andando a scuola ma ha bisogno di un vestito. E certo! Un pezzo di legno non va a scuola e un po’ di apparenza ci vuole. Geppetto gli allestisce un vestito con ciò che rimedia in casa:
Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane.
Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase cosí contento di sé, che disse pavoneggiandosi:
— Paio proprio un signore!
— Davvero, — replicò Geppetto — perché, tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.

Oggi, epoca di docce quotidiane e di lavabiancheria a palla, fa sorridere il richiamo al vestito pulito ma non fermiamoci alla superficie, il vestito pulito rappresenta comunque il decoro della persona, la sua presentabilità ed infatti riesce a rendere Pinocchio (che era diverso dagli altri perché di legno, senza mamma, burattino, nato già in età di scuola, condizionato da un naso che cresce a dismisura e così via) un ragazzino come tutti, anzi elegante, e lui infatti si pavoneggia.
Povero Pinocchio, viene da commentare, deve imparare ancora tanto…

Ma a questo punto si apre la terza matrioska: l’episodio del libro necessario per andare a scuola, ossia l’abbecedario. E qui la diversità si para dinnanzi in una veste nuova: è quella tra chi ha i quattrini e chi non ce l’ha.


Per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa: 
anzi mi manca il piú e il meglio.  
— Cioè?
— Mi manca l’Abbecedario.
— Hai ragione: ma come si fa per averlo?
— È facilissimo: si va da un libraio e si compra.
— E i quattrini?
— Io non ce l’ho.  
 Nemmeno io — soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.

Geppetto allora esce di casa e va a vendere la vecchia giacchetta di fustagno per acquistare l’Abbecedario. Torna a casa, sotto la neve, in maniche di camicia.
E la casacca, babbo?
— L’ho venduta.
— Perché l’avete venduta?
— Perché mi faceva caldo. —
Pinocchio capí questa risposta a volo, e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso. 
Quanto amore ha incontrato, così, Pinocchio?



LUNEDÌ 14 FEBBRAIO 2011


PINOCCHIO IMPARA (ovvero la pedagogia di GEPPETTO) di Mariaserena Peterlin

Geppetto vende la casacca e compra il testo scolastico: l'Abbecedario, ma  Pinocchio non impara dai libri....
Dopo aver mandato al diavolo il Grillo Parlante ed averlo spiaccicato al muro, con un gestaccio di cui riparleremo, all’indisciplinato Pinocchio capitano una serie di piccole avventure che gli dovrebbero servire da ammaestramento.
Ha fame, cerca di farsi una frittata ma dall’uovo appena rotto scappa fuori un pulcino “tutto allegro e complimentoso”; allora esce per elemosinare del pane, ma disturba un vicino e si becca “una enorme catinellata d’acqua che lo innaffiò tutto dalla testa ai piedi”; infine va  ad asciugarsi, ma si mette troppo vicino al fuoco per cui, addormentatosi, si sveglierà coi piedi bruciati.
Difficile immaginare una punizione più frustrante per chi, come lui, èborn to run
Geppetto torna a casa e Pinocchio gli fa un affannoso resoconto interrotto solo da lacrime e singhiozzi. Leggiamo dunque (o ri-leggiamo per chi conosce bene il libro) cosa accade subito dopo proponendoci come chiave di lettura una particolare attenzione alla saggezza amorevole e pedagogica di Geppetto.

Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una sola cosa, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:

le tre pere
— Queste tre pere erano la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia.
— Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
— Sbucciarle? — replicò Geppetto meravigliato. — Non avrei mai creduto, ragazzo mio, che tu fossi cosí boccuccia e cosí schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiar di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!... 
— Voi direte bene — soggiunse Pinocchio — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. — 

E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:

— Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.
— Ma io il torsolo non lo mangio davvero!... — gridò il burattino, rivoltandosi come una vipera.
— Chi lo sa! I casi son tanti!... — ripeté Geppetto, senza riscaldarsi.

Fatto sta che i tre torsoli, invece di esser gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:

— Ho dell’altra fame!
 I tre torsoli e le tre bucce
— Ma io, ragazzo mio, non ho piú nulla da darti.
— Proprio nulla, nulla?
— Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera.
— Pazienza! — disse Pinocchio, — se non c’è altro, mangerò una buccia. —

E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca: ma poi una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:

— Ora sí che sto bene!
— Vedi dunque — osservò Geppetto — che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!... —

Sono in gioco tre pere, tre bucce, tre torsoli. Ma anche il dialogo, tolte le due battute conclusive che non fanno parte della fase dialettica (o meglio dire della contrapposizione tra i due personaggi attraverso la quale Pinocchio matura la sua decisione e si convince delle giuste ragioni di Geppetto) si svolge in tre parti che la trascrizione con il colore sottolinea.
Le triplici corrispondenze mantengono un equilibrio nella narrazione, e sottolineano come un convincimento non nasca da un ordine imposto, bensì da un percorso personale che matura e di cui ogni tappa importante in sé.
Nessuno di noi, infatti, impara o acquisisce una esperienza di crescita attraverso una scoperta folgorante, o un lungo (seppur giudizioso) predicozzo in stile Grillo Parlante.
Impariamo invece con l’esperienza vissuta, amorevolmente supportata e guidata da chi riconosciamo come maestro (ad esempio un genitore oppure un insegnante di cui riconosciamo l’autorevolezza).
C’è poco da fare di fronte all’evidenza: Geppetto cedendo a Pinocchio il suo modestissimo pasto  resta digiuno, ma sa quel che fa, ed è consapevole che questa volta il suo insegnamento non può fallire. Anche chi insegna paga il suo prezzo.
Collodi fa della figura di Geppetto quella di un adulto che è esempio della saggezza amorevole e pedagogica che sa insegnare ai ragazzi anche la libertà.
Da quel tipo di saggezza si apprende davvero, senza violenze né prevaricazioni, magari pagando anche un costo personale, ma illuminati da uno sguardo lungimirante che ci indica la strada. 
Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!!...

È infatti una frase bella, detta condividendo e non giudicando.

GIOVEDÌ 27 GENNAIO 2011


Pinocchio, il Gatto, la Volpe e il Merlo Bianco

Pinocchio incontra il Gatto e la Volpe



Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura.

(Apparentemente, dunque, due poveri infelici.)
Il Gatto e Volpe dicono a Pinocchio di aver visto Geppetto.

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.
– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non
tremerà più!...

Pinocchio esibisce,  infatti, le monete d’oro ricevute da Mangiafoco e i due gli chiedono cosa ne farà.

– Prima di tutto, – rispose il burattino, – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.
– Per te?
– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.
– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.
– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca
di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

Fermiamoci su questo dialogo.
Noi sappiamo che il Gatto e la Volpe (che, peraltro, Collodi scrive con la maiuscola come si scrivono i nomi propri e non quelli comuni…) vogliono rubare, ma Pinocchio non ha ancora abbastanza esperienza.
In compenso in  quel mentre un Merlo bianco (sempre in maiuscolo) interviene:

… un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il solito verso e disse:
– Pinocchio, non dar retta ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Il Gatto sventa immediatamente la minaccia e, riaperti gli occhi, cattura il Merlo e se lo mangia.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto, – perché l’hai trattato così male?
– Ho fatto per dargli  una lezione.  Così  un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Già, la “lezione”! I ragazzi, e non solo loro, ma tutti quelli che non sono in posizione da poter comandare, sono destinati a sentirsi dare lezione; forse per questo prima poter distinguere le lezioni buone dalle cattive fanno i loro errori di valutazione.
Pinocchio, nonostante il suo corpo di legno ha, come abbiamo visto, numerose qualità: buone  gambe per correre, un naso curioso che lo spinge a volere sapere e capire, una testa ancora sventata, ma che ragiona, ed anche e soprattutto un cuore d’oro.
Si impietosisce per la sorte del Merlo bianco, ma è in ansia per il suo babbo e per ora l’ansia di far di mostrare la sua gratitudine al padre prevale sulla ragione.
Il trappolone del Gatto, infatti, funziona e Pinocchio, per ora, accetta quell’aulica spiegazione:
Ho fatto per dargli  una lezione.
Mi chiedo quante volte la crudeltà interessata viene spacciata per una necessaria buona lezione.

Ma questo Gatto-bullo è solo un piccolo delinquente? Vedremo... vedremo..
Nel frattempo possiamo costatare che lui e la Volpe non sono, come s’era illuso il povero Merlo, solo dei “catttivi compagni” ma, e Collodi ce lo fa ben capire, dei pessimi maestri pronti a far sussiegose lezioni a proprio esclusivo vantaggio.
Pinocchio non sa ancora distinguere tra buoni e cattivi maestri, quindi tenta di resistere alla lusinga del Gatto e della Volpe che gli promettono di arricchire facilmente moltiplicando le sue monete d’oro ed afferma con sicurezza :


Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo, e il Grillo-parlante aveva ragione quando diceva:
«I ragazzi disobbedienti non possono aver bene in questo mondo». E io l’ho provato a mie spese,  Perché mi  sono capitate dimolte disgrazie”.

Poi accetta, tuttavia, di seguirli perché in questo  momento non sta disobbedendo al padre (cosa che non vuol fare più) ma solo rimandando di un giorno il suo ritorno a casa per investire proficuamente i suoi zecchini d’oro.
Prima di mutare la sua ingenua natura e imparare a diffidare di chi promette facili speculazioni finanziare dovrà ancora molto apprendere e soprattutto sperimentare.

Rimane da comprendere perché Collodi abbia immaginato che quello giustiziato dal Gatto fosse un Merlo bianco; sappiamo tutti che in natura i merli sono quasi sempre neri e quelli bianchi sono un’eccezione. E allora? Una curiosità pura e semplice? Una rara anima candida? Una vittima predestinata? Un ingenuo che non sa opporre alla violenza astuta una strategia adeguata?
In questa fase delle avventure di Pinocchio il gioco è in mano ai pessimi e non ai santi e certamente il manto bianco del merlo appare un po’ enigmatico.


Non rinunciamo tuttavia a sorridere con il pezzo di Edoardo Bennato, del 1977 ma attualissimo... QUI anche il testo.

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MARTEDÌ 25 GENNAIO 2011


Pinocchio e la necessaria adulazione



XI
MANGIAFOCO STARNUTISCE E PERDONA A PINOCCHIO, IL QUALE POI DIFENDE DALLA MORTE IL SUO AMICO ARLECCHINO

La storia di questo capitolo è a lieto fine ma voglio richiamare l’attenzione su un dialogo che potremmo definire “lo smascheramento dell’adulazione”

Pinocchio,  alla  vista  di  quello  spettacolo  straziante,
andò a gettarsi ai piedi del burattinaio e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:
– Pietà, signor Mangiafoco!...
– Qui non ci son signori! – replicò duramente il burattinaio.
– Pietà, signor Cavaliere!...
– Qui non ci son cavalieri!
– Pietà, signor Commendatore!...
– Qui non ci son commendatori!
– Pietà, Eccellenza!...
A sentirsi chiamare Eccellenza il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
– Ebbene, che cosa vuoi da me?
– Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...

“ Al sentirsi chiamare Eccellenza”… già il temibile Mangiafoco è sensibile all’adulazione e concede la grazia non in virtù degli argomenti o della pietà, ma perché emozionato dal complimento di un Pinocchio disperato ma furbo.
Una sviolinata…. e l’affare è concluso.
Dove si dimostra che la ragione e il torto, la giustizia o la compassione non possono ottenere tutto, ma una mossa furba, spesso, sì.
Libro “pedagogico”, non c’è dubbio! Non diamo del lecchino a Pinocchio, però, la sua era una giusta causa; ha solo dovuto usare un po’ di utile diplomazia. E i ragazzi , con una testa che pensa, imparano presto a praticarla… 

VENERDÌ 21 GENNAIO 2011


Pinocchio e le orecchie - utility per apprendere? di Mariaserena Peterlin







Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere che barricava tutta la strada, s’ingegnò di passargli, per sorpresa, frammezzo alle gambe, e invece fece fiasco.


Il carabiniere, senza punto smoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché? Perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli.

Ragazzi miei (con questo appellativo voglio iniziare questo post perché di fronte all’autorità siamo tutti potenzialmente ragazzi e discoli come il nostro Pinocchio) ragazzi miei J, dunque, come non rimanere colpiti di fronte a queste poche righe di collodiana trasgressione?
Avevamo parlato di un Pinocchio che corre, anzi nato per correre; e potremmo riflettere sul dinamismo, direi frenetico, del nostro personaggio: è evidente che chi corre rompe il compassato equilibrio di un passo decoroso e cadenzato, di un’andatura dignitosa. Lo rompe perché, in questo caso, esce dallo schema e disobbedisce. Dunque trasgredisce e merita una punizione.
Ahimè.
La disobbedienza potrebbe avere anche delle giustificazioni, e nella storia troviamo molte disobbedienze anche eroiche.
Ma Pinocchio, per ora, non è altro che il figlio ingrato che molla suo padre e i suoi sani insegnamenti per seguire la sua irresistibile vocazione a cacciarsi nei guai esplorando il mondo, vicino e lontano che sia, ficcandoci il suo lunghissimo naso di legno.
E allora si merita la reprimenda (o dovremmo dire la repressione?) che arriva istantanea: Il carabiniere, senza punto smoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto,ossia all'autorità paterna.
Qui accade l’imprevisto perché nemmeno Geppetto è perfetto, ma degno padre di un figliolo fuori schema, ha commesso un errore. Ha dimenticato, cioè, di scolpire le orecchie al suo Pinocchio e non può acchiapparlo per quell'utile protuberanza.

Ragazzi miei J forse sapete quali creature si acchiappano (si acchiappavano in passato almeno) per le orecchie?
Ma certo che lo sapete. Per le orecchie si acchiappano i conigli. E... “coniglio!” è ormai un epiteto usato abbastanza frequentemente come un insulto.
Geppetto, però, non ha voluto un figlio coniglio. È chiaro no? La rima è talmente facile da esser banale e Geppetto è l’antibanalità fatta persona. Per quale motivo, altrimenti, si sarebbe fatto un figlio scolpendolo dal legno sfidando la sorte e il tempo che lo avevano condannato alla sterilità?
Geppetto non è un coniglio e dunque nemmeno suo figlio lo sarà.
È per questo motivo che non aveva pensato alle orecchie? È possibile.
Forse, dentro di sé, Geppetto aveva una consapevolezza non esprimibile: le orecchie dei ragazzi ne sentono tante: di buone e di cattive, di divertenti e di noiose, di generose e di violente. Le orecchie non si possono sempre tappare perché non si può né si deve escludersi e moltissime volte saper ascoltare è importante.
Non avendole, a Pinocchio sono risparmiate non solo le tiratine d’orecchie, ma  anche la sorte del coniglio.
Tuttavia pagherà, per questo, con una serie di disavventure e disgrazie che faranno soffrire lui e suo padre, e ne avrà in cambio esperienze che lo faranno persona.
Chissà se sotto sotto anche Geppetto ci aveva pensato?
Chissà se Collodi gli ha lasciato, con intenzione, questa opportunità?

LUNEDÌ 20 DICEMBRE 2010


PINOCCHIO – BORN TO RUN? Gambe per correre (e una testa per pensare)

Geppetto insegue Pinocchio - nato per correre?

Osserva Stefano Bartezzaghi: “Perché i bambini corrono? All'improvviso, magari do­po aver lamentato di dover camminare, scattano in una cor­sa senza pensieri. Camminare stanca,correre no. Giocano a rincorrersi, a prendersi, a chi arriva primo. Corrono an­che da soli, senza gareggiare: non sempre per fare prima, spesso per fuga, o anche per gioia, esuberanza, imbarazzo, scarico di energia. Si corre come si parla, si ride, o altro, senza progetto: si corre per una decisione estemporanea.


L'unico grande gioco di Pinocchio è la corsa. Esce dal­la casa di Geppetto, per andare a scuola e cammina. Ma quando decide di deviare per inseguire il suono di pifferi che lo porterà da Mangiafoco non cammina più:

“Detto fatto, infilò giù per la strada traversa, e cominciò a correre a gambe.”

Corre di capitolo in capitolo, per ore, come lepre, bàr­bero (ovvero cavallo da corsa), capretto, leprottino, cane da caccia, can levriero, capriolo, palla di fucile.
Minuto e solido, corre imbattibilmente:
Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Gioca a correre e si gioca di chi corre meno di lui, cioè tutti:
“Di tanto in tanto, voltandosi indietro, canzonava i suoi compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva pro­prio di cuore.”  (fin qui Bartezzaghi)

appena finito... fugge!

Ma davvero, noi ci chiediamo, Pinocchio corre per giocare? E allora gioca e corre come tutti i bambini nati in questo mondo?
In realtà, come sappiamo, per Pinocchio non si potrebbe parlare di nascita in senso biologico o umano. Pinocchio esiste perché un artigiano l’ha costruito ricavandone tutti i pezzi, uno a uno, intagliando un pezzo di legno e per fabbricare un burattino.

Geppetto, dal canto suo, non l’ha ancora finito di mettere insieme che scopre in lui un carattere inatteso: un burattino che non obbedisce è diverso dagli altri.

“Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su e cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano a un burattino. […] e gli disse:
-Birba d’un figliolo, non sei ancora finito di fare e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male ragazzo mio, male!
E si asciugò una lacrima.”

Geppetto continua tuttavia il suo lavoro, finisce di costruire le gambe e i piedi ( e Pinocchio gli tira subito un calcio “su la punta del naso”) poi lo posa a terra e …
“Quando le gambe gli si furono sgranchite Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dette a scappare.”
Tante sono le domande e le risposte possibili su questo libro.
Tuttavia ce n’è almeno una ineludibile proprio perché la vita di Pinocchio inizia con il correre e lo scappare; cosa significa per lui questa corsa? 
Che cosa ha pensato, secondo Collodi, il Pinocchio appena nato?
E perché il lettore non può fare a meno di seguitare (e dunque di seguirlo …)  leggendone le Avventure?






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