chi sono

Sono Maria Serena, ho insegnato letteratura italiana. Oggi scrivo e sono qui per riflettere, dialogare raccontare. I miei interessi sono rivolti alla comune condizione umana, anche quella raccontata dalla letteratura. Vorrei partecipare alla costruzione di un pensiero nuovo e diverso, fondato su radici antiche, che riconosca uguaglianza e giustizia a tutti.

lunedì 25 giugno 2012

SCUOLA E MERITOCRAZIA: per CRESCERE INSIEME O CRESCERE CONTRO?


Se il merito fosse uno strumento per motivare allo studio allora la meritocrazia in didattica dovrebbe essere obbligatoria.
Ma siccome per convincere un ragazzo a studiare non basta promettergli che sarà insignito di medaglie (metaforiche) e buoni voti allora la meritocrazia a scuola diventa escludente e quindi sia per gli effetti sulla formazione, sia per utilità ed efficacia didattica, sia per una questione di eticità sociale ha già fallito, fallisce e fallirà.

Chi è il destinatario dell’azione degli insegnanti? Se la scuola fosse un'istituzione per i ragazzi tutti buoni e bravi, interessati e studiosi, che amano lo studio e la maestra o il prof allora la meritocrazia sarebbe un incentivo alla gara tra bravi; ma nei fatti non è così. Invece anche per sullodati (buoni, bravi, ecc ecc) la scuola è fase ed esperienza  di crescita umana, sociale, culturale in cui confrontarsi con gli altri: infatti i ragazzi devono crescere insieme, e non crescere contro. 
Per questo servono bravi insegnanti, non giudici di gara, né capi ufficio. 


domenica 24 giugno 2012

Meritocrazia o Manifesto degli insegnanti?


 Con l’enfatizzazione della meritocrazia, imposta da Profumo, la scuola è di fronte a qualcosa di più di una sfida, è di fronte al confronto con vincoli imposti e che incidono anche sui criteri di valutazione, ma soprattutto determinano un  mutamento radicale dei suoi obbiettivi educativi.
Infatti sollecitando gli insegnanti ad adottare criteri meritocratici si va a modificare le finalità stesse dell’educazione tra le quali non vi è il misurare il merito ed attribuirgli un potere, ma lo stimolare e far crescere quelle doti che, in un tempo successivo a quello scolastico, possono costituire alcuni degli elementi che compongono il merito del singolo.
Le conseguenze ricadono anche sul profilo professionale dell’insegnante che, a questo punto, dovrebbe riappropriarsi, discutere e riaffermare la propria specificità diversa, specie nella fascia scolastica 0-18, dalle logiche delle strutture produttive del mondo del lavoro.
Dunque "M" come meritocrazia? 
Anche no. "M" come Manifesto degli insegnanti.

venerdì 22 giugno 2012

MERITOCRAZIA, POTERE E IPOCRISIA


"la profonda ipocrisia di tanti argomenti meritocratici mi fa soffrire troppo" 

ad rivum eundem lups et agnus venerant siti compulsi
Non inibiamo la sete di sapere, innata in tutti

La condivido interamente. 

Parliamo di meritocrazia. Se ne parla molto nel mondo della scuola in generale. E non sempre si tien conto nemmeno dei vari e diversi livelli dell’istruzione. Purtroppo spesso anche le famiglie sposano l’idea: un figlio campione, meritevole, bravissimo anzi eccellente. Lo vogliono così. Perché?

E' come se, da insegnanti, ci si fosse messi a giocare al piccolo Machiavelli della didattica
E non si ragiona partendo dai nostri ragazzi e dai loro bisogni, ma da quello che il comune percepire pilotato ci porta a considerare come buon risultato, o, peggio il successo.

E come si misura il successo? In base all'adattamento al conformismo, al politicamente corretto, all'equidistanza, all'appartenenza, alla cordata giusta e a tante altre ipocrisie che condizionano anche chi, essendo docente, se ne dovrebbe vaccinare da piccino.
Il merito della discussione che Gianni ha suscitato è, a mio avviso, paragonabile a quello che Foscolo attribuisce al Machiavelli (GM, non t'allargare troppo, è solo un esempio che funziona! :)) ; ho detto tante volte, e sono di parte ma non mi interessano gli apprezzamenti negativo o positivi, che si impara più dai grandi scrittori e poeti che non da solenni pedagoghi (tanto meno da solenni predicatori)
Foscolo disse che Machiavelli 
"temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;"

Meditate gente, meditate. La Meritocrazia è potere. E questa discussione, con tutte le sue pieghe, arricciature e scollature, dimostra come quando si parla di potere se ne svela il meccanismo. Come?
A) chi è favorevole alla meritocrazia si affanna a trovarne i pregi (ma alla prova dei fatti ne emergono i  lati asociali, competitivi, escludenti)
B) chi ne è contrario gioca sulle differenze tra una meritocrazia buona e una cattiva... ma per farlo dovrebbe ripartire dalle fondamenta dei principi dell'educazione e i suoi scopi
C) chi entra nel merito fa esempi: e allora andiamo a vedere cosa ha prodotto questa vincente meritocrazia, come è stata attuata, chi ha incluso e chi ha escluso, chi ha davvero educato e chi si è perso
D) chi ha a cuore l'educazione si chiede: quanto devo condividere del sistema a cui mi sono affidato? O meglio: sono entrato in un sistema statale, sono parte di uno stato, il patto economico che ho fatto con lo stato mi chiede prestazioni in cambio di stipendio, la stessa cosa mi chiedono gli altri concittadini dello stesso stato-sistema. Ho bisogno di questo stipendio. I genitori mi affidano i figli perchè io sono funzionario di questo stato.... e allora che faccio? Sputo tre volte nel piatto e poi ci mangio o lavo il piatto e ci metto qualcosa di digeribile per me e i miei ragazzi?
Ma sposare la causa meritocratica, perdonatemi la metafora noir, insanguina le nostre menti. E anche  io non posso che provare irritazione per il potere che logora chi lo serve, ma non chi lo cavalca.
A cuore aperto vi saluto

giovedì 21 giugno 2012

L'EDUCAZIONE è UNA STREGA? Mariaserena pensa che forse sì.


Premessa: questo è un testo lungo per essere un post; ma non ho scelta. Si tratta di dire cose che non sempre possono essere lanciate come uno slogan
disegno di Nadagemini,
un mio ex-alunno da cui ho imparato

Ho compiuto una lunga carriera di insegnante e nonostante vi sia approdata per caso l’ho vissuta con entusiasmo sentendomi utile, mettendomi in discussione e cercando di imparare.
Mi sento tanto diversa dagli attuali insegnanti che discutono, protestano, sciorinano le loro convinzioni a cui sono tanto affezionati; non sono migliore, sono diversa, aliena come se venissi da una galassia estranea al sistema solare attorno a cui loro vanno galleggiando, tutto sommato, senza disagio profondo. Paradossalmente li sento arcaici, lenti, addormentati. Li sento vecchi: io vecchia prof sento più vecchi i quarantenni, i trentacinquenni (per tacere degli altri).
Disinvoltamente, secondo me, discutono di merito e il demerito, di buono e  non buono, impegno e il disimpegno, e perfino di intelligenza e non intelligenza: per me discutono di taralli e tarocchi pedagogici. I presupposti sono tali per cui quelle discussioni nascono sterili. Lo voglio scrivere e lo sto scrivendo in questo spazio mio.
Non contesto l’utilità delle discussioni: ne contesto il palco, la scena, l’azione, la partitura. Ne contesto la barricata, la strategia. E credo sia un diritto contestare.
Nel merito del merito potremmo citare cento esempi di geni adulti che sono stati somari a scuola: ma a che serve?
La scuola è interazione, se non funziona non è per demerito di uno solo.
Ma perché te lo dico?
Perché ho scritto dieci anni or sono, in piena attività; un testo da cui non torno indietro. Adesso ho troppi anni addosso per affrontare una classe "a modo mio", ossia con la tenerezza e la violenza necessarie ad entrargli dentro il cuore e  la mente per capire e farmi capire.
Ma la persona che scrisse questa risposta alla lettera di James Hillman agli insegnanti italiani è ancora qui che pesta la sua tastiera: sono io.
Risposi a modo mio, senza sapere niente di particolare di quel signor Hillman di cui ora ho qualche libro. Mi sarei dovuta documentare?
Ma perchè? Lui scrisse, e io, come ci fu chiesto, risposi. Lui si era forse documentato su me e sui docenti italiani? Ne dubito. Quindi siamo pari; ma quella sua lettera mi è piaciuta tanto e mi è piaciuto rispondergli. Ecco qui il testo. E se leggete il Manifesto degli insegnanti vi accorgerete che il suo dna ne è stato, e non poco, contaminato nonostante sia difficile pensare che se ne converrà facilmente :) 



Risposta al professor James Hillman

Gentile James Hillman,
ho d’impulso deciso di risponderle perché l’impatto con i suoi pensieri, le sue riflessioni e le sue analisi ha prodotto su di me, nello stesso tempo, l’effetto del pungolo e del balsamo.
Insegno, che parola impegnativa... Italiano e Storia a ragazzi tra i sedici e i diciotto anni; la mia non potrà dunque essere un’analisi scientifica ma, al più, una riflessione empirica e forse generica. Detto per inciso mi ha incuriosito e divertito l’aderire alla “gara” (le tre migliori risposte addirittura premiate!) che mi è sembrata, in un certo qual modo, coerente alla ricerca di Hansel e Gretel nel bosco. Spero che nel lasciarsi tentare dalle delizie dei premi promessi non capiti, anche ai concorrenti, di essere catturati dalla strega!
Colgo l’occasione per immaginare di tornare alunna, di svolgere il compito e di prendere, ancora una volta, parte ad un gioco del quale ora conosco un po’ meglio le regole, ma da cui altrimenti sarei esclusa perché fuori tempo massimo. Ritorno con la mente nelle aule dove la scuola era sottomissione, dove ero costretta a dimostrare qualcosa, magari inventando e fingendo, china sul banco e sui fogli bianchi così ostili ai miei pensieri e sento ancora il freddo dell’ansia e l’odore dell’inchiostro sulle dita macchiate.
Gentile professor Hillman, parto da una considerazione che mi sembra realistica anche se ovvia: quando i nostri ragazzi approdano alla scuola l’Educazione, di cui lei parla, ha già operato in modo massiccio su di loro (questo ancora di più per le Superiori).  Vale la pena di puntare l’indice contro qualcuno? Non solo la famiglia, ma l’ambiente sociale, i media, gli sport praticati, le associazioni frequentate, il quartiere, la strada e così via influenzano e condizionano i bambini e le bambine (fin da piccolissimi) e gli adolescenti.
Stimoli e modelli in alcuni casi positivi, ma non solo, li avvolgono, li attraggono, stampando un’impronta, una sorta di “uniformità” che probabilmente ha effetti più dominanti su quanti crescono in ambienti, per diversi aspetti, meno illuminati, meno evoluti o colti.
Una volta a scuola avranno la ventura di, finalmente, incontrare un insegnante disposto a confrontarsi con la loro molteplicità, che ne riconosca l’irripetibile individualità, valorizzi e  faccia uscir fuori l’individualità dei pensieri, dei sentimenti, delle passioni, del carattere?  Qualcuno restituirà, come giustizia vorrebbe, un’opportunità di crescita e indicherà loro, democraticamente, la strada per scoprire se stessi?
Noi abbiamo queste responsabilità. Oppure è giustificabile limitarsi a denunciare senza reagire e senza fornire qualche strumento? Pur essendo noi stessi immersi e pressati dalla quotidiana uniformità della massificazione non dovremmo rifiutarci di esserne omologati?
Tuttavia: quanta fermezza per accettare questa sfida, quanta convinzione umanistica, quanta disponibilità a mettersi in gioco deve possedere chi accetti l’evidenza (tale a me sembra) delle molteplicità delle intelligenze, delle immaginazioni, dei sentimenti delle persone-studenti? E come può riuscire a far convivere gli obiettivi formativi del sistema scolastico con il far camminare l’insegnare e l’imparare, come Hansel e Gretel, nella varietà del bosco e dei loro pensieri?
Qualche indispensabile margine di libertà va dunque affermato e difeso nella pratica dell’insegnare/imparare, perché se invece fosse inevitabile il sottomettersi alle regole volute dall’esercito di amministratori, esperti e specialisti si dovrebbe senza indugi consigliare affettuosamente ad Hansel e Gretel non la via del bosco, ma quella della clandestinità.
L’Educazione può davvero togliere il respiro e l’anima all’insegnare e all’imparare  quando  i sistemi educativi non prevedono e sopprimono le emozioni.
Eppure è la storia a dimostrare come, più di quanto non lo facciamo noi insegnanti, siano gli studenti  a resistere e, penso, con ottime ragioni.
Non ho conosciuto studenti che rifiutassero il confronto e il dialogo (il che non esclude, come per ogni forma di comunicazione la possibilità di fraintendimenti o errori) anzi di solito hanno verso il rapporto con l’insegnante un’attrazione e una curiosità istintiva.
Questa istintività li guida a riconoscere e distinguere senza sbagliare il fratello con cui attraversare, “l’uno per l’altro”, l’uno con l’altro, il bosco; il complice con cui percorrere un itinerario dell’anima e della mente intuendo di non doversi difendere dall’altro, ma di doversi guardare, insieme,  dalla strega.
Lo stesso istinto fa riconoscere a noi insegnanti il (come negarlo?) prediletto, l’affine e questa dinamica evoca e attiva la bellezza dell’insegnare/apprendere. A me sembra che questo legame non tolga nulla agli altri, anzi acuisca ed aumenti la profondità del dialogo, renda più facile allargarlo e distribuirlo, più interessante, anche per gli altri, parteciparvi.

Si è diffusa, per cattiva sorte, una recente categoria di studenti veramente “difficili”: ragazzi precocemente, artificialmente, invecchiati che arrivano a scuola, anche per le ragioni suddette, con una mentalità già rigida e conservatrice nel senso peggiore cui si abbarbicano tenacemente; credono di sapere già tutto su come vanno il mondo, la società, la politica e ritengono di poter pretendere un tipo di insegnamento acritico e preconfezionato, ingurgitano passivi nozioni mnemoniche tratte da porzioni di libri e… presentano il conto per ottenere un voto. Quando, come e per colpa di chi è potuto accadere che il loro animale ed istintivo voler imparare sia stato radicalmente modificato? E come abbassare la loro ottusa difesa e tentare di convincerli al dialogo se non travolgendoli affettivamente? I risultati potrebbero richiedere anni di lavoro ma, come ha detto la mamma illuminata, di un mio studente, Tito, gli insegnanti sono “seminatori”...
La tendenza del sistema educativo sembra invece tenere poco conto di ciò, preferendo incoraggiare la sistematizzazione. “Progetti didattici”, “educativi”, “gestionali” si diffondono oggi nella nostra scuola italiana come infestandola; si potrebbe sensatamente obbiettare che non si può lavorare alla cieca e che non ci si può muovere senza scegliere direzioni, strategie, metodi, obbiettivi…Tutto vero, ma chi beneficerà  davvero di queste scelte? Mi chiedo se il bisogno reciproco di insegnare/imparare, non contaminato da interessi economici o da tattiche di carriera, resisterà alle strategie didattiche dell’Educazione.
Le istituzioni sono necessarie perché non possiamo fare a meno di strutture,  luoghi deputati,  amministratori e così via; forse non possiamo rinunciare nemmeno alla piazza, al mercato. Come è vero che non possiamo vivere senza aria, ma non potremmo nemmeno respirarla se fosse soffiata compressa a forza nei polmoni perché anche il cuore cederebbe; come non possiamo vivere senza acqua, ma essa ci può anche travolgere, schiacciare, affogare.
Talvolta, guardandomi intorno, ascoltando i discorsi dei colleghi (nelle riunioni, nei corridoi, nelle aule) mi sembra di percepire davvero che l’Educazione e i dogmi educativi ci vogliano imprigionare nella casa della strega e costringere a prostituirci, ma che, ahimè,  non per tutti questo sia davvero un problema.
Se lo volessimo forse sapremmo almeno cercare una via d’uscita (non dovrebbe essere impossibile a chi si nutra di studi).
E gli studenti? I più intelligenti e vitali non hanno perso la voglia di sognare e di ribellarsi all’Educazione e rivendicano la dignità della loro protesta. E’ indispensabile ed essenziale ascoltarli e rispettare la loro resistenza all’imparare; da essa nascono idee, sentimenti, passioni, esperienze: i giochi della vita e del futuro. Le loro diversificate e molteplici, impetuose e violente ribellioni sono inoltre generose e prive di calcolo e, anche se possono apparire  sproporzionate e contraddittorie, sono stimoli vitali per noi.
Non ho conosciuto studenti indifferenti al dialogo con l’insegnante che si occupi di loro.
Conosco invece insegnanti che non si occupano dei loro studenti, ma li giudicano.
Conosco e ricordo, inoltre, personificazioni di Educazione del tutto insopportabili tanto per me (insegnante), quanto per loro (studenti).
Conosco e ricordo tanti educatori presuntuosi che, nella loro serissima professionalità, pur non avendo mai sperimentato il senso vocazionale dell’insegnamento e vivendo con infelicità e frustrazioni il loro ruolo, si ostinano a non scegliere un altro lavoro.
Gentile prof. Hillman, conosco anche bravi insegnanti, poco propensi a “sottomettersi senza protestare ai dogmi educativi” come lei scrive; la loro bravura è di solito il risultato di una ricerca individuale per nulla gratificata, poco incoraggiata, quando non ignorata dalle istituzioni; ma continuo a pensare che la nostra attività richieda comunque capacità e volontà di fare, quando necessario,  scelte autonome e personali.
E termino esprimendo una forse incongrua speranza (o un pio desiderio): che il mettersi in gioco, l’imprudenza e il rischio che sottendono ad ogni iniziativa volta alla comune scoperta di quello che il bosco di Hansel e Gretel nasconde, continuino ad attirarmi; perché non mi accada, ancora per un po’, di provare la miserevole amarezza di non trovare più nessuno che voglia ciò che posso insegnargli e di non riuscire a capire perché. Un saluto affettuoso

                                               M. Serena Peterlin


Roma, 16 Dicembre 2002 






domenica 3 giugno 2012

PROFUMO di merito per una SCUOLA TRADITA


A scuola per imparare non per selezionare

E’ vero, le decisioni annunciate dal Ministro Profumo, come al solito , cadono franando sulla scuola, senza aver per nulla ascoltato gli  insegnanti. E tanto meno gli studenti.
Molti insegnanti, dal canto loro, sembrano rassegnati in partenza, a parte qualche malumore.
La scuola di cui parlano leggi e decreti, proposte e dichiarazioni dei politici appare sempre meno un’istituzione per i nostri figli e sempre più un bucintoro burocratico a cui far risparmiare carburante, o una Costa Concordia pilotata dal solito comandante incline all’inchino e con vocazione allo scoglio.
I docenti, troppo spesso impastoiati dalle incombenze di fine anno (ma non solo) non sono ascoltati, ma nemmeno alzano la voce e tengono la testa china sui prospetti degli scrutini. I loro rappresentanti sindacali? Flebili voci asservite, per nulla autorevoli.
Francamente, ma io forse sono una troppo all'antica, di fronte a un attacco così pesante alla scuola, all'idea stessa di diritto allo studio, al distorcimento (...lo so non esiste ma lo scrivo lo stesso) , alla mala-istruzione che si profila... insomma i sindacati della scuola dovrebbero lanciare un’iniziativa forte;  il blocco degli scrutini ad esempio.
Vi è poi un’altra questione che mi sembra pesante.
Quella dello “studente dell’anno”, la nuova figura istituita da questo ministro: lo studente meritevole unico da premiare selezionandolo tra tutti e che avrà agevolazioni d’ogni tipo: dai mezzi pubblici all’esonero dalle tasse. Ed anche su questo non si levano voci contrarie.
Dunque noi insegnanti abbiamo già accettato che si interpreti la parola "merito" (sulla quale si potrebbe anche discutere intelligentemente) come un discrimine che selezione i presunti "eccellenti" come in una barbarica e primordiale lotta per la sopravvivenza?
Siamo davvero caduti così in basso? 
Dove è finita la scuola italiana? 

Il merito sarebbe una qualità che corrisponde alla valutazione più alta che si esprime con un numero, è un valore che separa buoni e cattivi, e dunque portatore di esclusione?
Vogliamo almeno contestare questa interpretazione burocratica che stravolge la didattica e discutere cosa si dovrebbe intendere a scuola per "merito" oppure ci teniamo questa mediocre concezione  che potrei anche definire, senza tanti problemi, classista dell'istruzione?
Forse la scuola serve a questo?
E i cittadini italiani, e le famiglie degli studenti accettano di pagare tasse per avere questa scuola?

venerdì 1 giugno 2012

Libertà e responsabilità: a lezione di...


È proprio vero che le storie, come dicono molti scrittori, ti vengono a cercare. Le trovi per strada, in casa ed anche tra le righe di un dialogo in web tra insegnanti mentre si cerca di tracciare il profilo di un ipotetico bravo insegnante. Interventi di tanti tipi: tecnici o istintivi, formali o appassionati. E tra questi il flash di una storia che nasce da qualche frase scritta da una prof che racconta un esempio della sua quotidiana lotta per educare alla libertà e alla responsabilità. I non addetti ai lavori forse non sanno che un insegnante non fa, non può fare come gli pare; forse tutti ricordiamo una scuola in cui chi sta in cattedra detta le sue regole, ma non è esattamente questa la verità.
Ci si incrocia e ci si scontra con le regole: no, non quelle delle circolari ministeriali, ma quelle del regolamento della scuola. E quel regolamento ha sì lo scopo di dare efficacia al funzionamento dell’insieme, ma anche quello di cautelare chi, in veste di dirigente, detta norme. In base a quelle norme se succede qualcosa di storto, ad esempio un ragazzo non è adeguatamente sorvegliato procura danni a se stesso o ad altri, la responsabilità è di chi non vigilava. E Pilato, ancora una volta, spreme il sapone dal dispenser e si asciuga la phon…
E si arriva al misure restrittive: niente pipì se non ad orario fisso, ricreazione e merenda in aula e non in corridoio o in cortile, nell’entrare o uscire da scuola l’alunno è sorvegliato come pure in caso di cambio classe per andare in palestra o laboratorio eccetera: avanti marsch; non si pensa, si esegue.
Educazione alla libertà: ma che scherziamo? Basta con questi buonismi che rovinano gli studenti eccellenti e privilegiano i mediocri.
Una voce sommessa di un’amica, Elena, che sussurra la sua storia:


Io mi scontro tutti i giorni con bidelli gendarmi. Insegno in una scuola dove le parole "libertà e responsabilità" hanno perso la battaglia contro "controllo". Gli intervalli devono esser fatti obbligatoriamente in classe. Nel mio piccolo ho introdotto delle libertà (i miei vanno ai servizi senza chiedere il permesso) ma, è una goccia nell'oceano.


Leggo e rivedo me stessa nella medesima situazione; non inganni il tono essenziale delle frasi di Elena. La sua battaglia non è affatto piccola. Un insegnante ha un grosso peso sulle spalle e disobbedire espone a pesanti conseguenze. Lei, Elena, subirebbe pesanti conseguenze se il ragazzino o la ragazzina inciampa mentre va al bagno fuori orario, o se mettendo il naso fuori classe durante la ricreazione combinasse qualche guaio. Lei lo sa: ma fieramente insegna la libertà, dignitosamente afferma la sua libertà e fa benissimo, e dobbiamo ammirare le persone con la schiena dritta, le persone come lei. Coraggio amica.
Non è affatto una goccia nell’oceano, non è volontarismo, non è voler raddrizzare le storture invece di aggredire il sistema. E tu lo sai, tu senti, tu sei consapevole della verità: e la verità è che ogni nostro atto e perfino un sorriso o un cenno di mano sono diversi se sono quelli di un insegnante verso i suoi ragazzi.
Niente di quello che si fa in classe va perduto, rimane per sempre a tutti i livelli.
Lo abbiamo detto tante volte? Non abbastanza.
Vai tranquilla Elena. Vai con il tuo cuore sapiente in classe. I tuoi ragazzi imparano più da un tuo piccolo gesto di libertà che non da ore ed ore di pallosissime prescrizioni et similia.

Per te questa canzone Elena, è una canzone d’amore perché la scuola senza affetto e senza passione non è scuola.

Every Breath You Take - Police (Sting) - 1983
Every Breath You Take
Every breath you take
Every move you make
Every bond you break
Every step you take
I'll be watching you.

Every single day
Every word you say
Every game you play
Every night you stay
I'll be watching you.