chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

giovedì 28 marzo 2013

lunedì 25 marzo 2013

venerdì 15 marzo 2013

Il Conclave e il suo messaggero

il gabbiano sul tetto della Sistina

Anche io ho guardato con curiosità il bel gabbiano romano che si è posato durante il Conclave sul tetto della Sistina e, non contento della posizione già eminente, si è appollaiato sul comignolo fatidico.
In questi giorni di mare e cielo in burrasca accade che gabbiani risalgano il corso del Tevere e arrivino in centro, a Roma; ma quello specifico gabbiano ieri si ostinava nel suo andirivieni e nel suo sostare quasi impertinente. Lodiamo per il gabbiano: piccola creatura che elegantemente si nutre anche di spazzatura, che respira la nostra aria, che non si scompone per una folla davvero sterminata, da stadio verrebbe da dire. Lodiamo per quel gabbiano curioso fino al punto di becchettare il comignolo come il tasto di un telegrafista,  tac tac, come un’unghia che batte sul vetro, come le dita impazienti che volevano scrivere, ma non riuscivano.
Lodiamo per l’ingenuità naif dei telecronisti che, a notte ormai fatta, si chiedevano dove fosse finito il gabbiano vanitoso dimenticando che di notte volano gli amici, pur se innocenti in natura, delle tenebre: gufi, pipistrelli, barbagianni, civette. Il gabbiano, solare e amico del vento di mare, quel gabbiano che s’impicciava del conclave, invece, sapeva il fatto suo. O meglio sapeva che “habemus papam” e che le tenebre non hanno prevalso.
I cieli raccontano e il messaggero ha fatto il suo lavoro.

Perchè non si vive di sole Onlus



Forse anche sulla scia del noto proverbio dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita, si è cominciato a pensare che fosse inutile, se non velleitario ed esibizionista sfamare un povero per un giorno, compiere un atto di fratellanza, fermarsi per dare all’altro qualche minuto del nostro tempo. Mi chiedo se questa possa essere definita come l’attrazione pragmatica dell’essere efficienti e se la sua conseguenza, umanamente parlando, non possa anche essere il rischio di ritrovarsi più soli.
Si sono riorganizzati gli atti di carità, l’elemosina, l’aiuto interpersonale. Si è dato respiro e finanziamento ai grandi progetti, alle onlus, alle cooperazioni, utili e irrinunciabili, si sono lanciati gli sms di beneficienza che, con un lieve click digitale ci permettono di partecipare, cooperare, collaborare di salvare un progetto internazionale. E il numero dei poveri del pianeta aumenta.Non sarebbe certo una soluzione escludere il significato del cliccare beneficamente. Sto tuttavia pensando, e parlo per me innanzitutto, al senso profondo del compiere anche il gesto personale di offrire il tempo, l’attenzione, il panino, l’aiuto materiale anche modesto che danno sollievo al povero, all'emarginato  alla persona sola, ai tanti esclusi insomma che accade di sfiorare senza vedere davvero.
In questa realtà di crisi, di esclusione, di diminuzione del reddito e del potere di acquisto vediamo, con sgomento, crescere solo il numero delle persone povere, disperate ed escluse. Persone che ci guardano mentre la loro condizione ci riguarda da vicino.
A chi non ha potere politico (e dovrebbero tremare quelli che l’hanno) non è possibile sfamare il prossimo per tutta la vita, ma che senso ha renderla più triste e forse abbreviarla anche solo di un giorno?
Sto pensando a un film “Angeli con la pistola” in cui il gangster offre, ogni volta che affronta uno dei suoi loschi affari, una moneta ad una mendicante barbona che in cambio gli da una mela, non può fare a meno di quella mela portafortuna, infatti alla fine quel gesto farà felice e fortunata anche la barbona e non lei sola. Perché non si vive di sole onlus.

sabato 9 marzo 2013

Per una giornata umana: 8 marzo 2013

Inno


Noi che la vita ce la siamo sempre guadagnata
noi che i problemi ci seguono e non ci mollano
noi che non giriamo la testa ma guardiamo negli occhi
noi che ci mettiamo sulle spalle il peso e tiriamo
noi che prima di chiedere ad un altro chiediamo di più a noi stessi
noi che quando ci fermiamo è perché abbiamo finito
noi che ci fermiamo solo quando pensiamo al da farsi
noi che prima di lamentarci facciamo un sorriso, che tanto passerà
noi che se arriva qualcuno chiediamo se vuole un caffè
noi che non diciamo io se non siamo costretti
noi che paghiamo senza fiatare 
noi che abbiamo provato tante stanchezze in silenzio
Beh, non chiedete sempre a noi.
Ripassate domani.
grazie